TQ: un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione (o bimbi che fanno i capricci con papà che non dà più paghetta)
luglio 28, 2011 30 commenti
TQ: un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione
Al di là dell’eteronimo, così simile a quello di un whisky americano o alla copertina patinata di una rivista di figa giovane, ciò che lascia veramente perplessi, e spinge quindi alla reazione, tra l’altro richiesta, è la festante approssimazione.
Quale sia l’interlocutore prelibato, è cosa che sfugge sin dalle prime righe di questo manifesto bambino. A chi si rivolgono? Quale esercito stanno reclutando? Ma sopratutto chi sono?
La temperie enunciata ha fantasie epocali, evoca uno strascico secolare, parla di ideologie e ideali, immigrazione e tumulto, dei CIE “veri lager dissimulati”. Strano ma vero, hanno dimenticato Carlo Giuliani e la Madonna di Fatima.
I TQ hanno vissuto anni di indignazione solitaria, così si legge nel testo, hanno osservato il diffondersi del neoliberismo dalle loro case di cartapesta, i dolori prostatici di Berlusconi, il suo autoritarismo, il razzismo padano, nonché “l’espulsione mirata delle donne dal mondo del lavoro”.
Dona il tuo 8 per mille alla chiesa TQ!
Reagendo a questo stato di cose, quindi anche “a causa di questo stato di cose”, il 29 aprile del 2011, data destinata a sostituire nell’immaginario collettivo quella ormai scolorita del 25, un centinaio di scrittori, giornalisti, critici, editori, si sono riuniti nella sede romana della casa editrice Laterza (perché non a Villa Torlonia o a Villa Pamphili, a Roma le ville pubbliche sono bellissime in primavera) sotto il nome TQ, come l’età di chi ha partecipato.
Echecazzo!
Invocando l’assunzione di una responsabilità collettiva – non ho sì grandi qualità comiche, sto copiando il manifesto di sana pianta – con la certezza che la nostra generazione porta su di sé, per la prima volta, il fardello di mutamenti storici che riguardano tutti, e in particolare i più giovani.
Nel senso che una rondine non fa primavera e non ci sono più le mezze stagioni.
TQ si è formata (Comitato pari opportunità: la sigla diviene femminile) per ricomporre il patto sociale che si è rotto, ma non si vogliono uccidere i padri, il pretesto è buono solo per un aumento della paghetta.
Quindi TQ, lungi dall’assumersi obblighi di tipo populista, considera la cultura un bene comune come lo è l’acqua, un bene a cui l’accesso deve essere universale e tendenzialmente gratuito.
Perché non ci ha pensato nessuno prima?!
E’ un manifesto tendenziale, appunto, e aggiungere parole servirebbe solo a svilire la carica rivoluzionaria del testo.
TQ cerca un nuovo pubblico, ma pur sempre un pubblico: contrasta allora le derive populiste tanto quanto le torri d’avorio, i semplicismi anti-intellettuali (tipo questo testo) e gli snobismi bizantini (cazzo-figa per intenderci) tutto in nome, niente di meno che…. della biodiversità!
http://www.unita.it/culture/i-trenta-quarantenni-ci-provano-ecco-il-manifesto-1.317632
ecco, questo tipo di commenti secondo me sono controproducenti rispetto alla tematica, perché sfottono l’oggetto del discorso senza affondare nel problema. Di per sé è un pezzo scritto bene, e invidio l’autore per la battuta “dona il tuo otto per mille”, vorrei averla pensata io, ecc.,
ma non mi pare entri nel merito di alcune questioni che sono, a mio avviso, cruciali:
-io non posso aderire a una cosa che sono già, ossia membro di una generazione. è una tautologica che, nella forma linguistica in cui si palesa, ha un principio di alienazione, e bisognerebbe rendersene conto, perché sintetizza gli altri problemi.
-il porre la questione sotto l’aspetto generazionale è sbagliato. Si parla di neoliberismo, e dunque dei Chicago boys, senza aver capito, se si pone come centrale un aspetto generazionale. L’appartenenza dovrebbe essere di classe: ossia chiamare a raccolta chi è precario, inteso come unità produttiva che il sistema sociale punta a mantenere il più possibile focalizzato sul problema della sopravivvenza. E’ questa la nuova lotta di classe oggi, essendo il precariato strutturale al modello neoliberista. Il porre la questione sotto l’aspetto generazionale, essendo un puro arbitrio, rispetto alla realtà, ha in sé qualcosa di nichilista.
