L’inutilità del genio post-moderno /4
febbraio 23, 2011 12 commenti
Sull’ironia sono stati scritti trattati a non finire. Credo sia ironia anche questa: scrivere all’infinito su qualcosa che non si può descrivere. E scrivere all’infinito significa impedire di leggere e capire qualcosa.
Sull’ambiguità tutti concordano nel dire che sia essenzialmente seduttiva: la donna che si vela, la luce soffusa, il vedo-non-vedo, l’ammiccamento, etc.
Elementi differentissimi, sembrerebbe. Sembrerebbe…
Ma esaminiamoli meglio.
L’ironia è un concetto polivalente: finzione e disvelamento della verità tramite la finzione. Ma formalmente finzione. Deduzione ovvia, che nel Volo diventa teodicea assiomatica: la verità si esprime tramite la finzione, posso meglio indovinare le fattezze dell’attore vedendolo in scena mentre si finge chi non è piuttosto che sentendomele descrivere direttamente da lui al telefono.
Tramite questo assioma arriviamo direttamente al secondo termine del teorema: l’ambiguità. La verità, che vive nel reale (la teoria di Tarski è che siano veri solo i predicati riferiti ai soggetti al modo indicativo), è ambigua tanto quanto il reale stesso: come dire, in un milione di metri cubi di banane tutte le banane si somigliano e non c’è praticamente differenza fra la banana buona e quella così così. Insomma, per scoprire la verità ci serviamo della finzione, ma così tutti i fatti – annacquati in un così così di verità e falsità – diventano ambigui, mezzi falsi e mezzi veri.
Il Volo è l’espressione di questo ragionamento.
Esiste la verità? La letteratura può raccontarla? Può uno scrittore cambiare?
La verità non esiste o almeno non è alla portata degli uomini. E qui, come motivazione, si potrebbe addurre qualche bel sofisma del tipo: la verità vera è solo coincidente con l’Assoluto (o Dio o Vattelappesca), quindi preclusa alla finitezza umana. Raffinato, se vogliamo. Ovviamente i sofismi ci piacciono e ne facciamo largo uso, ma stavolta affidiamoci al dogma: la verità, almeno nelle cose umane, non esiste. E non esiste perché è la razionalità stessa che la uccide. Esempio: l’omicidio a livello istintivo è sentito come un’azione che merita una punizione equipollente, ma a livello morale e razionale e culturale si disconosce una simile eventualità e l’assassino finisce in galera o viene giustificato in via politica o ideologica o sociologica o antropologica o psichiatrica o etc.
Va da sé che la letteratura è arbitraria tanto quanto la verità. E sono proprio i libri razionali come il Volo che uccidono la verità coi raffinati ragionamenti e le adulterazioni dell’intelletto (le sue “astuzie” direbbe qualcun altro). La letteratura non racconta la verità, ma piuttosto una disposizione di eventi interiori ed esterni a cui dare una direzione e una meta qualunque. Meta che poi viene spacciata per verità, perché – come dicevo altrove – ogni scrittore è un dittatore mancato.
Infine: uno scrittore può cambiare? – questa è la domanda più affascinante. Moravia diceva, e io – in linea di massima – condivido, che uno scrittore è come un uccello: ripete il suo verso, può modificarlo, ma il verso è quello. Il vero Scrittore, maiuscolo, può solo ripetersi. La differenza fra uno scrittore mercificato che si ripete in serie e uno Scrittore maiuscolo che ripete il suo verso (il talento fa quello che vuole, il genio quello che può) è che lo scrittore mercificato annoia e lo Scrittore maiuscolo affascina. Uno Scrittore sostanzialmente non cambia. Stephen King cambia, ma perché lui è un tecnico talentuoso della sua materia (ma perfino lui non cambia l’eptalogia La Torre Nera); Liala non cambia, ma non perché è una Scrittrice, bensì perché non può cambiare per l’ossessività insita nel suo tema, che disponendo d’infiniti potenziali intrecci imprigiona l’autrice; l’immenso Dostoevskij non cambia e non annoia, per la buonissima ragione che lui, di libro in libro, mantenendo il suo tema, cerca d’ibridarlo con ciò che vede intorno a sé e lo interessa al di là del tema.
