SINFONIA N. 4 IN MI MINORE *
luglio 15, 2011 Lascia un commento
Allegro non troppo
I buyer londinesi tardano ad arrivare e fuori vedo la nebbia, dappertutto, e la città sembra Londra ma non è Londra – è qualcos’altro – e le luci di un Burger King si confondono in mezzo a questa squallida alternativa a Londra, UK, e tutto si manifesta nascosto e un cinese mangia un Whopper con espressione estatica e potrebbe essere una vetrina vivente perché la gente passa e lo guarda e poi continua a camminare, indifferente, distratta dalle porte automatiche del Virgin Store.
Andante moderato
Il mio superiore borbotta un mantra sulle palestre. La Società, invece, propaganda che tutti siamo i superiori di qualcuno – l’organigramma è come la legge, come le sacre scritture – tutti superiori tranne i manutentori dell’impianto elettrico, extracomunitari maleducati che costituiscono la base della piramide. Dal bilancio d’esercizio 2009/2010, la Società organizza incontri nelle scuole e invia in rappresentanza dei giovani delegati, degli oratori in cardigan che hanno seguito un corso di aggiornamento di trecento ore. Di solito, questi esordiscono chiedendo ai ragazzi se hanno studiato Darwin, perché Darwin è fondamentale per comprendere il nostro organigramma, dicono i delegati. Il mio superiore continua col mantra. Io, invece, penso di togliermi la cravatta e chiedo al mio superiore se posso toglierla e lui risponde che posso, che non può vietarmelo in alcun modo, e io passo nervosamente le dita sul nodo e poi guardo le porte del Virgin Store che si aprono quando un passante si avvicina troppo, e la cravatta è ancora lì, al suo posto, e il cinese ha finito di mangiare e sta posando il vassoio e differenziando i rifiuti, e tutto questo potrebbe avere un senso se solo osassi conferirgliene uno, ma è molto difficile e il mio superiore, cinquant’anni, vedovo, continua a dire che al giorno d’oggi le palestre si riempiono e le librerie si svuotano, e mentre getto la cravatta nell’angolo nord-est del pavimento mi domanda se nei miei sogni più reconditi aprirei una libreria, e io rispondo che non l’aprirei per nessuna ragione al mondo, sarebbe un investimento errato, e lui distende i lineamenti, sorride sardonicamente, mi accarezza una spalla e dice che questa è la risposta giusta, perché la gente non richiede cultura ma massa muscolare e infatti noi produciamo attrezzi, beni strumentali, e quel noi significa la Società, un pachiderma giuridico che s’è inserito per primo in un mercato di nicchia, e il mio superiore prosegue dicendo che la vecchia locuzione lattina, quella che parla di sanità dell’anima e salute del corpo, be’, dice che questa cosa dell’anima e del corpo poteva avere un senso in altri tempi, ma che oggi l’ago della bilancia pende a favore del corpo, e lo spirito non interessa più a nessuno. Perché dovremmo preoccuparci di qualcosa che non si vede? Non so, gli rispondo, e intanto guardo in basso, dove prima c’era il cinese e adesso c’è un’altra persona più sola e triste. Sentiamo il rumore della porta e ci voltiamo insieme – potrebbero essere i buyer. Invece è un ragazzo che vuol sapere se abbiamo l’acqua, se il riscaldamento è ok, e le sue premure sembrano costruite e frutto della politica aziendale dell’Hilton e certamente lo sono, ma non possiamo maltrattarlo perché ci serve dell’acqua e i buyer dovrebbero arrivare fra poco. Il ragazzo premuroso si siede sul bracciolo destro di un attrezzo che allena gli addominali alti, ci guarda e noi rimaniamo zitti e poiché intuisco che vorrà provare ad allenarsi qui, nella Sala 41, mi avvicino alla porta ed esco e raggiungo il bagno. Apro il rubinetto e mi chiedo se una cravatta dimenticata in un angolo sia un elemento fashion, vagamente in o qualcosa del genere: i buyer, vedendola, potrebbero pensare che nella Sala 41 regna un clima di adonico disordine. Prendo in mano l’iPhone e al secondo tentativo riesco a sbloccarlo, mi guardo allo specchio giudicandomi vecchio, accedo a Internet e cerco notizie e curiosità sulla nebbia – potenziali informazioni da utilizzare coi buyer – e scopro che ne esistono diversi tipi e si differenziano in base alla loro origine e tento di ricordarne alcuni – nebbia frontale, nebbia congelantesi, nebbia ghiacciata – e a questo punto la mia tendenza a creare acronimi prende il sopravvento e ripeto mentalmente la sigla “FCG” ed esco dal bagno, insicuro e sofferente. Il corridoio è vuoto. Rientro nella Sala 41 e ascolto la coda di un discorso che confronta fisico e mente. Perché preoccuparsi di qualcosa che non puoi toccare? Il mio superiore, guardandomi negli occhi, chiede al ragazzo dell’acqua se al giorno d’oggi aprirebbe una libreria. Lui risponde che non gli piacciono i libri. FCG.