-il veltronismo linguistico, fatto di “non questo… ma”. Un uso così reiterato mi fa pensare a meccanismi di negazione (lo dico pensando alla critica freudiana di Orlando). Dico “linguistico” poiché dal punto di vista culturale non ho elementi, e quindi penso sia corretto sospendere il giudizio.
-una certa vaporosità rispetto ai contenuti. Non paiono, i tre manifesti, parlare di “cose”, ma piuttosto di “ombre”, di parole riferite ad un contesto molto astratto.
-l’essere un movimento, per ora, formato in modo rilevante da elementi dell’attuale establishment culturale. Questo non è una colpa di per sé, ma è un aspetto di cui tenere conto, e su cui interrogarsi: questo perché lo stagista sfigato e sotto pagato ha probabilmente interessi molto diversi, quando si parla di editoria, del suo datore di lavoro, o del direttore editoriale di una casa editrice concorrente: si rischia un corporativismo implicito. è ad esempio tipico dell’establishment tirarsi indietro perché “ci si politizza” come pare sia successo; in Italia l’accusa della politicizzazione, oltre a essere un po’ troppo vintage (più anni ’20 che ’70), è sinonimo di chi pensa un po’ troppo allo status quo. Mi pare dunque, dai segnali che si ricavano qua e là della rete, che esista quesa forma mentis, che sia presente (occhio: dico presente, non esclusiva, non predominante), ma questa componente è extratestuale rispetto al manifesto, agli scopi che dichiara.
che poi ho scritto “questo tipo di commenti secondo me sono controproducenti rispetto alla tematica, perché sfottono l’oggetto del discorso senza affondare nel problema”, e i verbi non andavano al plurale, quindi ora corro a suicidarmi 😀
@Matteo: mi sembra che tu colga in pieno i punti nevralgici della discussione, che potremmo sintetizzare in tre domande: come, perché e quando.
Non essendo a conoscenza di cosa sia un TQ sono, mio malgrado, dovuto ricorrere a Google. Lì, nonostante qualche perplessità sia ancora viva e vegeta, ho scoperto, sempre mio malgrado, che è un sistema fotovoltaico oppure, dopo essere andato più a fondo – nel senso del rifiuto di un galleggiamento superficiale – oppure dicevo, di ricerche nell’ambito della climatizzazione. In quest’ottica, ma solo in questa, non ci ho capito una minchia assoluta, e poiché non tutto il male vien per nuocere resta da riconoscere che l’Assoluto si è, forse per la prima volta nella Sua Non vita, appalesato, anche se solo a me, senza sguaiarsi dal ridere…
Cazzo no, riverificando, secondo una sensibilità culturale che sembro essere il solo a coltivare, ho appurato il TQ essere l’acronimo che definisce gli scrittori precari di Trenta e di Quaranta anni anzianotti. Per sapere cosa possa esistere di peggio bisognerà, dunque, rivolgersi agli scrittori precari più anziani ancora. Ma a cosa può essere associato questo nouveau racism? Forse al fatto che la scrittura precariale sia appannaggio di coloro che possono nutrire ancora speranze residue di successo editoriale? Mah… c’è materiale da riflettere, e qui, forse, in questa riflessione si può riconoscere un collegamento diretto con i pannelli fotovoltaici, anche se non con la climatizzazione. Riflettere è sempre meglio di genuflettere, si converrà con me…
Mi sembra un po’ troppo facile (e decisamente prematuro) criticare un progetto come TQ a colpi di sarcasmo su un testo che per forza di cose (vedi il numero esorbitante di teste che ne fanno parte) è piuttosto generico. Nessuno che si sia chiesto quale fatica abbia comportato arrivare a un documento condiviso che mettesse d’accordo quasi tutti. Nessuno che giudichi ovvie e naturali le prime defezioni perché è semplicemente impossibile essere tutti d’accordo, e invece giù a giudicarlo ridicolo se persino Desiati e Antonelli che lo hanno fondato ne sono usciti. Nessuno che prenda in considerazione l’ovvietà del fatto che un progetto così ambizioso ha bisogno di tempo per concretizzarsi. Nessuno insomma che riesca a parlarne senza evitare di lasciarsi sfuggire un senso di superiorità intellettuale, spesso inutilmente mascherato da ironia.