Il Volo è il prototipo di ogni mio libro, che conserva allo stesso tempo l’impostazione del concept work e la frammentarietà dell’ispirazione, il linguaggio freddo e distaccato del raziocinio e la liricità dell’ego, oggettività e soggettività: perché, dopo aver descritto l’equazione, il gusto è commentarla partendo da quel pozzo di soggettività che, indiscutibilmente, come ogni autore, mi porto dentro.
A questo punto bisognerebbe spiegare cos’è il Genio – in letteratura. È un contenuto geniale? Una forma geniale? È innovazione?
Il Genio in letteratura è riuscire a creare addosso a un’idea qualunque un linguaggio che gli si adatti perfettamente e riesca a traghettarla dalla sua astrattezza alla concretezza del momento particolare. La prolissità di King crea suspense, l’aridità di Moravia esprime meglio di tutto il pensiero analitico (per non parlare di una letteratura improntata al realismo socialista), le pirotecnie di Joyce esprimono il tumulto dell’interiore e il tomismo e gli accidenti sbalestranti del fenomeno, etc.
In letteratura un’idea geniale non crea il Genio, così come non lo crea una forma geniale. Il nodo, il raccordo, la congiunzione fra idea e modo di esprimerla crea il Genio. Il Genio non può che darsi in via combinatoria.
Ecco perché un Genio, fin dalle prime battute, anche se è indefinito o ancora impacciato, è riconoscibile.
Bisogna, però, arrivati a questo punto, fare una precisazione: il libro Geniale non è detto che venga partorito da un Genio, ma il Genio produrrà sempre un libro geniale.
A questo punto l’ultima domanda: a cosa è servito quello che fin qui avete letto?
Neanche a questo uno scrittore può rispondere.
Antonio Romano
Umberco Eco parlava di ironia come una “forma del pensiero” … mi piace questa sorta di definizione. Tuttavia penso che sia comunque una dissimulazione. Dunque, genio deriva da generare, quindi mi porrei nell’ottica della speculazione creativa. Del genio si parla in filosofia estetica tra l’altro …
Io penso che le risposte risiedano nell’oltrespazio, come lo chiamo spesso, perchè lì si ricongiungono le sorti del mondo visibile e del mondo invisibile. La necessità di tirare in ballo il Divino nasce, a mio avviso, dalla sottesa affermazione del fatto che il Divino esiste, qualsiasi sia la sua collocazione o il nome. Per me il genio post-moderno è uguale al genio ellenico, o forse meno caro alla memoria storica più che altro. Ci sono, dunque, essere che per natura restano in contatto con entità che stanno oltre e che non sono fortunatamente per tutti, perchè non tutti sono in grado di “comprenderle”…e quì sono indubbiamente nietzschiana con orgoglio. Bisogna accettare di essere qualcuno e anche di non essere proprio nessuno perchè ci sono altri che stanno oltre. Questo è un bel vezzo, ammetto. Fedor è lo Scrittore e molti altri giocano solo con le parole …finchè c’è libertà di pensiero e parola lasciamoli fare. Sarà pure un atto antidepressivo!
non credo di aver davvero capito il tuo commento o, piuttosto, di averlo solo interpretato.
