Fra due amanti, mentre il resto continuava e non contava

Gli amanti che non si parlavano

 

I pitosfori sull’autostrada odorano di notte. Le notti sull’autostrada si distinguono da tutte le altre notti per l’odore dei pitosfori. Le corsie sono illuminate dalla luce arancione, dalle segnalazioni, dai fari.

In una casupola a due passi dal cavalcavia una coppia di amanti si osserva.

Due corpi in una luce incerta.

I capelli castani posati sulle spalle, gli occhi, le gambe e le dita lunghe, l’espressione assorta, lontana: lui.

Un corpo affusolato e longilineo, ghiacci d’occhi… frammenti un po’ gelidi di stratosfera, movimenti di turbante sciolto nel vento: lei.

Perché non mi ami come ti amo io? pensò lei – lui l’accarezzò e lei si struggeva al suo tocco – Ti amo, ti amo, ti amo cercò di dirgli coi suoi occhi freddi.

Avrebbe voluto confidarsi con qualcuno (la comprensione degli estranei è sempre più saporita), ma con chi? Chi l’avrebbe capita o anche solo ascoltata?

Lui continuava ad accarezzarla, ma con compassione. Lei lo sentiva. Probabilmente le voleva bene perché la compativa, ma lei non voleva essere compatita: voleva essere sedotta.

Non poteva chiedergli neanche di sedurla: lo era già da tempo… da lui, dalla sua personalità, dal suo fascino, dal suo disordine d’artista. E lei, tanto ordinata, lo amava anche per questo. Ogni tanto, la sera, lui s’addormentava davanti alla tv accesa: si stendeva sul divano e dormiva. Allora lei, con assoluta delicatezza, si poggiava su di lui per tenerlo caldo.

Adorava quei momenti.

I loro due corpi uniti in quell’abbraccio di tepore.

A quel punto, molto spesso, si addormentava anche lei… con l’odore di lui in corpo e la speranza che accadesse quello che era accaduto a Epimenide: dormire cinquantasette anni e risvegliarsi in un mondo diverso.

In un mondo in cui quell’amore sarebbe stato possibile.

Nel sonno.

Lui la abbracciò.

Lei sentì due lacrime gelate sfuggirle dagli occhi… cercò di non muoversi – di non rovinare in alcun modo il suo sonno… era anche più bello mentre dormiva – angelico… si mosse lentamente – si avvicinò al suo viso e poggiò la propria bocca sulle sue labbra… poi, dolcemente, ritornò dov’era e si addormentò profondamente.

Il mattino seguente lei si svegliò fra le sue braccia: dalla finestra della veranda entravano i raggi del sole e l’odore dei pitosfori.

Appena sveglio diede fuoco al più bello dei ventiquattro preludi di Chopin, il settimo, e lo lasciò decantare come l’incenso

Andò in veranda e inspirò a fondo l’aroma dei pitosfori.

S’avvicinò al cavalletto e ricominciò a dipingere.

«Ti amo,» gli avrebbe voluto gridare, ma le uscì solo un miagolio strozzato.

Lui le andò vicino e prese a molcerle il pelo.

«Sei la gatta più bella del mondo,» le sussurrò.

Lei si lasciò carezzare e continuò a pensare al suo amore impossibile.

Antonio Romano

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