La legalità? Attenti a quando scade! /4
giugno 22, 2011 3 commenti
La regola che Giustiniano desunse dal diritto romano e schematizzò nel Corpus luris Civilis è solo un’altra interpretazione che l’uomo ha voluto dare indirettamente alla legalità agendo sul significato di giustizia. Non c’è da chiedersi se oggi la formula «Honestae vivere, alterum non ledere, suum cuique tribuere» abbia ancora valore (visto che è diventata una regola di costume), ma se ne abbia mai avuto (teoricamente) e quale sia stato il suo reale significato (praticamente).
In tal senso, la situazione italiana a oggi è eccitante da un punto di vista speculativo.
Le vicende giudiziarie di Berlusconi sono in realtà le variazioni di un tema maggiore: che armi si possono adottare per proteggersi dalla legge? “Perché dovrei tutelarmi dalla legge?” ci si potrebbe chiedere a questo punto. Il motivo è presto detto: se la domanda delle domande è chi sorveglia i sorveglianti, e quindi chi deve controllare la magistratura, significa che in pratica è il sorvegliante stesso il vulnus del sistema giuridico.
Il nostro sistema prevede che il magistrato sia sottoposto alla legge e che la sua interpretazione si basi, fra le altre cose, soprattutto sulle interpretazioni precedenti. Quindi la risposta delle risposte può essere: i sorveglianti devono rispondere a dei valori condivisi dalla comunità. Ma questo sarebbe problematico su due fronti: a) quello pratico: nessuno, poniamo il caso, vuole pagare le tasse, ne consegue che un magistrato non dovrebbe condannare gli evasori fiscali, quindi non è possibile che tutto ciò che desidera la comunità sia legge; b) quello teorico: di cosa parliamo quando parliamo di valori.
Su quest’ultimo punto ci è d’aiuto l’analisi di Carl Schmitt su La tirannia dei valori, in cui si può leggere che, nel momento in cui si crea il concetto di “valore”, inevitabilmente si crea una gerarchia dei valori in cui uno è più su e uno più giù: «il valore superiore giustifica allora pretese imprevedibili e dichiarazioni di inferiorità: l’attuazione immediata dei valori distrugge l’attuazione giuridicamente assennata che ha luogo solo all’interno di ordinamenti concreti, in base a precisi regolamenti e chiare sentenze».
Berlusconi si appella a dei valori condivisi. Primo tra i quali quello di Giustizia, seguito dal fratello maggiore Libertà. E sta proprio qui la defaillances: i sorveglianti non devono rispondere a dei valori, ma a delle regole. Curioso è notare che Schmitt citi un passo del Nietzsche di Heidegger per spiegare come si arrivi alla filosofia dei valori: «È nel secolo XIX che il parlare di valori diviene abituale e il pensare per valori normale. Ma con la diffusione delle opere di Nietzsche il fenomeno è divenuto addirittura popolare». È il maggior nemico di Socrate e di Gesù a porre le basi del “valore” e quindi a creare il principale nemico della legge.
In tal senso, la fedina penale berlusconiana è un curioso aborto mezzo nicciano e mezzo capitalistico. Ma è quello che tutti vogliono: il trionfo della Giustizia sulla Legge. La legalità non è giusta, ma solo utile, perché consente di pianificare e rendere – entro i limiti dell’umano – prevedibile l’agire sociale. Il valore è il virus che minaccia la sopravvivenza del sistema giuridico. Non per nulla, tutti i capipopolo fanno appello a valori, non alla Legge.
Se si vede il significato delle parole “principio” e “valore” (io li ho trovati nel Sabatini-Coletti) si potrà facilmente vedere che il primo assomma in sé oltre alla morale e alla condotta sociale o individuale anche l’etica e la condotta statale, mentre il secondo è una dote morale o intellettuale legata unicamente agli individui o alla società. Il principio, quindi, è statale ed etico. Quindi trascende dalla “particolarità” del valore. Così ci garantisce la famosa prevedibilità.
Nei valori ci sguazzano le destre, che da sempre si abbeverano alla triade dio-patria-famiglia, che altro non sono se non la declinazione della “memoria del sangue” (si confronti quanto dice Achille a Patroclo nell’Iliade: tu sei di buon sangue), ovvero tutta quella serie di “istinti sociali” predialettici su cui si fonda tutto un universo ancestrale di relazioni. Viceversa le sinistre si basano sull’idea di principio, di dialettica, quindi di “sintesi”, hegelianamente parlando. Essa è distruzione di tesi e antitesi, quindi suprema integrazione delle diversità: da qui la vocazione internazionalistica del socialismo e del comunismo, per esempio.
Antonio Romano
“notare che Schmitt citi un passo del Nietzsche di Heidegger “. Dì la verità…LO FAI PER DISORIENTARMI, VERO????????????
alla grande, anche, direi
Per principio si deve intendere una legge naturale che ordina i suoi propri effetti nel dominio al quale principio ed effetti appartengono. Quando il dominio in questione è l’intero universo il principio è detto universale. Diversamente la morale è costituita dall’intrusione dell’aspetto sentimentale nei principi naturali che morali non possono essere, almeno fino a quando l’emotività, mobile, instabile e a basso grado di fissità, ne modifica la natura sottomettendola a interpretazioni di ordine culturale o dipendente dalle latitudini o, più grave ancora, da coglioneria individuale o collettiva, ma anche da stravolgimenti operati dal credere oppure dal non credere religioso.