Se Foscolo non fosse… /3
novembre 16, 2011 3 commenti
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Pur tuttavia, Foscolo non è solo l’Ortis. È anche Didimo chierico.
Ma andiamo per ordine!
Sappiamo che il poeta di Zante è neoclassico di formazione, ma Romantico per interessi e tematiche: antitetico al Monti, ma vicinissimo alla classicità. Abbiamo la riprova della sua familiarità coi classici anche per un’altra ragione: per l’uso che fa del nome Didimo.
In Notizia intorno a Didimo chierico aveva utilizzato quel nome con cognizione di causa. Come sappiamo quello era il nome di un erudito greco del I secolo a. C. e sicuramente Foscolo ne conosceva bene l’opera. Ma se conosceva bene l’opera di quel Didimo, doveva conoscere molto bene anche quella di Seneca. Perché? Per una semplice deduzione: Foscolo da un taglio ironico al nome del suo personaggio, lo stesso taglio usato diciassette secoli prima da Seneca in una sua lettera dove ricordò il grammatico alessandrino perché cavilloso e inutilmente pignolo.
Ma non è solo il nome di Didimo a essere ironico. Lo è anche il personaggio. E lo è perché si tratta d’un personaggio sfuggente: «Più facile a immaginarsi che a definirsi», come disse l’autore. Non gli si può appiccicare addosso un’etichetta: non prete né laico, non idealista come Ortis né annichilito come Odoardo, non triste né felice. L’appellativo “chierico” è utilizzato anch’esso ironicamente per significare “uomo di lettere”; eppure Didimo non è un letterato, ma solo un uomo «che aveva un po’ di libreria», come avrebbe detto Manzoni.
È interessante (solo per gioco) vedere Didimo come l’antitesi di Jacopo, il disilluso e a tratti cinico contro l’idealista appassionato. Gioco che, del resto, possiamo fare anche con le poesie. Perciò c’è da un lato Didimo chierico che legge Le Grazie all’ombra d’un melograno e dall’altro c’è Jacopo Ortis che gusta Dei sepolcri seduto su una panchina rivolta al sole.
Certo, è un giochino divertente e interessante, ma stupido e sbagliato.
La colpa è tutta della nostra educazione dualistica di stampo cartesiano che ci predispone ai parallelismi scontati: se fossimo orientali non vedremmo Didimo e Jacopo come la nemesi l’uno dell’altro, ma come due tasselli di un puzzle che s’incastrano perfettamente (gli orientali sono più bravi con le complementarità, non per niente sono gl’inventori dello yin e dello yang).
Per capire questo dovremo tirare in ballo Orazio: anche Foscolo ha vissuto la prima parte della sua vita con passione, senza risparmiarsi, all’insegna del carpe diem. Ma maturando ha compreso che la vita è molto peggiore di come l’aveva immaginata, per cui si chiude in se stesso armandosi di lucidità e sarcasmo: ora può concedersi ogni ironia perché ha capito che, in fondo, pulvis et umbra sumus.
Didimo è Jacopo, uno Jacopo più vecchio ed esperto, certo, ma pur sempre Jacopo! Jacopo era stato privato dei suoi sogni, ma non dei suoi ideali; Didimo si era privato del sacerdozio, ma non della vocazione (simboleggiata dalla tonaca. Dice Foscolo di Didimo: «Vestiva da prete; non però assunse gli ordini sacri; e si faceva chiamare Didimo di nome e chierico di cognome»).
Chissà quando Foscolo smise di essere Ortis e divenne Didimo? Forse in un momento preciso. Un momento che non conosceremo mai, ma che segnò un svolta fondamentale sia per la prosa di Foscolo che per la poesia.
Antonio Romano
Mi viene in mente il famoso detto: “Libreria non fa letterato e chierico non fa prete”.
attenta: sembra la sintesi di quello che direbbe massimo vaj
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