La legalità? Attenti a quando scade! /1
giugno 1, 2011 Lascia un commento
Nel corso della storia le comunità umane si sono stabilite su determinati territori e si sono organizzate secondo certe regole, dipendenti dalle caratteristiche delle comunità stesse. Si va dai gruppi nomadi alle tribù dedite alla caccia e all’agricoltura e poi, con forme organizzative più marcate, vi è stata la città (la polis greca, la res publica romana, i comuni, i principati e lo Stato).
Lo Stato è un’istituzione, cioè un’organizzazione con un’esistenza propria che assorbe e unifica gli elementi che la compongono. È indipendente dagli individui che ne fanno parte e dai rapporti intercorrenti fra loro. Persegue interessi e finalità unitari, distinti dagli interessi individuali di ognuno dei componenti. Ha un ordinamento giuridico risultante da norme obbligatorie per i soggetti che gli appartengono, per cui la comunità è tenuta a porre in essere comportamenti conformi alla legge, quindi, legali. Ma cos’è la legalità?
Dobbiamo, per parlare correttamente e senza pericolo d’equivoci, innanzitutto stabilire il significato preciso della parola. Nel Vocabolario d’Italiano di Emidio De Felice e Aldo Duro l’accezione di legalità è: «Conformità alla legge, a quanto contemplato e disposto dalla legge; la sfera delle azioni e delle situazioni concrete o astratte che rientra nella conformità della legge». Dunque la legalità è, sostanzialmente, il rispetto delle leggi. Dunque un adeguamento, non una spinta interiore come spesso si fraintende.
Stabilito questo bisognerebbe scoprire a quali leggi ci si stia riferendo: per esempio, in Italia tirare un sasso contro la propria moglie infedele è reato, mentre in altri paesi è la legge medesima che pone che la moglie sia lapidata per la sua infedeltà. Mi pare quindi lapalissiano che non possiamo dire che esista la Legalità con la «L» maiuscola, quella universale e perfetta.
Ci dovremo accontentare della legalità particolare (nel senso filosofico della parola), di quella che ogni paese sceglie in base al proprio humus culturale. Ecco, quindi, che entra in gioco il Corpus luris Civilis (opera essenziale del diritto visto che riordina e consolida l’ormai farraginoso diritto romano) con la sua regola d’oro: «Honestae vivere, alterum non ledere, suum cuique tribuere». Questa regola, oltre alla lettura più semplice del reciproco rispetto e della reciproca tolleranza (su cui aleggia un odore di cristianesimo difficile da scacciare, una pacatezza così socratica che è difficile liberarsene), potrebbe avere anche una seconda lettura alternativa; potrebbe essere vista come la regola dell’indifferenza: non mi toccare ché non ti tocco.
Potrebbe nascere a questo punto il sospetto che l’indifferenza (vivere onestamente nel mio orticello, non andare a dare fastidio a nessuno, dare a Cesare quel che è di Cesare) sia il modo migliore per evitare la guerra fra persone. Giustiniano aveva quindi realizzato che il solo sistema per evitare i contrasti fosse troncarli sul nascere evitandone i presupposti, facendo sì che le persone s’ignorassero vicendevolmente.
Antonio Romano
Commenti recenti