La società dello spettacaaargh! – 14

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Caro Jacopo,

grazie per il tuo ultimo articolo, ho avvertito nelle tue parole uno spirito e una profondità inedita, rispetto agli altri. Non che negli altri non fossero presenti spirito e profondità. Solo che ho avvertito più Jacopo, qualcosa che muoveva maggiormente verso l’espressione della tua totalità. Forse dipende dal fatto che hai parlato sì di linguaggi, dinamiche eccetera, ma ne hai parlato unendo il piano linguistico a quello empirico, muovendo dalla tua esperienza diretta, molto aaargh! delle parole della FDN, restituendo la complessità di una gestalt che comprende il piano semantico di quelle parole e le possibilità insite nell’esperienza di quelle parole. Una gestalt che non mi piace particolarmente per tutta una serie di ragioni, molte delle quali convergono con le tue analisi; sarebbe inutile da parte mia aggiungere uno o due dettagli in più alle tue considerazioni. Il caso vuole tuttavia che anche qui a Perugia si sia tenuta la Festa Democratica, e anche qui si è deciso di tenerla nel Centro Storico. A me l’idea non è piaciuta: di solito quel che resta della tradizionale Festa de l’Unità si svolge nei pressi dello stadio, quest’anno invece si è deciso di cambiare. Non mi piace perché sì, come dici tu è una prova di forza, è un fare qualcosa perché il partito in città è forte, ma non si crea un evento culturale o politico, ci si limita a mettere degli stand, a replicare un modello da centro commerciale, e al limite siccome un tempo eravamo di sinistra-sinistra, mentre oggi siamo di centro-sinistra, quando va bene, allora si fa il concerto dei Nidi D’Arac. La cosa triste è che la festa si chiama Effervescenza democratica. Questa roba qua


Perché è triste? Perché, ti dicevo, e consiglio a riguardo la lettura di Metafora e vita quotidiana di Lakoff e Johnson, le metafore ci parlano di linguaggio e di esperienza. Posso capire la frase “l’amore è una lotta” linguisticamente, ma, se non ho vissuto direttamente sia la parola “amore” sia la parola “lotta”, avrò della frase una conoscenza basata sulla tecnica linguistica, principalmente, o sulla mia capacità di avvicinarmi alla frase attraverso percorsi cognitivi basati su esperienze che vi si avvicinano. Rischio dunque di vivere la metafora con una polarità –meta. Allora di cosa mi parla Effervescenza democratica, a parte la facile battuta «Il Pd fa pubblicità occulta alla Dolce Euchessina» che mi è uscita davanti al consigliere comunale che mi stava aiutando a raccogliere firme per il referendum? Mi parla dei pubblicitari che hanno tirato fuori questa parola. Non mi parla di idee, non mi parla di una qualsivoglia Weltanschauung. Mi parla di un trentasettenne che a una riunione dice: «ce l’ho! Bicchiere. Anidride carbonica. Effervescenza democratica! La medicina della buona politica, come l’aspirina», e poi va a festeggiare offrendo l’aperitivo ai colleghi. Non è un espressione che nasce dall’interno di un’esperienza politica, è qualcosa che nasce fuori, da un altrove che è inconsistente e che pretende di acquisire, per una propria intrinseca, arbitraria forza, una propria consistenza. È un format: la politica abdica in favore della rappresentazione.
Ma questo tipo di vuoto, che al posto della base ha il target, e dunque è etereo, crea una spaccatura insanabile. La classe dirigente, perdendo ogni possibilità di mediare poiché è il suo linguaggio stesso ad abortire questa possibilità, diventa il target di se stessa, cerca forme linguistiche in cui rispecchiarsi. Si svuota di contenuti, si autodistrugge politicamente, e nel voler mantenere il potere che ha non può far altro che propagare questo linguaggio, ostacolando gli altri. Fuori dai vecchi schemi del PCI, di cui tu hai giustamente parlato, rimangono così vecchie pratiche senza linguaggio, poiché il vecchio PCI aveva almeno un linguaggio ideologico, aveva un linguaggio che poteva mettere in relazione le elites del partito con la base (dico sul piano linguistico, poi sui comportamenti di chi comandava nel PCI è meglio non aprire parentesi).
Poi sì, alla fine la classe dirigente arriva a mettere non dico un cappello, ma mezzo sì, sulla raccolta firme per il referendum, rendendosi conto di una spinta dal basso pazzesca. Ma è un andare incontro che nasce dal bisogno di gestire se stessa, di dire «visto? Il PD c’è, vi abbiamo dato una mano, senza il nostro aiuto non ce l’avreste fatta». E quelle energie politiche magari in grado di rinnovare o rigenerare una tradizione, o di trovare un’idea o un modello di società nuova, alternativa, in un simile schema possono solo essere marginalizzate, ostacolate, viste con sospetto.
Pazzesco, non trovi?
Ecco, mi sono concesso questa settimana, questa “puntata”, per una digressione a riguardo, spinto dalle tue interessanti osservazioni. Sono contento che la «tazzina» ti sia stata d’aiuto. Non sono forse queste le parole e le metafore migliori, quelle che entrano in noi come cellule che attivano qualcosa di nuovo, qualcosa che ci è sempre sembrato lì, in effetti? Avevamo iniziato parlando di necessità di una liberazione da determinati tic, e forse, mi pare di capire, qualcosa si sta muovendo, pur nella perpetua e ferale assurdità che caratterizza questo periodo.
Potrebbe essere tempo di riporre quanto dipanato da quel gomitolo, o al limite di prenderne uno nuovo.

Matteo

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