Sarebbe invece più onesto prendere atto della sua esistenza, del suo lavoro, e aspettare che dalla prima fase (inevitabilmente teorica) nascano le azioni concrete che i membri di TQ già prefigurano. E invece no, non si riesce ad aspettare, né si ha voglia di dare tempo al progetto di concretizzarsi, altrimenti poi se costruisce qualcosa di sensato si perde l’occasione di prenderlo per il culo e farsi belli a sue spese.
Sia chiaro che io stessa parto da posizioni rispettosamente critiche, ho fatto parte di TQ fin dalla riunione del 29 aprile, ho seguito (non senza difficoltà) il lungo iter che ha portato alla divisione in sottogruppi tematici e alla scrittura dei documenti, e ne sono appena uscita perché non riesco a ritrovarmi in una dimensione così squisitamente speculativa (e giustamente tale, perché un gruppo così vasto, se non chiarisce i suoi intenti subito, e non si raccoglie intorno a idee condivise, non va da nessuna parte). Ma il limite in questo caso, e lo riconosco, è il mio. Niente di grave, coltivo altri progetti, più circoscritti e a me più consoni perché più concentrati sull’azione diretta (Scrittori in Causa per esempio).
Ma il punto qui è che nessuno di quelli che solitamente sparano a zero sulle inevitabili e immobbilizzanti divisioni interne di un qualunque tentativo di coordinamento di forze intellettuali, ha speso un minuto a considerare che arrivare a un documento unitario e condiviso è un’impresa già di per sé ammirevole, e che per il resto saranno le azioni concrete che verranno fuori da TQ a parlare e a essere degne di giudizi eventualmente aspri.
Insomma: la critica sarcastica e fine a se stessa non serve a nessuno quando il bersaglio è acerbo. I gruppi di teste che si riuniscono nonostante le differenze e cercano con immane difficoltà di cambiare qualcosa, invece sì, e dovremmo tutti augurarci che in qualche modo, anche piccolo, anche lento, ci riescano davvero, invece di dargli addosso con ironie facilone.
ma in questo caso, perché non hanno aspettato a manifestarsi anche i tq? non è che uno esce con metà vestito, no?
Il problema è che io davvero non sono a conoscenza di cosa sia questo TQ, e il mio sarcasmo solo da questo deriva. Trovo che sia inammissibile scrivere un articolo attorno a qualcosa che solo gli addetti ai lavori conoscono, senza precisare anche per coloro che nulla ne sanno.
@Carolina:
Non rispondo all’ironia del testo perché non è frutto della mia penna, né posso criticare il lavoro che sta dietro TQ (così come da critico di cinema non potrei analizzare le inquadrature che il regista ha deciso di tagliare in fase di montaggio): posso bensì attenermi a ciò che è stato reso pubblico, e i miei dubbi sul “come” (ovvero chi ha iniziato e secondo quali criteri sono state invitate certe persone e non altre), “perché” (tutte queste esigenze un po’ generiche, mi pare, fanno parte di un bagaglio culturale che negli ultimi anni ha visto nascere e morire molte altre esperienze: dunque perché proprio adesso si smuove questo macchina, e lo chiedo solo per capire) e “quando” (ovvero: il passaggio dai manifesti alle azioni) rimangono in attesa di qualche risposta, che mi auguro arriverà.
Detto ciò, se è facile fare ironia, mi pare però troppo facile anche ergersi a salvatori della patria (sono insomma due cose che si chiamano a vicenda).
@simone:
Non mi riferivo certo a te a proposito della facile ironia, i tuoi sono dubbi ragionevolissimi.
Lo so che non ti riferivi a me, ma in fondo ospitando questo testo lo abbiamo anche avallato… Dietro la facile ironia ci ritrovo certi miei dubbi, che sicuramente avrei espresso diversamente, e lagari nei prossimi giorni cercherò di farlo… 😉
non lo so. io qualche domanda ce l’avrei. mi risulta difficile farla, perché molti, o alcuni, si sentirebbero tirati in causa, in prima persona – mentre le mie domande sarebbero generiche.
però, piuttosto che un “manifesto”, non sarebbe stato meglio elencare – punto per punto, una per una – le cose che non vanno? l’etica, la qualità sono concetti lodevoli, ma facilmente “aggirabili”.
