Le stelle di Pincio

Hotel a zero stelle (Laterza, 2011)

di Tommaso Pincio

La luce di cui brillano a tratti i romanzi è qualcosa di estraneo al placido scorrere della prosa; è simile alla luce degli abbaglianti di un’auto che improvvisamente ci si para davanti nella corsia opposta , e allo stesso modo in cui quei fari ci costringono per un attimo a chiudere gli occhi, così lo sfarfallio di una certa frase ci obbliga per un attimo a sospendere la lettura. (Hotel a zero stelle, T. Pincio)

A dimostrazione della sua versatilità e della distanza che lo separa dai colleghi, in un momento in cui il romanzo gode di ottima salute con buona pace di chi lo vuole morto – soprattutto il romanzo di una generazione che gli stessi vogliono avvilita e che invece dimostra afflati tutt’altro che ordinari – seguendo una pista controcorrente rispetto a quella di sapore anamnestico che predomina nel panorama narrativo odierno, Pincio sforna un oggetto narrativo di rara bellezza. Non che la sua intera produzione sia da meno, ma questo in particolare abbaglia per eleganza del dettato e per la precisione con cui ritrae alcune tra le figure letterarie più amate da chi ha a cuore la letteratura (con la l minuscola, visto che dopo la boutade della Mazzantini fa un po’ ridere scriverla grande). Non a caso l’apprendistato di Pincio si svolge lontano dalla scena letteraria, e gli effetti benefici di questo dato biografico si avvertono con forza proprio ora, nel momento della sua maturità stilistica. Viene quasi da pensare che la statura dello scrittore di talento si misuri sulla distanza che egli stesso pone fra sé e la vacuità dell’ambiente in cui dovrebbe altresì muoversi, sull’assenza (termine di grande bellezza, odiato non si sa perché da Genna) di protagonismo che lascia spazio a una riflessione profonda, anzi abissale, non tanto sui temi del presente, quanto su quelli universali, cioè i temi che animano l’assentissima e perciò quintessenziale trama di questo ibrido, al crocevia fra la confessione autobiografica, l’esegesi letteraria e il divertissement. Oggetto che conquista dalle prime righe, difficile da posare, proprio in virtù dell’abilità digressiva dell’autore, tanto più strabiliante in quanto riesce sempre a raccogliere le fila dei molti discorsi iniziati e a far quadrare il cerchio laddove si pensava non tornasse più al punto, qualità suprema degli affabulatori vocazionali. Fu infatti per intercessione divina che Pincio mollò la pittura e si dedicò alla più mercuriale delle arti: Hotel a zero stelle è una passeggiata nel tempo della scrittura in compagnia di uno scrittore un po’ sornione, un Virgilio che finge di essere Dante, a spasso in una galleria di ritratti ordinati per tematiche, fra i mille vizi e le grandi virtù di immensi protagonisti della narrativa americana ed europea. Rimbalzando dalle chiacchiere da rivista patinata ad affondi adrenalinici negli abissi dell’animo umano, questo libro si presta a divenire un’introduzione alla lettura ragionata dei capolavori su cui si fonda gran parte della cultura contemporanea: Parise, Fitzgerald, Kerouac, Dick, Wallace, Simenon, Burroughs, Orwell, e di scorcio Leopardi, Márquez e… un Caravaggio punk! In molti oggi citano Pasolini, magari pure a casaccio: Pincio vi si confronta e lo fa su un tema enorme, quello della condanna di un’intera generazione. Lo fa in maniera esilarante, con una spontaneità che toglie il fiato (avrei detto leggerezza, se non fosse che qui si smuove un rimosso gigantesco), regalandoci un capitolo indimenticabile, su cui dovrà esercitarsi a lungo la critica.

Digressioni su pittura e letteratura, in un’opera di sapore enciclopedico, organizzata in ordine progressivo sui quattro piani di un albergo ideale, nelle cui stanze trovano riparo i fantasmi letterari e artistici dell’autore, fino alla performance dell’epitaffio finale, la memoria di un happening oltre la narrazione. Un’ideale risalita dopo la visita all’inferno, rituale per chi ha avuto modo di testare su di sé il famigerato e tristissimo mezzo del cammin che tanti dolori non smette di causare. Da quella fucina, tuttavia, come da quella di Vulcano, escono opere di indubitabile pregio, come questa: fra le molteplici catabasi letterarie che affollano il plateatico narrativo nostrano, è quanto mai salubre assaporare l’uscita e la riconquista di qualche stella: poche, ma sufficienti per dirsi ancora vivi.

Claudia Boscolo

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3 Responses to Le stelle di Pincio

  1. è troppo bella! non la merito. grazie, claudia.

  2. claudiab. says:

    Grazie a te per questo splendido libro, un vero dono.

  3. Bella recensione, fa venir voglia di leggere il libro, anche se il recensore riesce a non spiegare mai di cosa parli questo romanzo — ma sarà poi un romanzo? più che altro, dalla recensione sembra si tratti di un saggio di sociologia o letteratura.

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