Centrattacco, sfonda mento.
Maggio 23, 2011 Lascia un commento
Virgilio è felice, quand’è ragazzino, si sente una gioia dentro quando vede il mare che gli viene da pensare meglio di me, nessuno, altro che Dante.
Virgilio Felice, omen nomen, la sera quando torna a casa trova la cinghia che lo aspetta. Antò, suo padre, fa il calzolaio, e nello scaffale in fondo, vicino alle suole, sotto alle stringhe: le cinghie. T’avevamo detto di guardare Pierino. L’hai fatto? Sempre a pensare al pallone, il pallone il pallone il pallone. E le scarpe: guarda come l’hai ridotte, queste scarpe. Ma tanto che te ne frega a te, sì, io aggiusto, io pago, io sopporto. E Maria Beatrice, che s’è sbucciata un ginocchio: tu dov’eri? E giù di cinghiate. Dante, guarda Dante, lui sì ch’è un ragazzino perbene, giudizioso. Tu, invece, tu: canaglia! Il dolore, se lo conosci, se la cinghia già t’ha accarezzato la schiena, impari a sentirlo sopraggiungere, ne avverti il fetore. Il dolore, per Virgilio Felice, in quei momenti un po’ più Virgilio e un po’ meno felice, puzza di cuoio stantìo. E dopo le scudisciate, Antò, accende una candela e passa tuttanotte a riparare gli scarpini. Al mattino, Virgilio le ritrova sul davanzale, rattoppate ed invitanti, una punizione che si rinnova perennemente. Il cuoio porterà altro cuoio, dai piedi risalirà fino alle natiche, in un valzer di contrappassi ineluttabili.
Vado, dice Virgilio, quattordici anni. Ma dov’è che vai?, controbatte Antò.
No, pà, non hai capito: vado al Vado. Per ora. Domani chissà.
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