ma cos’è che non va? contro cosa bisogna agire?
quali sono i libri da salvare? e quali sono i libri dei tq da salvare?
per esempio, si fa un discorso – sacrosanto – di diritti dei lavoratori dell’editoria. ma quanti sono qualificati, bravi, competenti, coraggiosi? quanti hanno già subito il lavaggio del cervello e cercano sono testi “vendibili”, edulcorati, semplificati, semplificanti?
ora, capire come agisca un sistema, non è impossibile. specie se si è al suo interno. e dall’interno è abbastanza semplice evidenziare le incongruenze, le inavvedutezze, i meccanismi fagocitanti.
avrei voluto un qualcosa di meno generico, insomma.
poi, da più parti, mi vien detto: aspetta, vedrai, agiremo. bene. aspetteremo e vedremo.
sarebbe interessante se, dall’interno, i tq denunciassero ciò che vedono, per esempio.
se, invece, il tutto si ridurrà a qualche conferenza, non credo che ne sarà valsa la pena. e sarà un peccato, vista la forza mediatica messa in campo.
Un buon numero di scrittori, mi sembra d’aver capito, si è riunita, e si riunirà ancora, per lamentarsi degli obiettivi, ristretti al guadagno economico, che le multinazionali della “cultura” si sono date disdegnando altri fini, più nobili, che inseguono la ricerca, l’arte e l’uguaglianza di opportunità da offrire. L’esclusione di una fascia così importante, probabilmente la più raffinata, degli scrittori, comporterebbe, se il fine di costoro fosse davvero quello esposto, un impoverimento culturale di portata imprevedibile.
La questione che mi pongo riguarderebbe la qualità e lo spessore di questa arte culturale messa in aspettativa, perché non sono certo che ciò che è nuovo sia superiore solo perché nuovo e diverso. Come sempre saranno le intenzioni a qualificare il risultato delle azioni, e non basta che queste contrastino il volere delle case editrici che imperversano sul mercato delle banalità. Altrimenti si tratterebbe della sostituzione di una razza di pescecani con un’altra di squali.
Non ragioniamo per forza in termini di complotto. Capita anche che uno, magari ben lontano dalle cinquine dei premi, si trovi invitato a una riunione di scrittori, ci va perché è curioso di sentir cosa si dice e vedere in faccia un po’ di gente che ha letto solo su carta o su schermo, trova che forse ne possa uscir qualcosa di buono, e allora aderisce.
Care e cari (e grazie Carolina),
rispondo brevemente a
“come” (ovvero chi ha iniziato e secondo quali criteri sono state invitate certe persone e non altre), “perché” (tutte queste esigenze un po’ generiche, mi pare, fanno parte di un bagaglio culturale che negli ultimi anni ha visto nascere e morire molte altre esperienze: dunque perché proprio adesso si smuove questo macchina, e lo chiedo solo per capire) e “quando” (ovvero: il passaggio dai manifesti alle azioni)
Come: TQ è nato come un seminario nella casa editrice Laterza. Laterza organizza seminari periodici su temi politici e culturali nella sua sede romana e, assieme agli organizzatori – in quel caso Desiati, Antonelli, Grazioli, Lagioia, Vasta – invitano chi ritengono sia utile alla discussione. Si trattava comunque di un’ampia rappresentanza degli scrittori, poeti, editori, critici fra i 30 e i 49. Molti non sono venuti non perché non invitati ma perché non potevano, o simili. Dal giorno dopo si è sviluppata una fitta mailing list che ha compreso, come destinatari attivi, la maggior parte dei presenti e qualcuno degli assenti, secondo criteri più o meno casuali. In qualche settimana si è arrivati alla decisione di stendere dei documenti, e se ne sono andati due mesi preziosissimi così, in discussioni interminabili ma spesso di ottimo livello, o almeno a me così è parso.
Perché: be’, forse perché si è arrivati a un punto di non ritorno. Forse perché i tagli sono stati troppi, il degrado dell’informazione eccessivo, il declino del ruolo della letteratura verticale, perché la rabbia conseguente ha superato una soglia. E’ sempre difficile dire perché certe cose nascano in determinati momenti, vi pare? La storia è la scienza delle risposte appena probabili, direi.
