Tornando verso casa *

“Sti figli di puttana…” dice tra sé Piervi mentre dall’autostrada vede sfilare una costruzione gialla avvolta da impalcature verdi e rosse, cemento su cemento di un nuovo eco-mostro che sfregia le verdi colline, i larghi campi, alberi e alberi e fiori e valli, un paradiso stuprato dalle speculazioni edilizie che arricchisce le tasche di molti e impoverisce la bellezza di tutti. Piervi prende il giubetto catarifrangente nel vano interno allo sportello alla sua sinistra, apre la cerniera laterale e tira fuori l’ultimo cannino che s’era preparato prima di partire, lo accende e comincia a fischiettare. S’imbatte nell’ennesima deviazione e si immette nell’altra carreggiata (sceglie sempre quella perché lì non ci vanno i camion, anche se tutte le volte, puntualmente, pensa che se dovesse forare lì sarebbe una tragedia).

Rientra in corsia. Non manca molto alla città. Spenta la cicca nel posacenere, getta dal finestrino il filtro accartocciato che viene spinto lontano nel vento. Controlla nel retrovisore e vede questo minuscolo pezzetto di carta bianca rimbalzare due volte sull’asfalto per finire sotto le ruote di un tir e sparire dietro la curva. La radio dice che ci sono tre chilometri di coda all’uscita di Roma su. Piervi sbuffa, apre il cruscotto e fruga tra varie musicassette ammucchiate alla rinfusa. Le prende e legge i titoli sulle etichette adesive: Pink Floyd, Bob Dylan, Miles Davis, Nirvana, Syd Barrett.

In lontananza vede la coda in avvicinamento, guarda nello specchietto retrovisore, accende le quattro frecce e prende a frenare dolcemente. “Ma vedi sto coglione” dice a voce alta indicando l’Audi nera che gli passa da dietro e lo sorpassa sfrecciando a velocità criminale alla sua destra, tra una panda blu e un mezzo pesante e proseguendo poi sulla corsia d’emergenza. Mette in bocca una sigaretta dal pacchetto nel portaoggetti e pigia l’accendisigari. Poi spegne le quattro frecce e ritorna a cercare la musica. “Ecco quello che ci vuole” e inserisce una cassetta: qualche nota, un lamento: Jeff Buckley canta con un’intensità incredibile. Sono quasi dieci anni che ascolta quel disco ed è bellissimo tutte le volte. L’accendisigari scatta, l’estrae e se l’avvicina per dar fuoco alla sigaretta; lo scuote nel portacenere fino a che il rosso sbiadisce e scompare, poi prende il telefono, sblocca la tastiera e guarda la rubrica. Preme tre volte il tasto sei e poi la cornetta verde. Avvicina l’apparecchio al lobo dell’orecchio destro, attende pochi secondi, riaggancia. Squilla il telefono, sul display la scritta Mamma.

“Uè… Sono appena arrivato al casello, sono praticamente bloccato in coda. Alla radio hanno detto che è chilometrica. Ci metterò due ore… No… Chiama tu i nonni, digli che sono arrivato, tutto bene… sì, ok, ti faccio lo squillo… No, non si scongelano… Certo, morire di fame non muoio… la parmigiana, sì… i sacchetti trasparenti sono da congelare e quelli blu da mangiare… Come? Ok, ok… i blu congelo… sì, come no… tanto hai scritto tutto, no?… Aspé, devo staccare… la polizia… sì, sì, okay… ti faccio uno squillo quando arrivo a casa. Ciao”

Non v’è alcuna vettura della polizia. Sono anni che Piervi è costretto ad inventarsi sempre una scusa per riagganciare. Sua madre potrebbe parlare per ore ed egli non ama il telefono. Spegne la sigaretta, guarda fuori. È praticamente fermo.

Nell’auto in fila alla sua sinistra, una Opel station wagon verde metallizzato, una coppia sui trentacinque anni litiga: lui sembra subire tutto in silenzio, annuisce mesto con lo sguardo fisso in avanti; lei sbraita, si agita, gesticola. Seduta dietro, una bambina sui dieci anni, lunghi boccoli biondi, occhi tristi e le spalle strette, assiste muta alla scena, spaventata: accarezza un orsetto consunto di peluche con un berretto rosso. Piervi pensa sia strano un orso col cappello. Ne ha visti alcuni coi maglioni cuciti addosso dei maglioni. Sorride: si chiede come mai non producano orsetti e orsette ma solo esemplari asessuati. Distoglie lo sguardo. Dietro di lui, nello specchietto, vede un uomo grasso, alla guida di una vecchia e scalcagnata Renault color paglierino. Deve avere sui cinquanta anni, capelli rossi, indossa una maglietta verde con una vistosa macchia, probabilmente di cioccolato. Pievi lo osserva, lo immagina mangiare un grosso gelato che gli cola addosso, prova quasi ribrezzo. Poi il tipo comincia a scaccolarsi in maniera approfondita. Tira fuori dal naso il dito e sulla punta v’è un pezzo di muco verde giallognolo marrone grande come un moscone, molliccio ma denso: lo fissa, sembra esaminarlo ben bene, con la falange tesa e lo sguardo curioso; dopo qualche secondo abbassa il braccio e lo struscia lento sul sedile. Piervi, disgustato, gira la faccia dall’altro lato: c’è una donna riccia, scura, con gli occhiali tigrati, priva di fede all’anulare, porta due bianchi bracciali molto sottili, fuma nervosissima, appare preoccupata. Le macchine avanzano di qualche metro, poi nuovamente si bloccano.

Grace continua a suonare nello stereo, Piervi beve una lunga sorsata d’acqua da una bottiglia poggiata sul sedile posteriore, la richiude e la ripone sul pavimento. Si accende ancora una sigaretta; il cielo imbrunisce leggermente, una luna spunta di colpo dietro una montagna grigia all’orizzonte.

Dopo aver ascoltato tutti e due i lati della cassetta, mette su un vecchio album di Nick Cave registratogli da suo zio Roberto che riproduce perfettamente il fruscio della testina. Trascorrono due ore: nei polmoni di Piervi si addensa il fumo di cinque sigarette. Al casello, rispetto all’ultima volta, la tariffa è aumentata di un euro e cinquanta.

Al di là della barriera il traffico si fa leggermente più scorrevole. Davanti alla sua auto c’è un pullman, dal finestrino alcuni bambini seduti in fondo gli fanno il gesto delle corna, altri gli mostrano il dito medio. Piervi risponde nella medesima maniera e sorpassa.

Gianluca Liguori

* Estratto dal romanzo inedito “La percezione della storia”, pubblicato su Frigidaire n. 226

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2 Responses to Tornando verso casa *

  1. lagentestamale says:

    Bravo, gianluca. Mi sono molto piaciute le “fotografie” che hai fatto in mezzo al traffico.

  2. scrittoriprecari says:

    Grazie Ale.

    Gianluca

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