Caso o caos?
luglio 20, 2011 4 commenti
La teoria del caos è un’affascinante teoria matematica nata nei mitici anni Settanta e studia quei sistemi che sono imprevedibili e casuali nel loro insieme, ma osservanti di leggi ben precise (a molti piace dire deterministiche) nelle loro singole componenti. Per esempio, un tratto di costa può apparire inspiegabilmente frastagliato, ma se andiamo a studiare le sue diverse componenti — andamento delle maree in quel punto, forza e direzione dei venti, composizione della roccia della costa se di roccia si tratta, posizione della costa, etc… — ci accorgiamo che quella frastagliatura “inspiegabile” diventa spiegabilissima e addirittura, diremmo in filosofia, necessaria.
Nell’ambito della scienza “classica” il caos equivale all’assenza di ordine, ma attualmente si preferisce intenderlo come una dimensione con proprie regole indefinibili: il concetto di disordine è inteso come complessità, insomma. Per la scienza “classica” non era così perché — grazie a Bacone, a Galileo, a Cartesio e soprattutto a Newton — si era dato alla realtà l’aspetto di un orologio con meccanismi precisi e immutabili: se la realtà ha un ordine conoscibile, vuoi dire che ciò che non è conoscibile non ha ordine, per cui il caos non poteva essere altro che qualcosa di disordinato e non di inspiegabile soltanto. Si pensi che Bacone progettava di arrivare a conoscere le regole dell’universo così da servirsene con la tecnologia per sottomettere Madre Natura agli scopi umani; mentre Galileo aveva sostenuto che la Natura era un libro scritto in una lingua (matematica) che noi avremmo solo dovuto imparare a intendere per utilizzarla; addirittura Cartesio ridusse la scienza alla regola della chiarezza e dell’evidenza, rendendo fuorilegge il probabile e l’oscuro (il suo obiettivo era matematizzare la realtà per renderla tale e quale a una specie di pendola, relegando l’imponderabile e l’irrazionale alla sfera intellettuale e mo-rale, escludendoli da quella scientifica); infine, arriva Newton, che raggiunge il top: stabilisce che c’è un unico principio immutabile che stabilisce sia la caduta di una mela dall’albero sia il movimento dei pianeti.
Questi quattro intellettuali hanno segnato tutta la scienza fino al XX secolo col loro riduzionismo e tanti saluti al caos.
Sarà solo in seguito che si riscoprirà la molteplicità della realtà: Hegel, per esempio, comincia ad interessarsi al problema del mutamento e sposta la sua attenzione dall’Essere al Divenire (cosa che in Heidegger si sostanzierà in un “-ci”: Esser-ci). Lamark e Darwin raggiungono due traguardi uguali e contrari: da un lato valorizzano il concetto del mutamento e dell’evoluzione degli esseri viventi, contribuendo a sviluppare il territorio scosceso di ciò che cambia; dall’altro codificano l’ennesima regola (l’ereditarietà dei caratteri e la nozione di habitat) che cerca di rinchiudere la realtà in uno schema. Sempre nell’ambito della biologia ci saranno scoperte molto più significative, dalla scoperta della catena del dna e del codice genetico alle leggi che regolano l’ereditarietà dei caratteri. Così il mondo resterà una pendola, magari un po’ più misteriosa, ma pur sempre una pendola. Paradossalmente sarà proprio la fisica – materia squisitamente newtoniana – a dare le prime scosse alle fondamenta della meccanica newtoniana, la quale mostrerà i suoi limiti di fronte al comportamento dei gas e dei fenomeni termici: la fine del XX secolo vede la termodinamica riportare sulla scena il caos e il disordine. Entropia canaglia. Detto questo resta “facile” capire che, a volte, anche una cosa complessa come la vita può essere spiegata.
Lo sbatter d’ali di una farfalla a New York può causare un uragano a Pechino.
Non oso immaginare cosa potrebbe succedere se perdessi le chiavi.
Antonio Romano
Il tempo è costituito da un istante privo di durata il quale, moltiplicando l’assenza determina la durata che, a propria volta, sta tutta nello stesso istante che spaccia se stesso per quello che non è. L’estensione ha origine dal punto privo di dimensione il quale, replicando se stesso e la propria assenza concede al segmento di una curvatura – chiamato retta – di esserci e di trascinarsi nel doloroso compito di generare un piano il quale, arrancando, genera il solido della nostra incapacità di utilizzare l’intelligenza per vedere tutto questo. Poco importa, perché anche se ce ne accorgessimo perdere le chiavi di casa ci costringerebbe a entrare dalla finestra che, quando si sono perse le possibilità di aprire la porta del Mistero, si trova sempre dopo il cornicione dell’ultimo piano…
Nè il caso e nemmeno il caos possono aiutare un cieco a orientarsi nella luce e, accidentalmente – l’accidente non è che il frutto dell’ingarbuglio esistenziale, non del caso – accidentalmente, dicevo, una sequela di parolacce riuscirebbe a indirizzare questo disgraziato, col vizio di sbattere a casaccio contro quasi tutti i lati della realtà, verso la testata giusta da dare al momento sbagliato.
non ho capito nulla.
Ho inteso dire che tutta la manifestazione della realtà, sotto qualsiasi aspetto la si consideri, è frutto di inizi misteriosi. Ogni forma geometrica nasce dal punto privo di dimensione e forma, così come la durata temporale deve la sua origine all’istante privo di durata. Non c’è colpa da attribuire a coloro che non riescono a cogliere i princìpi universali che ordinano l’esistenza. Occorre, però, ricordare che se il caso legiferasse il manifestarsi delle cose, e degli eventi conseguenti, nessuna legge che nascesse dal caso riuscirebbe mai a modificare la propria causa, perché gli effetti non hanno mai il potere di modificare la propria causa. È per questo che il fuoco non può bruciare il calore dal quale è generato. Dal punto di vista del movimento del tutto appare evidente che l’obbligatorietà di questo incessante muoversi è dovuta necessariamente all’azione di una legge, che è da considerarsi come principio del movimento, che impone la ciclicità. Questo principio, universale perché applicabile all’intero universo, non è soggetto al movimento, se lo fosse tutto si arresterebbe morendo. Non avere la capacità di vedere i principi universali e il loro disporsi gerarchico, in rapporto al loro grado di prossimità al principio primo, che si può chiamare zero affermato, è di ostacolo alla successiva comprensione delle conseguenze che dai princìpi producono la manifestazione della realtà relativa. I princìpi universali non sono assoluti perché sono molteplici, mentre l’Assoluto è necessariamente indiviso e unico, altrimenti non sarebbe assoluto, ma sono al più basso grado di relatività possibile. Qualità e quantità sono due di questi principi essenziali, necessari per comprendere anche la natura e ciò che all’essere è superiore. Chi volesse leggere qualcosa di più dettagliato può, attraverso il link che lascio sotto, considerare questo mio breve scritto chiarificatore.
http://metafisica-vajmax.blogspot.com/2010/08/cosa-si-deve-intendere-per-principi.html