Per una definizione di fantascienza
ottobre 19, 2011 1 commento
Innumerevoli sono gli scienziati, o comunque i personaggi di formazione scientifica, che sono ricorsi alla letteratura per i motivi più diversi (divulgazione, speculazione intellettuale, narrativa, etc.). Facciamo solo pochi e arcinoti esempi: Galileo, Carlo e Primo Levi, Dostoevskij, Tobino, Musil, Asimov, Cricthon, Pynchon, Solgenitsin, etc.
Quand’è mai successo che un artista sfruttasse stabilmente una scienza per esprimersi?
La letteratura, nel suo atto, è narrazione dell’accaduto. La scienza è speculazione e tentativo di previsione del futuribile. Anello di raccordo fra i due è la fantascienza, che però è un genere letterario.
Qual è il corrispettivo scientifico?
La fantascienza consiste nell’applicazione letteraria della fantasia alla scienza. Ossia la scienza resa immaginifica da un tratto di eticità e di proiezione del proprio mondo 2 al mondo 1 e al mondo 3.
L’Odissea o Le Mille e una Notte non sono poemi fantascientifici, per esempio, non perché non ci siano navette spaziali o alieni, ma perché tutti gli elementi presenti in essi facevano già parte dei miti di quei popoli. Il futuribile era escluso (come, del resto, in ogni società chiusa e in ogni civiltà dove l’oralità è largamente predominante rispetto alla scrittura).
Dunque non sono produzione di una scienza resa fantastica, ma di filosofia e religione rese epica dalla poesia.
Un’opera, per essere fantascienza, deve prendere elementi esistenti e proiettarli in una realtà futura e/o in un’applicazione eterogenea.
Antonio Romano
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