11 Responses to La Letteratura, il web e la compulsione a scrivere

  1. Pingback: S.V.P. Simone Ghelli su letteratura e web 3.0. « NOVEVOLT, collana di narrativa densa

  2. flaviopintarelli says:

    bell’intervento. e sono pienamente d’accordo quando dici che la scrittura web sia più vicina all’oralità di quanto non lo sia invece alla scrittura tradizionale. mi sembra che sia uno snodo decisivo da mettere in luce, che invece, troppo spesso, viene tralasciato. questo legame non riconosciuto crea equivoci, a volte anche gravi. Basti pensare al dirigente PD che auspica la morte di Silvio sullo status di Facebook. è evidente che si trattava di un grido etilico da bar, ma che, per il solo fatto di essere stato scritto (perdendo così tanto il suo contesto, quanto la grana della voce, la phonè), è proliferato in direzioni inaspettate.

  3. Chiunque scrive su un blog si sente in diritto e in dovere di dire: “Sono un letterarto, sono un poeta e bla bla bla”… il problema a mio avviso è questo qui.
    Un pò di umiltà ci vorrebbe. Non si è poeti, non si è scrittori. Secondo me sono gli “altri” che possono dire se lo siamo o meno.

    ps. che è il 3.0? quanto so’ ignorante

  4. Lara Manni says:

    Piacevolissima scoperta, buongiorno!
    Mi collego all’ultima parte del post, dove si parla della voglia di scrivere. In rete c’è chi scrive, per esempio. Parlo dei fan writer, di cui anche io faccio parte. La cosa singolare è che, dopo aver pubblicato un libro e trovandomi teoricamente dal lato cartaceo della barricata, noto che chi sceglie la rete per narrare viene tuttora visto come “poco professionale”. Un amatore, un aspirante: serie B, insomma.
    Bene, non è così. All’interno del fandom esistono fior di storie, nè le medesime sono tutte finalizzate a una eventuale pubblicazione. In primo luogo, non c’è lo status ma il piacere del raccontare. Cosa che, dal poco che ho compreso in questi mesi, non sempre esiste fra chi scrive su “carta”.
    Dunque, i blog. La mia sensazione è che, anche qui, almeno alcuni blog che trattano di letteratura vengano visti o come “palestra” per arrivare alla sospirata carta, o come mezzo per aumentare i propri lettori, più che come un luogo dove condividere impressioni e idee sul narrare. E questo è un gran peccato, direi.

  5. Simone Ghelli says:

    @Flavio: grazie.

    @Andrea: il web 3.0 è la rete fuori dalla rete, il tentativo di dare corpo a certe dinamiche maturate sul web

  6. Lara Manni says:

    Piacevolissima scoperta, buongiorno!
    Mi collego all’ultima parte del post, dove si parla della voglia di scrivere. In rete c’è chi scrive, per esempio. Parlo dei fan writer, di cui anche io faccio parte. La cosa singolare è che, dopo aver pubblicato un libro e trovandomi teoricamente dal lato cartaceo della barricata, noto che chi sceglie la rete per narrare viene tuttora visto come “poco professionale”. Un amatore, un aspirante: serie B, insomma.
    Bene, non è così. All’interno del fandom esistono fior di storie, nè le medesime sono tutte finalizzate a una eventuale pubblicazione. In primo luogo, non c’è lo status ma il piacere del raccontare. Cosa che, dal poco che ho compreso in questi mesi, non sempre esiste fra chi scrive su “carta”.
    Dunque, i blog. La mia sensazione è che, anche qui, almeno alcuni blog che trattano di letteratura vengano visti o come “palestra” per arrivare alla sospirata carta, o come mezzo per aumentare i propri lettori, più che come un luogo dove condividere impressioni e idee sul narrare. E questo è un gran peccato, direi.

  7. clobosfera says:

    dunque, come Simone sa già, sul fatto che i disturbatori animino certi blog non sono d’accordo, perché l’oggetto del contendere troppo spesso ruota intorno a dinamiche di rapporti personali (tu mi hai detto questo, come ti permetti, allora io ti dico questo, e giù insulti come se piovesse). Vero che anche al bar spesso ci mette mani addosso parlando di politica (o almeno una volta succedeva) però il blog rimane una forma di comunicazione scritta e nonostante l’estensione alla piattaforma del reale che avete battezzato web 3.0 permetta di verificare che l’interlocutore di rete è a tutti gli effetti un essere umano, è per me incontestabile che chi decide di commentare un post deve seguire almeno due regole fondamentali: 1) attenersi all’argomento proposto; 2) adottare una strategia retorica che permetta agli intelocutore di inserirsi nel discorso senza sentiri aggrediti.
    Detto ciò, il fatto che il blog sia una palestra di scrittura (creativa) è una bellissima definizione, è importante che ne fa uso riceva un adeguato feedback, e abbia degli intelocutori con cui confrontarsi. Sono d’accordo sul lasciare stare la Letteratura, perché la scrittura in rete è di fatto caratterizzata da un registro specifico, che corrisponde a precise regole di ricezione. Inoltre, come Flavio, sono anch’io molto d’accordo sul parallelo fra scrittura in rete e oralità: tanto è vero che i contenuti di un post rimangono impressi in base ad una memorabilità che appartiene ai discorsi orali.

