Fa un freddo abominevole

Fa un freddo abominevole.
Persino la leggera striscia di urina lasciata da Toni il Barbone lungo quella crepa del muro, vicino a uno dei vecchi tubi, è diventata solida. Un pezzo di ghiaccio ocra illuminato dalla luce debole di questo sole che non scalda.

Mi chiedo sempre come cazzo faccia Toni a pisciare all’aperto con queste temperature, tirarselo fuori a dieci gradi sotto zero. Non ha paura che gli diventi solido come quella strisciolina sul muro, e gli si spezzi in due, come capita ai surgelati nel freezer? Bah…
Almeno noi abbiamo sempre scelto posti caldi per le nostre tournée, dormire per la strada non era così spiacevole. Cieli densi di stelle e palme: le città sobrie e intellettuali del sud della Francia, la vivacità della Spagna e il sud Italia, con il suo misterioso connubio di spensieratezza e filosofia.
Non so perché sono di nuovo qui, ora, nell’algida, distaccata Bolzano, proprio di fronte a questo muro.
Un percorso a ritroso, immagino. Risolcare i labirinti della mia memoria alla ricerca di una nuova via d’uscita.
Il muro della centrale abbandonata dell’Enel è uguale a vent’anni fa, c’è solo qualche scrostatura in più e il colore rossastro della ruggine sui tubi. Giocavamo sempre qui di fronte, io, Christian e gli altri. Fino a che Christian e la sua famiglia si trasferirono in un’altra città e nessuno si interessò più a quel muro. Io invece, a poco a poco, persi l’interesse per la parola.
I miei genitori lavoravano sempre ed io, senza più gli amici del pomeriggio, piombai in una solitudine irrimediabile. Fu allora che Andy cominciò a venire a trovarmi ogni giorno, trascorreva ore ed ore assieme a me, mi faceva ridere e mi abbracciava forte se ero triste. Anche se lo vedevo solo io, ne sentivo chiaramente il calore del corpo quando mi stringeva.
Mio padre odiava Andy, lo chiamava allucinazione, e diceva che solo i matti sentono le voci e hanno le visioni. Minacciò addirittura di ucciderlo se avesse continuato a tornare. Così, anche Andy sparì.
A volte penso che sarebbe bastato un cane per risparmiarci tutto il dolore che arrivò dopo, ma non si poteva, i peli e le unghie di un animale avrebbero rovinato irreparabilmente i tappeti persiani e le poltrone di casa mia.
Visto che non c’era nessuno disposto ad ascoltarmi, smisi di parlare. Non fu una decisione, accadde e basta. Le parole percorrevano impetuose le vene del mio corpo fino alla testa, fluttuavano nella materia grigia e picchiavano le pareti del cranio con violenza cercando di uscire, ma tutta la loro energia si smorzava improvvisamente sulla punta della lingua.
A me non fregava nulla della mia afasia, come l’aveva chiamata il dottore, tanto, cosa sarebbe cambiato? Anche se le parole fossero riuscite a perforare la barriera sui miei denti, nessuno avrebbe dato importanza a quello che mi accadeva dentro.
I dottori però sembravano molto preoccupati, ed iniziarono con le loro torture. Ne vidi tanti, troppi, e di volta in volta mi diagnosticarono depressione, psicosi, schizofrenia, ogni genere di turba mentale, e mi costrinsero ad inghiottire pastiglie colorate e subire punture dolorosissime.
Io avrei voluto disperatamente parlare, ma quegli uomini in camice bianco non mi chiedevano mai come mi sentivo. Si limitavano a parlare ai miei genitori, indagando su ogni dettaglio dei rapporti fra me e loro, i nonni, gli zii, i vicini, le maestre della scuola, il parroco, qualcuno persino il panettiere, e poi si mettevano a discutere in gruppo, scrivendo appunti ed osservandomi di nascosto.
Mio padre non poteva sopportare tutto questo. Era il primo caso di pazzia nella sua famiglia, una terribile vergogna. Litigava con mia madre perché voleva sbattermi in manicomio e provare a fare un altro figlio, magari gli sarebbe venuto meglio.
Così mia madre lo lasciò e ce ne andammo a vivere dai nonni, vicino a Venezia. Mi fecero fare scuole “speciali”, assieme a bambini che erano capaci di essere più persone contemporaneamente, o che si strappavano i capelli, o si mordevano a sangue, o picchiavano a sangue gli altri.
Non vidi mio padre mai più.
Forse per questo ho sempre evitato gli uomini. Li considero universi lontani ed impenetrabili, troppo complicati ed eccelsi per la mia sciocca testolina.
Non a caso ho lavorato sempre e solo con attrici di strada, cosa molto rara in questo ambiente: non avrei mai potuto reggere il confronto con un essere di sesso maschile.
Facendo il mimo notai che le persone mi capivano senza bisogno di parole. Bastava un’increspatura delle labbra, un’alzata di sopracciglia, un’espressione triste degli occhi o uno schiocco delle dita per far piangere o ridere il pubblico.
Le parole che galleggiavano da anni nel mio cervello uscivano attraverso i movimenti del mio corpo, il ritmo dei miei respiri, le pieghe delle mie labbra.
Avevo finalmente trovato il mio piccolo codice personale, il mio linguaggio unico.
Anche quando avevo scopato con Lisa quella prima volta, anni fa.
All’inizio mi aveva chiesto: «Ma tu non godi?» ma poi aveva percepito i rantoli del mio petto mentre passava la sua lingua sui miei capezzoli, le contrazioni dei muscoli quando le sue dita mi sfioravano fra le gambe, i fluidi di piacere che mi uscivano in basso mentre le infilavo il cazzo meccanico in bocca e l’espressione di appagato godimento nei miei occhi, dopo l’orgasmo.
Ora però è tardi. Fra poco riprenderemo il nostro spettacolo davanti a questo muro. Devo interpretare il Diavolo, Lisa sarà l’Angelo. Ci vuole molto tempo per la vestizione e il trucco.
Dovrò coprire con strati e strati di bende le forme possenti del mio seno e le sinuosità del mio sedere, raccogliere i miei capelli lunghissimi sotto la parrucca e assottigliare la carnosità delle mie labbra di giovane donna. Disegnarmi un po’ di barba e baffi e tingermi viso e corpo di rosso.
Andy, il mio cane, fa una pisciatina proprio sopra la striscia rappresa di Toni.
«Andy! Andiamo!» gli grido.
Solo con lui le parole riescono a trovare una breccia nel muro di marmo sulla mia lingua.

Nadia Turrin

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3 Responses to Fa un freddo abominevole

  1. AC says:

    Davvero bello… letto tutto di un fiato.

  2. nady says:

    Veramente Ac?Grazie, sono onorata che tu mi abbia letto e felice di averti trasmesso queste emozioni…E ringrazio come sempre Simone e gli Scrittori Precari per questa “pubblicazione” oggi davvero inaspettata!:-)

  3. Grazie a te Nadia, e continua a scrivere e a collaborare con noi! 😉

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