Quando: vorrei dire che il manifesto è già un’azione. Mettere insieme cinquanta persone e fargli votare un documento, discutendo nei minimi dettagli, è stato già un’impresa: è già la costituzione di una _forma_ inedita. Abbiamo scelto di scrivere un documento ambizioso, pieno di progetti alti e grossi, per indicare una direzione, per dire innanzitutto che bisogna mirare in alto, non bisogna accontentarsi di quel che si può fare nel cortile di casa, ma avere, come diceva Kant, le sopracciglia al cielo, anche se si sta nel fango fino agli occhi; e anche perché ci auguriamo molto sostegno e molte adesioni – e da qui torno al come, che è la cosa importante: ora TQ è un gruppo aperto, e nessuno può dire che non lo sia. Anche solo organizzarci per entrare in contatto con gli aderenti sta lavorando un lavoro in sé. C’è bisogno di rimboccarsi le maniche, contiamo sul vostro aiuto.
Vincenzo Ostuni
Eccheccavolo sarmigezetusa… prima di aderire sarebbe più prudente partecipare per poi, se lo scoglio non è troppo scivoloso, aderirvi, anche se l’aderenza, troppo spesso, può essere rimossa solo chirurgicamente. Ciao Vanni 😉
@Vincenzo: ti ringrazio innanzitutto per le precisazioni.
1. Sul “come”: Naturalmente della riunione a Laterza sappiamo, ne è stato scritto. Io mi riferivo ai “metodi di reclutamento”, ma non vorrei essere troppo polemico. La proposta è nata da all’interno di alcuni editori, e tanto mi basta per farmi un’idea su come possa essere andata.
2. Sul “perché”: Riporto un esempio, che può toccarci da vicino. Nei manifesti si parla tra le altre cose di precarietà, ma ci sono collettivi (non solo il nostro) che lo fanno da qualche anno senza avere tutta questa cassa mediatica. Questo probabilmente è un merito vostro, per carità, ma sentire un bel giorno parlare di certe cose come se fino a ieri fossero state verità non disvelate, mi ha dato parecchio da pensare.
3. Sul “quando”: concordo con quanto dici e sono contento che ci siano persone che vogliano rimboccarsi le maniche… io ce le ho già tutte scucite 😀
E queste mie perplessità, sia chiaro, non sono personali (conosco e stimo alcune persone che aderiscono a TQ), ma riguardano l’impostazione, e dunque il proseguio, del progetto.
vorrei ricollegarmi al discoro di vanni e di vincenzo, partendo da un fatto personale ovvero dal “reclutamento”, chiamiamolo così.
a me ha scritto vasta, mi ha scritto una mail in cui c’era l’appello pubblicato dal sole 24 ore. Io ero a roma nei giorni del seminario ci sono andato, mi hanno convinto molte cose che si sono dette lì, mi ha convinto moltissimo il lavoro che è stato fatto in mailing list che è stato enorme, e mi ha convinto cosa non da poco il risultato finale dei tre documenti.
Questo non risponde alla domanda inziale perchè Giorgio ha scritto una mail a me, credo perchè stimi quello che scrivo, anche se per dire io non sono interno a nessuno degli editori da cui è nata la proposta.
sul perchè: io credo che i manifesti siano la somma anche di altre esperienze che alcuni di noi hanno portato dentro Tq. A me viene in mente ad esempio l’esperienza di vibrisselibri, che si basva su un discorso molto simile a quello che nel manifesto, quello dell’editoria, va sotto il nome di qualità. Il discorso nn riguardava tanto discorsi estetici, ma pratiche di comportamento all’interno dell’industria culturale.
se ti ricordi quell’appello, simone, più o meno si diceva una cosa del genere: ci sono alcuni libri che per motivi diversi non entrano nel mercato, eppure sono libri che potrebbero avere un valore e un senso: si poteva semplicemente dire “l’editoria fa schifo” oppure provare di forzare il blocco e vibrisselibri ha proposto di forzare il blocco da dentro.
Idem discorso si potrebbe fare su scrittori precari o su scrittori in causa.
d.
ps.
sull’ironia del pezzo, niente da dire. e comunque io non chiedo l’8 per mille e neppure altro, ma semplicemente chiedo di poter fare bene ciò che so di poter fare bene,
@Demetrio: ringrazio anche te, perché penso che riportare la propria esperienza personale possa chiarire più di tanti discorsi generici. Se non ho capito male, diciamo che i firmatari iniziali sono quelli che hanno mosso i primi passi (e, giustamente, secondo loro parametri).
