Arte: unica o duplice?

Il Laocoonte è, sotto certi punti di vista, il condensato d’una delle più “sanguinose” dispute sull’arte. Sanguinosa perché duplice. O meglio perché articolata in due punti temibili.

Primo punto: essere o apparire (assai meno volgare dell’Avere di Fromm)? L’arte è quella scritta o figurativa, cioè è contenuto o forma? Dire che tutte le arti sono Arte è vero o semplicemente i poeti (o i figurativi) non vogliono scatenare penosi paragoni?

Secondo punto: l’arte deve essere pluridirezionale e interdipendente o a compartimenti stagni?

Proveremo a rispondere servendoci del Laocoonte. E chissà se non riusciremo a dare un’unica risposta.

Come Winckelmann ci dice in Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura (1755), Bernini era affascinato da quest’opera al punto da aver “notato” l’effetto del veleno del serpente nell’irrigidirsi della coscia!

In più, lo stesso Winckelmann osserva come l’artista abbia conferito alla sua opera il pathos senza per questo scadere nel parenthyrsus (cioè nel difetto che avevano le statue troppo focose e violente, lontane dalla pacata saggezza della raffigurazione classica che cercava d’esprimere l’anima del soggetto raffigurato).

Per Hegel la contorsione dei muscoli sembra indicare un grido, mentre sul volto (la fronte e gli occhi) «vi sono onde, tempeste di sofferenza dell’anima, che per così dire si accavallano». Hegel parla perfino di gocce di sudore del tormento interno che affiorano sulla fronte. È, per il filosofo, l’espressione del dolore d’una nobile natura (Laocoonte era un sacerdote, un caso?); cita le dispute che sorsero intorno a quest’opera magnifica (per cui lo stesso Hegel non nasconde ammirazione), cioè quelle cominciate e portate avanti essenzialmente da Lessing.

Poiché Lessing sosteneva che vi è una differenza fra la musicalità della poesia (in questo caso specifico di Vigilio) e la plasticità d’una statua, da un punto di vista descrittivo, una posa è senza dubbio più efficace d’una statua; ma, per descrivere il sentimento retrostante la plasticità, una poesia è meglio.

Per cui, sempre per Lessing, il Laocoonte non poteva esprimere con la bocca il grido: non sarebbe stato credibile. L’unico modo che una statua ha per esprimere un grido è la plasticità della sua forma.

Hegel giudicava inutile e sterili queste dispute per «eruditi da tavolino».

Beh, si può essere d’accordo o meno con lui, ma bisognerebbe fare una considerazione a questo punto.

Se, come scrisse Nietzsche, «l’artista ha bisogno d’una memoria infedele, in modo da non copiare la natura, ma da trasfigurarla»; se Laocoonte fu davvero divorato da un serpente (marino o divino o vattelappesca che fosse); se davvero Virgilio e lo scultore erano là; se consideriamo tutte queste cose è anche probabile che nessuno dei due abbia copiato l’altro, ma che si siano integrati.

Griderebbe il Laocoonte senza Virgilio? O si contorcerebbe senza scultore?

Se li potessimo incontrare forse loro saprebbero sciogliere il nodo, oppure (visto che l’artista deve avere una memoria infedele per essere tale) neanche loro riuscirebbero a dirlo?

A questo punto la questione cambierebbe e, anzi, già cambia. Cambia perché non ha nessun senso chiedersi chi ha copiato, ma chi può fare a meno dell’opera dell’altro.

E poi, chi dice che non sia proprio Virgilio il misterioso scultore?

Antonio Romano

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3 Responses to Arte: unica o duplice?

  1. Sono sostanzialmente d’accordo con tutte le deduzoni alla “Romano” e anche mie, che si evincono dallo stile della seconda parte dell’articolo, quando si parla di “copia” della memoria sulla memoria. Ma questo concetto, per me, non è circoscritto al solo tema dell’arte, in verità.

    Mi piacerebbe lasciare quì, piuttosto, il mio pensiero sull’arte, sull’incipit.
    L’indice per cui l’arte si può concepire più o meno come un’ espressione verso un senso, che sia il bello o il brutto (ammesso che ci sia la possibilità di non generalizzare questo concetto di bello e brutto più o meno indipendentemente rispetto alla sensorialità), tendo comunque a concepire maggiormente il concetto di estetica piuttosto che quello di arte in senso cosmico. Come conseguenza di tutto questo mi ritrovo a continuare ad immaginare che il Laooconte manifesti con alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e morale. Per me vale in primis l’emozione, quel violento slancio del corpo e l’espressione del volto il cui pathos ricordo di aver colto immediatamente.

  2. franklinguamozza says:

    Questo articolo l’ho trovato molto interessante! Complimenti! Sono capitato nel tuo blog per caso, e tornerò di sicuro a trovarti. Spero anche tu possa ricambiare al visita, nell’ultimo post del mio blog affronto il problema della storia con una lettera aperta ad un critico letterario!
    Non mancare:
    http://vongolemerluzzi.wordpress.com/2011/05/12/lettera-a-satisfiction/

  3. antonio romano says:

    a questo punto mi chiedo, miss a., se celine sia più vicino alla plasticità della statua o alla letterarietà della poesia.

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