Allegro giocoso
Il ragazzo dell’acqua è leggermente sudato e ansante perché ha provato, con l’aiuto dell’attrezzo, due serie da dieci di addominali alti. Dice che porterà dell’acqua e intanto verifica la solidità del suo addome passandoci sopra le dita e premendole cautamente verso il basso. Esce dalla stanza. La cravatta è ancora nell’angolo. Il mio superiore guarda la nebbia pensando a voce alta e si preoccupa perché il Burger King è sparito, e anche il Virgin Store, e in un certo senso ci stiamo isolando e non vorrebbe mai che i buyer fossero bloccati per strada a causa del maltempo. Provo a tranquillizzarlo, gli racconto che questa è una nebbia congelantesi e basta rispettare i limiti di velocità, fare attenzione, immaginare che davanti a noi ci sia qualcosa. Lui sembra convinto e si appoggia a una pressa verticale per gambe. Finge di pulirla, di togliere immaginari granelli di polvere, poi passa a parlare di Fichte e dei sistemi filosofici basati sull’io, continua a pulire, dice che se l’io non si auto-creasse le palestre sarebbero vuote. L’io oppone a se stesso un non-io più gracile e meno tonico. La Società dovrebbe ringraziare Fichte, dedicargli qualcosa, magari un attrezzo prodotto in quantità limitate. FCG. Sentiamo bussare e nel subconscio siamo certi che sia il ragazzo dell’acqua venuto a portare l’acqua e infatti è così, entra e posa le bottiglie sul tavolo ellissoidale abbinato alle pareti bianche e io penso a come sarebbe se la nebbia penetrasse qui dentro: sarebbe bello. Percepisco la vibrazione dell’iPhone e al quarto tentativo riesco a sbloccarlo e a leggere un sms in cui mi viene offerto un certo quantitativo di minutaggio gratuito, e basterebbe rispondere SI’, in maiuscolo e con l’apostrofo, per ottenere un bonus temporale da spendere con chi voglio, tuttavia credo che non risponderei SI’ neanche se avessi qualcuno a cui telefonare. Se non fossi solo e trentunenne e prossimo a un simposio coi buyer londinesi, be’, nemmeno in quel caso risponderei SI’, perché odio le facilitazioni. FGC. Anzi, no, era FCG. Il ragazzo dell’acqua ammira il mio iPhone e mi chiede quanto l’ho pagato. Mento e dico che è il regalo di un amico. Lui si accontenta della risposta ed esce e poi rientra e ci chiede se il riscaldamento è ancora ok. Sempre ok, rispondiamo. Tornati soli, il mio superiore approssima un’irrealistica biografia di sua moglie e ripete diverse volte che è morta poiché non faceva abbastanza attività fisica. Figurati che nei festivi cucinava pranzi ipercalorici, dice, come se fossero un vizio che voleva imporre a me, suo marito, e passava tutta la mattinata a preparare ricette nemiche dell’autocreazione dell’io e assaggiava cibi con la punta dell’indice e capiscimi, non voglio essere cinico, ma è morta per un motivo. Lui continua a parlare, io cammino, mi fermo davanti alla finestra e analizzo il nulla della città perso nel nulla della nebbia, oscillo, mi dondolo in avanti e poi indietro e le ginocchia si piegano impercettibilmente finché si bloccano e la vista diventa confusa. La nebbia sta penetrando.
Allegro energico e passionato
La televisione internazionale parla di sport e bambini scomparsi e la luce del frigobar socchiuso illumina una buona metà della stanza. Sono disteso nelle parte buia, sul letto, e tengo in bocca cubetti di ghiaccio che occasionalmente frammento coi denti. Scelgo le parole giuste per dire: nulla. Rimango in silenzio, guardo fototessere di figli altrui e leggo numeri telefonici da chiamare in caso di avvistamento. Cambio canale e ascolto un calciatore che parla di torti e ingiustizie arbitrali e vittorie mancate. Sono a due piani di distanza dalla Sala 41 – sono sotto di lei – e il mio superiore riposa nella camera affianco e parla con l’escort che l’ha accompagnato a cena e immagino che fra poco affermeranno i loro rispettivi io e dimenticheranno, per un attimo, di esistere in quanto menti. Dubito che riuscirò ad addormentarmi. Rimetto il canale dei bambini scomparsi e prendo l’iPhone e compongo il primo numero che vedo e risponde una famiglia di Tolosa, Francia, e dico in inglese britannico che forse ho visto il loro bambino ed era avvolto nella nebbia e sembrava star bene. Marito e moglie parlano a turno, si passano la cornetta e talvolta si sovrappongono. Vogliono saperne di più, mi chiedono cose, e io mi invento che i buyer sono arrivati puntuali e hanno opzionato diversi attrezzi e per festeggiare siamo usciti a bere qualcosa. Dopo, camminando, abbiamo visto il loro bambino, e aveva uno zaino, e camminava insieme a un cinese che lo ha portato da Burger King. Marito e moglie iniziano a piangere, mi chiedono se sto scherzando, e io rispondo di sì, che li sto prendendo in giro, e interrompo la chiamata e lancio l’iPhone contro il muro. Prendo una bottiglia dal frigobar e ritorno sul letto e mi vengono in mente i buyer che, entrando nella Sala 41, voltano la testa in contemporanea e guardano la mia cravatta gettata in un angolo.
* Racconto pubblicato su CAPEZZONE, il nuovo numero del Collettivomensa
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