Appunti biodegradabili dalla terra della fantasia – 5
ottobre 8, 2011 1 commento
Venerdì scorso, come sapete, sono tornato di nuovo a Roma. L’intenzione era quella di partire da Frigolandia verso le due di pomeriggio, ma quando sono riuscito a salire in macchina erano le quattro e mezza. Fino all’uscita di Roma nord il viaggio è filato liscio, ma non appena sono entrato nel raccordo: il caos. Le macchine erano incolonnate su tre file che procedevano a passo d’uomo, mentre io già cominciavo a rimpiangere la mia nuova casa e non vedevo l’ora di tornarmene in Umbria. La cosa più terribile, tra tutte, è la differenza della qualità dell’aria. Da quando sto qui me ne rendo subito conto. Su Roma c’è una cappa grigia che incombe come la morte, la vidi anni fa, una domenica a pranzo da un collega a Grottaferrata. Sarà vero pure che sono un fumatore incallito, ma a Roma la mattina scatarravo marciume, mentre da quando sto qui al di sopra di Giano non mi capita più. Piombo nei polmoni e pedalare è la regola della metropoli, la regola del mondo, della produzione sfrenata che impone ritmi di vita assurdi in cui cadiamo come topi in trappole alla ricerca della soddisfazione di desideri immaginari. L’umanità dovrebbe rendersi conto che sarebbe il caso di darsi una regolata, di fermarsi a ragionare su dove stiamo andando, su dove ci porterà questo modello di vita e di economia che è diventato pressoché insostenibile. Le regole del profitto uccidono, era scritto su un adesivo visto all’ex Snia. Le regole del profitto uccidono, mi ricorda un primo maggio di qualche anno fa al Forte Prenestino con annessa una sbronza colossale, ma questo è un altro fatto. Venerdì sera sono stato all’ex-Snia, al Logos c’erano quasi tutti i ragazzacci di TerraNullius e Scrittori precari. Ho trascorso due belle serate, mi ha fatto piacere riabbracciare gli amici e chiacchierare con loro, poi il reading – era da maggio che non leggevamo – e tra discorsi seri e risa e scherzi a un certo punto è finita che abbiamo messo la bavaglietta TQ alla gallina come potete vedere nella foto. La gallina, senza la bavaglietta, era stata sul palco con noi al posto di Luca. Simone le ha lasciato declamare un verso, spacciandola per poeta. Non pensavamo che l’avrebbe fatto, ma l’ha fatto. Dovremmo scrivere un libro e chiamarlo Non cresceremo mai, ha detto Simone dopo la lettura. Secondo me è un pessimo titolo. Sabato prossimo (oggi che leggete) siamo a Mal di libri, ma magari ve ne parlo la prossima settimana quando vi racconterò come è andata.
Domenica sono arrivato a Frigolandia poco dopo le due, il pranzo era quasi pronto. Non appena parcheggiata la macchina davanti la casa degli oblò ho visto che tra le persone che apparecchiavano la tavola c’era Peppe Fiore. Se c’è peppefiore me ne vado, ho detto scendendo dalla macchina. Liguori, che cazzo ci fai qua?, ha risposto lui sorpreso di vedermi. Sto qua, ho risposto. E giù a raccontargli che sto combinando, e lui a raccontarmi che sta combinando. Anche Peppe è rimasto rapito dalla magia di Frigolandia. Mi sa tanto che tornerà presto.
A pranzo eravamo una dozzina di persone, ai fornelli c’era Gaetano, che tra lui e Claudio davvero non saprei dire chi cucina meglio. Poi la domenica se ne calava lenta, e la Repubblica si svuotava. Lunedì mattina è venuto a trovarmi mio padre, voleva vedere dove sono sistemato e forse era preoccupato – ma se n’è andato tranquillo e contento – e non riusciva a immaginare questa mia nuova vita tra scritture, letture, cani e galline. A proposito di cani, i cuccioli giovedì se ne sono andati, hanno trovato una nuova dimora. Mi mancheranno. A proposito di galline invece, con la temperatura che s’è abbassata hanno smesso di fare le uova. Dobbiamo aspettare che torni il caldo, ma prima c’è da affrontare un lungo e freddo inverno.
La prima cosa che deve essere considerata, quando si decide di essere scrittori, non è la qualità della propria intellettualità; quella non interessa nessuno che non sia intellettualmente inclinato alla comprensione, ma nessuno che abbia questa inclinazione legge le cose che scrivono altri, perché già fatica a leggere le proprie per correggerle. Dunque altre dovranno essere le caratteristiche necessarie a stimolare l’assenza di intelligenza nei lettori. Intanto bisognerà essere circospetti, per non incorrere nel rischio che il lettore possa sospettare che aver deciso di leggere uno scritto non alla sua portata di comprensione corrisponda a un’altra mortificante perdita di tempo, come quando si segue un corteo funebre da troppo lontano per accorgersi che il nome del morto sulle corone di fiori non corrisponde a quello che si è lì a piangere. Uno scritto, che sia romanzo o racconto le cose non cambiano, deve indurre il lettore all’identificazione che gli fa dire:— Questa roba mi ricorda certe mie intuizioni, ma se l’avessi scritta io sarei stato più esaustivo—
Naturalmente il lettore medio non conosce il significato di “esaustivo” e avrebbe detto “esaurito”, i due termini essendo, a volte, sinonimi dello stesso disagio.
Per uno scrittore è di capitale importanza stupire senza costringere il lettore al confronto diretto. Il plurale majestatis è un modo di presentarsi in tanti, tutti d’accordo sulla stessa cagata, così da far sentire chi legge una minoranza che, probabilmente, sta dalla parte della ragione come storicamente è accaduto a tutti gli oppressi.
Guai a mettersi in cattedra, pontificando di cose incomprensibili, a chi si vendicherebbe di conseguenza.
Lo scrittore non deve mai addentrarsi nel tunnel spirituale del lettore, perché correrebbe il rischio di dare avvio a un’altra religione della quale non si sente il bisogno.
Si deve schivare come la peste ogni disquisizione che faccia insorgere, in chi legge, il dubbio di non aver capito la vita, perché questo dubbio sarebbe odioso anche per un bimbo di cinque anni.
Sì, lo so anch’io che, alla fine, seguendo questi miei consigli ci si troverebbe ad aver scritto la lista della spesa, ma uno scrittore dovrà pur mangiare… o no?