Tipi da spiaggia (antropologia litoranea calabra, 5-20 agosto 2010)

Le famiglie degli “svizzeri” quest’anno sono coppie sulla trentina. Sgridano in tedesco figli di nome Marco o Stella, intimano loro in tedesco di mettersi i braccioli delle Winx o di Nemo, incoraggiano in tedesco timidi tuffi e capriole tedesche e rispondono in tedesco a capricci in tedesco. Rispolverano il dialetto solo tra adulti, per mettersi d’accordo su come si va alla Festa Patronale e alla processione, o per rievocare le proprie marachelle di bambini. L’italiano lo parlano piano, al massimo con qualche vicino di ombrellone, scandendolo bene, consapevoli di star traducendo.

Fanno la loro comparsa coppie nuove: maschi sui 45 anni con pance che debordano dai boxer neri aderenti, al fianco di ucraine non più giovanissime ma ancora piacenti. Talora mani brancicanti a polipo, talora il baluginio di una fede nuziale a legittimare l’unione, e qua e là bambini – frutto di qualche precedente amore – dai capelli quasi diafani e nomi tradotti tipo Vladimiro o Eugenio.

In mare bambini snelli e bruni nuotano aggrappati a tubetti di Polase® gonfiabili o salvagenti della Nivea©, sulla battigia donne grasse e canute si riparano sotto ombrelloni della Motta© o della Sammontana© , mentre quest’anno nei lidi si portano colori acidi senza marchi e anche le pubblicità dei gelati sono più discrete, un po’ meno in evidenza, seminascoste dietro a un cavalletto coi menu del giorno oppure in basso a destra, sotto al cartellone del regolamento.

Giovani sposi raccontano delle loro ultime vacanze alle Maldive, le vacanze “vere”, subito prima della settimana d’ordinanza con i nonni (quelli della bambina, no i loro). Ostentano tatuaggi tribali e pesanti accenti brianzoli. Esibiscono un atteggiamento di preoccupazione, tanto finta quanto compiaciuta, per la loro bambina, non ancora tre-enne, che manifesta la tendenza a dimenarsi quando sente alla radio il motivetto di una certa canzone reggae.

Un giovane con la canotta gialla dei Lakers e il cappellino dei Red Sox riconosce i propri connazionali statunitensi dell’ombrellone a fianco, una numerosa famiglia di Philadelphia capeggiata da un signore brizzolato. Il ragazzo invece è di Boston, ma in California ha fatto il college, trovato un lavoro e preso moglie. Entrambi i paterfamilias abbandonano di colpo l’inglese di fronte al venditore ambulante africano – uno di quelli giovani, che alla djellaba preferiscono la canottiera dei Cavaliers – passando al dialetto calabrese: stentato quello del giovane, very fluent quello dell’anziano.

Una famiglia di soli cugini e fratelli, composta di ragazzi tra i 25 e i 9 anni, è impegnata in improbabili battaglie di schizzi d’acqua. Trattative con l’ambulante per l’acquisto di un nuovo tipo di arma – una specie di pompa fluorescente che aspira e schizza l’acqua del mare concentrandola in un unico getto letale – si concludono con la rottura della pompa stessa. Alla famiglia, che offre a titolo riparatorio almeno un bicchiere d’acqua, il venditore oppone uno stizzito rifiuto adducendo le prescrizioni rituali del Ramadan.

Due vecchietti, sdraiati sotto il loro ombrellone: lei addormentata stesa di tre quarti, con la faccia schiacciata contro una copia de La Settimana Enigmistica; lui prono con la testa appoggiata sul fianco di lei, una mano a sfogliare la Gazzetta dello Sport e l’altra in un’anacronistica, commovente carezza da fidanzatini.

Una signora appesantita, dall’improbabile bikini viola e dal marcato accento brianzolo, interrompe la trattativa con il venditore indiano di “collane di tartaruga” per chiedergli che effetto fa, a lui e ai suoi colleghi, “tutti musulmani”, la vista di tante donne semi-nude. Il venditore ribatte che lui non è musulmano. La signora insiste che un effetto lo deve pur fare. Il venditore risponde serafico che lui viene in spiaggia per lavorare, non per trovare moglie.

Un suocero presenta ad amici e compaesani la propria nuora, una giovane dai tratti cinesi, venuta senza il marito, sola coi due figli di nome Luca e Mattia. Occhi a mandorla e capelli liscissimi anche per i ragazzi, che fanno gli stessi tuffi e gli stessi capricci di tutti gli altri bambini della spiaggia. Sorrido pensando che la ragazza di via Paolo Sarpi e il ragazzo di Montauro sono entrambi “milanesi di seconda generazione”, ed è bello così.

Un giovanotto dai capelli dritti, non si capisce se per il gel o l’acqua, interpreta tutto compito la sua parte di “beato tra le donne”, folto gruppetto che comprende anche una fidanzata. Il Giovane, ovviamente dotato di cellulare, telefona a svariati amici per richiedere in prestito dei pantaloni “neri, eleganti, taglia 46”, da utilizzare in paese per una certa sfilata di bellezze locali. Il volume delle telefonate è particolarmente alto, forse nella speranza che il paio di pantaloni gli arrivi provvidenzialmente da qualche ombrellone, nel raggio di un chilometro o due. A un ambulante carico di borsette e occhiali, il Giovane domanda quante borsette potrebbe ottenere in cambio della fidanzata. L’ambulante tira dritto. Il Giovane insiste, tra le risatine e finte proteste di fidanzata & amiche. Il venditore, ormai lontano, si gira per ribattere che la ragazza già ce l’ha. Un’ora dopo, ancora gocciolante dall’ennesima nuotata, il Giovane chiede alla ragazza se nel frattempo ha visto “qualche marocchino che le piace”, quindi ribadisce che scambiarla con tre o quattro Gucci finte sarebbe stato un buon affare.

È proprio vero, mi dico contemplando questa distesa di carni al sole che vanno dal nero ebano al rosso gambero: non c’è un luogo dove il potere si iscriva più violentemente che sui nostri corpi.

Valentina Fulginiti

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3 Responses to Tipi da spiaggia (antropologia litoranea calabra, 5-20 agosto 2010)

  1. Molto divertente. Mi piacciono un sacco i simbolini del marchio registrato accanto ai nomi delle marche.

  2. valentinafulginiti says:

    E’ solo un vecchio trucco dei cannibali, Flavio :). Grazie dell’apprezzamento, comunque.

  3. brabbara says:

    Girovagando tra blog…
    Divertente e puntualissimo!
    =)

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