Se questa esperienza si dimostrerà come una sintesi capace di realizzare alcune pratiche precedenti, non potrà che essere un bene. Per come si è mossa la “macchina”, mi era venuto però il timore che il rumore della cilindrata rischiasse di sovrastare tutto il resto. Insomma, come si può vedere in questi giorni, non mi pare che manchi la visibilità (sono usciti contestualmente pezzi su Nazione Indiana, Lipperatura, Vibrisse, Il Manifesto e altro che mi sarò perso): una voce, e anche piuttosto forte già c’è.
Quanto a forzare il blocco da dentro, mi sembra una buona idea: a noi nessuno ha chiesto di entrare, perciò quello che possiamo fare è criticare (laddove ci sembra il caso) da fuori, leggendo quello che fuori arriva.
@Simone:
Se ritenevo ragionevoli i tuoi dubbi iniziali, ora che hai sviluppato meglio le tue idee non mi trovo d’accordo con te su alcune cose:
La visibilità non è una colpa, e in questo caso è un vantaggio. Secondo me c’è solo da esser contenti che questo tipo di critiche allo status quo vengano finalmente ANCHE da un gruppo al cui interno ci sono persone che hanno accesso a canali più visibili, che possono dare più risonanza a un’istanza comune. Se non fosse nata TQ ci lamenteremmo che le istanze di cambiamento arrivano sempre dai soliti circuiti, tagliati fuori dai canali editoriali più noti. Invece più sono i fronti di una battaglia comune, e più sono visibili e meglio è, e se si collabora invece di criticare è anche meglio. Rivendicare che si fa parte di un gruppo che protestava da tempo sulle stesse questioni, e che alcune delle dichiarazioni del manifesto TQ questo stesso gruppo le aveva fatte proprie da prima, mi sembra un argomento sterile. Ben vengano invece, appunto, argomenti comuni di messa in discussione del sistema. Il punto non è “chi lo diceva da più tempo”, ma cambiare le cose. Se poi i giornali passano il messaggio di TQ come innovativo, come una “nuova” scossa al cambiamento, e questo ti infastidisce, è certo legittimo, ma toppi completamente obbiettivo se individui TQ come responsabile: questa superficialità del giornalismo medio è uno dei motivi per cui TQ è nata e uno dei principali argomenti di discussione del gruppo: la faciloneria dell’intellettuale medio, e il fatto che il giornalismo si è ridotto a una semplificazione banalizzante quando non fuorviante e manipolata, insomma priva di competenza e dignità.
La tua frase “a noi nessuno ha chiesto di entrare, perciò quello che possiamo fare è criticare”, a mio parere è del tutto priva di logica (“perciò”???). Tanto più due messaggi dopo quello di Ostuni che ribadisce l’apertura del gruppo e l’invito a chiunque abbia voglia di collaborare.
La prima riunione di TQ è stata inserita dagli organizzatori in un ciclo di seminari organizzati da Laterza, che ha messo a disposizione lo spazio per l’incontro, ma le persone presenti e gli interventi erano i più disparati, tutti estremamente eterogenei e dunque anche critici. Normale e anzi positivo che fossero presenti anche rappresentanti di case editrici (Minimum fax, Ponte alle grazie ecc.), anzi, vivaddio, quindi non capisco in questo caso la tua allusione nel messaggio precedente “tanto mi basta per farmi un’idea su come possa essere andata”: tanto TI BASTA? Perdonami Simone, ma ti basta molto poco per farti un’idea su qualcosa.
Quanto alla questione “reclutamento” per la prima riunione TQ, mi sembra pretestuosa anche la tua perplessità su questo argomento, mi pare invece ovvio che una cosa come questa nasca spontaneamente dal passaparola partito dagli organizzatori, che sono partiti invitando persone che conoscono, e altrettanto naturale che poi via via, durante le settimane di lavoro per email, tutti i partecipanti abbiamo suggerito e invitato persone che conoscono. E’ come se io dicessi che quando avete fondato Scrittori Precari non avete pensato di invitare anche me, o chicchessia magari scrittore precario da ben prima di voi, e che per questo “quello che posso fare è criticare”.
Insomma Simone, ci conosciamo da tempo e sai quanto stimo il lavoro di Scrittori Precari, ma in questo caso mi trovo in forte disaccordo con le opinioni che hai espresso e sul modo a mio parere sbrigativo con cui le hai espresse.