“Moravia diceva, e io – in linea di massima – condivido, che uno scrittore è come un uccello: ripete il suo verso, può modificarlo, ma il verso è quello. Il vero Scrittore, maiuscolo, può solo ripetersi. La differenza fra uno scrittore mercificato che si ripete in serie e uno Scrittore maiuscolo che ripete il suo verso (il talento fa quello che vuole, il genio quello che può) è che lo scrittore mercificato annoia e lo Scrittore maiuscolo affascina. ” Saper “raccontare” il suono degli uccelli è un’arte e non tutti possono ritenersi artisti. Scrivere è emozionare, se non emozioni sei un cronista. Se sei uno Scrittore vero come un Vero Artista della Parola, delle Immagini mentali, della concezione del pensiero anche nelle sue forme più innovative, sei allora un Creatore, quindi un Genio nato per generare e per questo prabibilmente, sei in contatto con lo Spirito Divino della Natura che si sostanzia anche nel vento o nel suono degli uccelli. Se non possiedi il genio creativo non sei un artista per cui potresti non essere uno Scrittore. Non solo per il fatto di riempire un foglio bianco ci si può definire scrittori. E, tra l’altro, per quello che c’è in giro, il fatto che ti pubblichino non è garanzia di grandezza. Anzi, molto spesso, le logiche del potere si travasano per marda-cultura pure nei campi dell’espressione artistica. Per cui, in finale, che scrivano pure tutti!farà bene al massimo solo a sè stessi….Non so se sono stata più chiara nel mio pensiero. Se non è così mi scuso perchè non posso esprimermi più semplicemente. Un caro saluto e WWW. Romano!!!
beh, posta così sono d’accordo.
ma in qualche modo, ancora, vorrei che esistesse un pudore personale che costringesse le persone a cercare di essere pubblicate solo quando sono assolutamente certe di non poter ragionevolmente fare, in tempi medio-brevi (1-2 anni), qualcosa di molto meglio.
la carolina parlava di consapevolezza
….
condivido
certo. la consapevolezza è tutto. ma l’inconsapevolezza è magica. ci vorrebbe quindi la fusione delle due, ossia la sfrontatezza
Diffido dell’ironia dal mio primo incontro con un politico. Ho constatato, infatti, che era il suo unico mezzo per strappare applausi. Penso che sia un po’ comoda.
nessuno dice che debba essere scomoda… comunque non doveva essere ironia, ma comicità o “bufferia”
ah, è nessuno ha detto che dell’ironia non si debba diffidare
di questi tempi!
che sia comoda non implica che non sia geniale a mio parere
anche il sorriso può essere comodo forse, eppure, come l’ironia, non sono altro che mezzi di comunicazione. quà il tema è come la bomba atomica o la dinamite, sempre colpa della stupidità l’uso stupido, violento, incivile, antietico ect ect… dei mezzi…
L’incosapevolezza è sì magica …io spero sempre che poi sia accompagnata da una vera creatività positiva, altrimenti sai che macello!!!! e sai che oscenità!!!!!
non dimentichiamoci che un lettore non può, a mio avviso, rinunciare al piacere estetico della bella lettura, ne avrebbe diritto…
il lettore è tendenzialmente feccia. io preferirei un rilettore.
e magari s’avesse la decenza d’essere definitivamente e incommensurabilmente, implacabilmente, osceni
Sai..
il lettore ideale non va confuso con il lettore effettivo….questo è pur vero. Mi viene in mente Manzoni al momento.
Il rapporto che Alessandro Manzoni stabilisce indirettamente con il lettore è improntato a cordialità e modestia. In particolare, il Manzoni definisce il destinatario come “i miei venticinque lettori” se ricordo bene questo aneddoto. Allora questo passo può essere ritenuto ironico, dato l’enorme immediato successo riscosso. In effetti Manzoni non allude ad un lettore specifico, bensì a un lettore generico (usando un termine tecnico lo si può definire il narratario dell’opera). Questo implica un approfondimento sul punto di vista del destinatario dell’opera manzoniana in questo caso come in ogni altro caso, penso!
Spesso…sai…diverso è comprendere ciò che si legge. Tutti coloro che non sono analfabeti leggono ma non tutti comprendono nella propria sfera congnitiva gli elementi strutturali di un’opera.
Mi sovviene una frase che ripeto sempre del mio amato e preferito Nietzsche che nella prefazione di L’anticristo scrive in primissima battutta: Questo libro è stato scritto per pochi. Forse ancora nessuno di essi è ancora nato…una cosa del genere (mi scuso per eventuali imprecisioni) …. è un pò così….