Precari, per cominciare…

Una delle accuse che ci rivolgono più spesso, che è anche la più scontata, poggia sull’assunto che lo scrittore sia precario per definizione – è insomma l’idea un po’ romantica dell’artista a prevalere, col corollario di un immaginario beat (o maudit) ormai digerito e assimilato, al punto che del ribelle è rimasta soltanto l’apparenza un po’ freak: l’idea cioè che lo scrittore sia un precario della vita, molto spesso per scelta, che dilapida tutto in nome del sacro fuoco della scrittura. Immagine un po’ comica, a dire il vero, se poi si prova ad esempio a contestualizzare la sua figura nella cameretta a casa coi propri genitori; o addirittura triste, se lo si pensa intento, egli scrittore, a costruirsi quel minimo di stabilità che ha già pensato qualcun altro a dilapidargli.

L’incomprensione, ne sono certo, nasce senz’altro da un nostro errore di valutazione, per riparare al quale dovremmo capovolgere i termini che compongono il nome del collettivo: specificando, cioè, che siamo prima di tutto precari e poi scrittori – come d’altronde si desume dalla citazione (non certo benevola) tratta da Libero, che compare nell’intestazione del blog.

La nostra avventura è nata proprio da questo connubio: semplificando, dalla volontà di raccontare, e quindi di condividere, una condizione del presente che è di tanti (di una precarietà che è sempre meno un lusso che possiamo sceglierci). Nel suo piccolo, questo può essere considerato un atto di resistenza – per quanto oggi si potrebbe obiettare che la precarietà sia diventata ormai argomento trattato abbastanza frequentemente in romanzi e film (tempo fa sul web, ma non ricordo dove, lessi un commento in cui si affermava addirittura che sia diventato un argomento appetibile per l’editoria, al punto da garantire la pubblicazione di un libro), e dunque la resistenza, più che andare contro il silenzio di chi fa finta di non vedere, andrebbe organizzata anche contro il rischio del cliché. Ed è infatti quanto abbiamo cercato di fare in questi quasi tre anni di vita, ospitando nel corso del tempo autori fra loro diversi, eppure secondo noi apparentati da una certa idea di scrittura, anche nel suo ruolo performativo: da qui la nostra esigenza di esporci più volte in pubblico, e dunque di provare a fare rete anche fuori della rete. Per dire insomma che precari lo siamo in effetti anche come scrittori, poiché ci sforziamo di abitare con la parola spazi non sempre “pertinenti”: la qual cosa ci mette costantemente nella necessità di rinegoziare la nostra posizione – che è un po’ come cambiare contratti in continuazione, se mi passate il paragone.

«La rete può dimostrarsi un’arma formidabile per chi voglia restare a presidiare il territorio, ma a patto che “prenda corpo”» scrivevo nel settembre del 2009 su Carmilla.

A distanza di due anni posso senz’altro dire che è quanto sta succedendo sempre più spesso nel nostro paese e non solo: che dalle nostre parti gli scrittori tentino di riprendersi un loro ruolo all’interno del tessuto sociale mi sembra una buona cosa, che non può non passare dal riconoscimento di una condizione che ci accomuna un po’ tutti – e che questa sia stata classificata sotto il termine di precarietà, non è un fatto che possiamo far finta di non conoscere.

Simone Ghelli

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One Response to Precari, per cominciare…

  1. …è una connessione inevitabile quella della precarietà con le ambivalenze del nostro tempo…
    e lo scrittore ne è solo il cantore a paga minima o nulla, o meglio ancora il cantore guerrigliero ( un pò come i camerieri guerriglieri di Palahniuk ), come potrebbe non essere tale. la sua sensibilità è una calamita per una condizione che cerca di screditare l’essere umano, che – senza voler giudicare nessuno – spesso con la sua indifferenza o superbia resta palesemente concentrato su se stesso, assimilando e digerendo simulacri e immaginari che così diventano
    ” normali “. sarà pure un clichè trito e ritrito ma lo scrittore E’ un precario della vita, anzi dirò di più, lo scrittore, essendo prima di tutto una persona, vive sulla sua pelle una doppia sofferenza o alienazione o disillusione, perchè non solo gli è difficile realizzarsi come poeta ma gli è anche difficile trovare un semplice lavoro ( come la maggior parte della gente )…doppia beffa quindi per chi nella vita ha più di qualche smaliziata ambizione. insomma la precarietà ci appartiene, è impressa ormai nel nostro dna, ed è un bene che sempre più film e romanzi portino alla luce le diverse sfumature di una problematica, che per quanto -sembra!- abbondantemente discussa, non è stata ancora risolta. anzi al contrario sembra peggiorare giorno dopo giorno. quindi ben vengano scrittori e artisti ( maledetti o no ) che attraverso le loro opere cercano di capire e sensibilizzare la società affinchè si possa trovare una soluzione decente. di sicuro tutto questo può solo aiutarci a migliorare le cose, non certo a peggiorarle! ciao e apresto Paolo Bat

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