@Carolina:
accolgo le tue perplessità e cerco di risponderti.
Io non voglio rivendicare la priorità di parola su certi argomenti, ma sottolineare il rischio di far passare l’idea che finora la gente sia stata a grattarsi. Rischio che mi pare implicato in passaggi del genere: “Siamo ormai pienamente convinti, infatti, che non sia più sufficiente dedicarsi ciascuno per sé, con distaccata purezza, all’arte e alla letteratura: oggi più che mai è necessario praticare un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione.” (dal primo Manifesto).
Quanto al criticare forse mi sono spiegato male: intendevo che, non partecipando attivamente al movimento, posso solo limitarmi a capirlo da fuori ed eventualmente a criticarlo se non sono d’accordo con certe posizioni (oppure a congratularmi se ne colgo aspetti positivi, questo va da sé).
Per concludere sul “come”: la differenza è che “scrittori precari” non ha mai scritto manifesti con l’intento di parlare a tutti (ovvero a una certa “zona di pensiero”). E’ questo “noi” un po’ veltroniano che m’infastidisce, quando poi è evidente (e giusto, lo sottolineo ancora) che per forza debbano esserci stati dei parametri di selezione (la stima del lavoro che sottolineava Demetrio, ad esempio). Resta il fatto che se scorro i nomi vi trovo elencati pezzi di redazioni o autori di editori importanti. Se poi queste persone riescono a cambiare da dentro un sistema di cui hanno fatto parte finora (immagino per migliorarlo, se ho letto bene i manifesti), significa che si saranno mossi bene.
Hai ragione sul fatto che si sbaglia a semplificare, ma io in questi manifesti vedo praticamente un programma politico (si parla di mettere in secondo piano l’estetica, anche se per me scrivere è sempre un’operazione già politica, ma vabbè), un corpus di principi per certi versi condivisibili, che mirano a cambiare questo paese avanzando “una nuova visione operativa della cultura”. Mi sfugge però il destinatario di questi manifesti: l’Italia intera o gli stessi intellettuali e operatori della conoscenza che partecipano al movimento? Senza ironia…
Anche se non percepisce come un obbligo il darle ascolto, chiunque scriva deve, prima o dopo, appellarsi alla ragione. Questo lo deve fare perché la ragione è ritenuta essere, da quasi tutti i pensatori, la principale responsabile del non essere giunti a conclusioni, comuni e accettabili, sulla natura dell’esistenza e, soprattutto, sul perché siamo qui a sparlarle dietro.
Purtroppo per tutti la ragione ha ragione su tutto tranne che sui presupposti dai quali far procedere ogni ragionamento. È una vera disgrazia che non si possa partire dai postsupposti…
Da questo punto di vista il “lungo sonno della ragione” avrà un risveglio analogo a quando, in pieno buio notturno, per andare al cesso si scende dal letto decidendo per il lato dove c’è il muro.
@Simone:
Grazie per la risposta, ora contestualizzo le tue perplessità, e capisco meglio il tuo ragionamento e il tuo punto di vista. Ma resto dell’opinione che ci siano davvero pochi elementi nel manifesto TQ per dedicare tempo e spazio a scrivere e pubblicare una critica su un blog o su un giornale, tanto più se si fa uso di sarcasmo. Detto questo è chiaramente legittimo farsi opinioni leggendo il suddetto manifesto, l’importante è la consapevolezza che finché TQ non realizza qualcosa, non partorisce qualcosa di concreto, si tratta di opinioni pregiudiziali.
Un abbraccio e grazie per questo scambio di idee!
@Grazie a te Carolina: noi stiamo pubblicando qualche intervento sparso proprio per scambiarci delle idee 😉
Simone
mi piace l’assonanza con un titolo da rivista di f* giovane! XD
Pingback: Sui commenti | Generazione TQ: documenti e iniziative
Una generazione, anzi no, due generazioni di imbecilli cronici mi stanno davanti agli occhi. È sicuro che anche la mia di generazione non era poi tanto dotata, considerato che è genitrice di queste due che mi stanno sui coglioni, ma a tutto c’è un limite. E questo non dimenticando che a loro la mia pazienza è dovuta, se non altro perché io stesso sono stato oggetto della stessa pazienza, quando sventolavo, anche se con meno energia ed enfasi di quanto si gongolino a fare questi imbecilli, ai quali dedico queste mie brevi considerazioni.