  8. @Lara: è proprio sul piacere di raccontare che bisognerebbe concentrarsi, e anche in questo ci sono interessanti collegamenti tra la rete e l’oralità…

    @Clobosfera: il tema dei disturbatori è delicato, e non so quanto risolvibile. Da una parte i commenti servono a far muovere l’argomentazione, a produrre effetti, che di conseguenza possono anche essere deleteri… non vorrei però che si pensasse che io sia per l’azione di disturbo in quanto tale, perché non è così… forse è la critica stessa che in certi casi dovrebbe abbassare i toni…

  9. Lara Manni says:

    E’ vero Simone. Nei siti di fan fiction, peraltro, l’atteggiamento che ho riscontrato è proprio quello del “mi siedo e tu racconti”, con la particolarità che i ruoli sono sempre interscambiabili: chi legge e commenta è quasi sempre qualcuno che a sua volta scrive.
    Una cosa sui disturbatori: è veramente buffo, ma io sul blog non ne ho avuti, fin qui. E’ vero che è un blog piuttosto giovane e sicuramente non importante, però ho notato che chi interviene è sempre interessato a discutere più che a fare rissa. Tranne in un episodio. Ma dopo due giorni di sospensione di blogging non si sono più verificati flame.
    Questo per dire: dipende, anche, dall’atmosfera che si crea?

  10. Sul Romanzo says:

    Ho letto con piacere questo tuo intervento, Simone. Tanta carne al fuoco e credo che faresti bene parlarne ancora, dividendo gli argomenti. Inutile che ti dica di segnalarli poi su Facebook ancora, dove tantissimi si relazionano, sempre più lontani dai blog. Ma questa è un’altra storia.
    Io credo che dipenda molto dal tipo di vita che uno fa o ha fatto. Mi spiego. Nel web ci sono i caratteri delle persone, non ci sono tuttavia gli sguardi, le pacche sulle spalle, ecc che permettono di mitigare gli animi, tutto è frontale, attraverso l’uso delle parole. Accade così non di rado che vi siano fraintendimenti incredibili.
    Pensa al mio post che ha prodotto più di 100 commenti su FB riguardo Policastro/Benedetti, vero, sono stato provocatorio, vero, sono partite offese, vero, molto altro, ma, per ragioni che osservo spesso, in qualche modo le persone hanno accerchiato un contenuto o più contenuti, non hanno solo discusso/litigato, hanno altresì esposto ragioni ed emozioni. Non è poco in questa epoca in cui si vorrebbe ammorbare l’opinione pubblica con leggi e leggine bavaglio.
    Il carattere, dicevo. C’è chi è abituato per esperienza a confrontarsi on line, ma se nella vita non ha affinato l’apparato immunitario verso le reazioni altrui, non potrà che riproporre quelle dinamiche on line appunto. I permalosi sono permalosi anche in rete. Non v’è dubbio.
    Quindi i disturbatori, che cosa significa? Uno che fa una battuta fuori luogo? Uno che vorrebbe parlare di un argomento specifico uscito dalla discussione allontanandosi dal nocciolo della questione proposta? Uno che bestemmia? Chi è il disturbatore? E siamo così sicuri che invece il disturbatore non sia un esempio eccezionale per dimostrare come nella rete sia necessario convivere con tutti? Perché la rete è tutti, ripeto, è tutti. Altrimenti uno parla in privato, fa un gruppo on line ad accesso con password, ecc. Se uno pubblica nel mondo deve accettare che il mondo, cioè tutti, possa dire la sua. Poi la forza della maggioranza, se non condivide i modi e i contenuti di qualcuno, magari volgari, dovrebbe semplicemente isolarlo, si stancherà se nessuno se lo fila… ma per questo ci vuole sensibilità e pratica quotidiana della rete, oltre che una vita che ti abbia già insegnato a riflettere in tale senso.
    Mi fermo qui. Sono tanti gli argomenti che emergono dal tuo intervento Simone.

  11. Simone Ghelli says:

    @Lara: è così, anch’io penso che il contesto sia decisivo

    @Sul romanzo: la questione è complessa.. io son dell’idea che a volte la libertà totale per tutti si traduca in una conseguente limitazione di libertà per chi è più “debole”, e in questo caso per chi alza meno la voce, è meno aggressivo… sui principi che però dovrebbero regolare la scelta di cosa va e cosa non va, non mi sento di dare una risposta, se non sottolineare il fatto, come già ho scritto, che la via più “naturale” è quella dell’autoregolamentazione, che si costruisce giorno dopo giorno con gli utenti che approdano al sito o al blog…

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