Non si tratta di essere degli scrittori che si sentono offesi da altri scrittori deficienti, no no, qui è questione di intelligenze ridotte ai minimi termini dai vizi molli e dalle pappine sintetiche che i fricchettoni, ex sessantottini perduti, hanno rifilato loro. Freak che oggi propinano alle menti deboli, incantate dalla pubblicità dei riccastri, le ricette per essere infelici senza saperlo. Ma che gentaglia è questa che anela al successo e alla visibilità che spinge al trionfo dell’idiozia? Scrivono cose insulse per minorenni arrapati che si toccano di nascosto, illudendosi che la coscienza sia il risultato delle idee, e così annaffiano il loro pensato di ipocrisia, sentendosi avanguardie del diritto e della conoscenza. Ho provato, contro ogni consiglio dato dagli antichi infelici, di sondare la loro capacità di discernimento; ho parlato di princìpi, di cause e di effetti, di attenzione agli infinitesimali movimenti dell’animo e alle ragioni infime che si vestono di allori, ma niente. Avevano ragione coloro che sapevano aspettare nel silenzio che la vita muovesse i suoi pesanti passi che fanno tremare le illusioni.
Sono quasi incazzato con questi cretini che si compiacciono di essere diversi, orientati, come sono, verso il basso delle loro possibilità. Sono appartenuto anch’io alla follia, ma non ho mai perduto una sola e piccola occasione per riflettere sui miei errori e per cercare di mettere a fuoco un orizzonte più lontano di quello che mi si sgretolava tra le dita. Sapevo che doveva esserci, perché è nella natura di ogni orizzonte allontanarsi per essere cercato. Questi stronzetti letterati del cazzo, laureati col master, sparlano a vanvera di valori che non hanno, scrivono a casaccio per stupire con una creatività supina che distrugge, ingabbiando la libertà interiore col luccichio del desiderio dei sensi. Sono piccoli umani che camminano sulla punta delle loro scarpette da ballo, in raso e ossa, regalate da genitori delusi che conoscono i loro polli, ben sapendo che non è conveniente spiumarli perché stanno in piedi su un’ossatura tenuta insieme dalle piume. Scrivete pure, ragazzini adulti, e non chiedetevi mai chi siete in realtà, perché per saperlo bisognerà essere forti di stomaco.
Hai passato un buon ferragosto, Massimo?
GL
… illuminante… 😀
Fantascienza dedicata a chi scrive nella convinzione che il farlo renda speciali
Sono ormai ottanta anni che sto morendo o, per essere più precisi, che mi sento morire, e so che dovrei tirare le somme di una vita trascorsa ad aspettare una vita che fosse migliore per me.
Quelle rare volte che ho incontrato l’armonia ho immaginato che fosse la brutta copia della felicità che tendeva tranelli, ma ora che le cose stanno scivolando via rapide dai miei desideri… intuisco di non aver saputo riconoscere i segni davanti ai quali gli eventi si sono succeduti.
Ho conosciuto l’amore che non so descrivere, la vanità del compiacimento con cui l’intelligenza lascia il posto alla stupidità del non voler considerare quanto il legame che unisce ogni cosa esiga una costante attenzione al senso che hanno i suoi nodi.
Quante volte, pur vedendo, mi sono rifiutato di guardare, preferendo il credere al conoscere soltanto perché quel conoscere sarebbe stato troppo doloroso.
Eppure, ora che devo lasciare la presa, sento che la sofferenza del non riuscire a trarre una sintesi da tutto il mio vagare tra le lacrime, di gioia e di dolore, è peggiore del non aver voluto far soffrire l’odioso in me che ora piange, per aver voluto regalare ciò che ancora non capisco, attraverso il sacrificio dei miei difetti migliori.
Mi chiedo perché ho scritto e per chi, quando avrei dovuto, prima di farlo, conoscere le conseguenze della leggerezza con cui si rifiuta l’abbraccio di un Mistero che pretende senza chiedere nulla.
Morire stringendo nel pugno l’ultima penna mi pare l’unica cosa utile della mia vita.
Traccerò, col suo inchiostro, due linee nere sotto ai miei occhi, e mi lascerò andare nella furiosa mischia di una partita già persa.