Roma violenta – Liguori intervista Moretti
dicembre 6, 2011 1 commento
Sono trascorsi alcuni mesi dall‘ultima volta che ho intervistato, in occasione dell’uscita del romanzo Il senso del piombo, Luca Moretti. Quell’intervista è stata veicolo di discussioni accese e riportata in parecchi forum della destra radicale. Dopo la storia di Giusva Fioravanti e dei Nar, lo scrittore trentacinquenne torna nelle librerie, sempre per i tipi di Castelvecchi, con Roma violenta, un libro scritto a quattro mani col rapper Duke Montana. Torniamo a scambiare quattro chiacchiere con lui.
Bentrovato Luca, con Il senso del piombo avevi fatto storcere il naso a molte persone, ma questa volta hai lasciato da parte la politica per un libro diverso. Di cosa si tratta?
Caro Liguori, noi siamo amici e compagni di viaggio, e la gran bella intervista dell’altra volta è stata riportata su gran parte dei forum dell’estrema destra scatenando anche accese discussioni, ma quelli, poi, si sono suicidati tutti. In questo caso, come hai detto, si tratta di un libro diverso, se proprio dobbiamo dare una definizione, direi “di strada”. Roma violenta raggiunge un bacino di lettori molto giovane che in genere, con i nostri lavori esclusivamente letterari, escludiamo a priori. Questa è la prima grande diversità.
Spiegati meglio. Perché ritieni che “noi letterati escludiamo a priori” un determinato bacino di lettori?
Perché già la definizione di “letterati” è esclusiva, puzza di scuola, poi c’è la maniera con cui ci si relaziona nell’ambiente letterario-editoriale, comunicazione zero, ciascuno ripiegato sul proprio ombelico a vedere se è cresciuto qualche pelo. Spesso la vita oltre questi schermi è diversa, più diretta, violenta appunto, e mai scontata come la credono gli “intellettuali”. Non è certo questa la sede più appropriata per un discorso di questo genere, dal momento che sono anni che voi, come Scrittori precari, vi ponete in maniera differente. Eppure purtroppo c’è ancora chi s’illude di poter costringere generazioni dentro manifesti di asfittica banalità, chi “fotte” con le istituzioni e poi va in piazza e pensa che la gente debba, in quanto “intellettuale”, ascoltare le sue parole. C’è chi predica senza lottare, pronto a pentirsi, a chinarsi, in attesa che arrivino tempi migliori. Intanto nelle librerie, che dicono di essere in crisi, la gente fa la fila alla cassa per acquistare l’ultimo libro di Fabio Volo o di Giorgio Napolitano. Lo so sto divagando… (e sorride, ndi)
Sì, infatti, torniamo al libro. Perché, secondo te, potrebbe interessare i nostri lettori?
Forse perché ti senti minacciato dal titolo, oppure perché è un’opera di comunicazione transmediale, in cui le rime del rapper si fondono con le parole dello scrittore. Poi c’è Roma, il suo cuore di tenebra, la città dove viviamo e dove scriviamo, la meretrice eterna, una città che sembra il più grande teatro umano del mondo. E la violenza, lo dicono le cronache di tutti i giorni, continua a fare da padrona nelle terre bagnate dal Tevere.
Mi hai anticipato. Parlaci del tuo rapporto con la violenza. Sempre, tutti, i tuoi libri sono connotati da questo tema. Perché?
La violenza è una caratteristica umana come l’amore, per noi che raccontiamo delle storie dovrebbe avere la stessa dignità, la stessa bellezza.
Duke Montana. Come vi siete conosciuti? Come è stata l’esperienza di collaborare con il rapper?
Io e Duke ci conosciamo da quasi venti anni, lui è un veterano del rap, puoi passare una giornata con lui e accorgerti
che ha interrotto la conversazione con te perché sta parlando con Wiz Khalifa per convincerlo a venire a Roma, gli dice che se un rapper non ha suonato a Roma è meglio che si ammazza. E’ stata un’esperienza molto densa, durata oltre un anno, in cui ci siamo frequentati assiduamente. Tramite Duke sono venuto in contatto con un mondo che non immaginavo e che invece, come dicevo prima, ha più seguito di un qualsiasi imbellettato scrittore di fama.
Su alcuni giornali si è parlato di “scrittura di strada”, scomodando addirittura mostri sacri come Edward Bunker. Cosa ne pensi?
Bunker è morto e purtroppo non si potrà incazzare, ma credo che il paragone, forse, faccia riferimento al mio modo, contratto, di intessere periodi. In questo caso, poi, il richiamo viene, probabilmente, anche grazie all’utilizzo di termini forti, “violenti”. La lingua del popolo, che ha in sé una poesia che rende macchinario ed eresia ogni costrutto letterario, viene salvata dalla scrittura. Bisogna saper ascoltare e trascrivere. Spero di esserci riuscito, ma il giudizio spetta ai lettori, al popolo. Certo io mi piaccio, questo sì.
Il futuro? Prossimi progetti letterari?
Sto lavorando con Marco Lupo ad un’antologia di gente morta, che non c’è più e che se ci fosse sarebbero cazzi, poi a un saggio estetico/politico di cui terrei ancora riserbo. Ho più di un romanzo che mi gira in testa, devo maturare l’idea.
Venerdì 9 dicembre, in concomitanza con PiùLibriPiùLiberi, ci sarà il primo reading a Roma. Insieme a te leggeranno il nostro Coffami e Marco Lupo di TerraNullius, che i nostri lettori conoscono per Carta taglia forbice. Che serata sarà?
Come sai, abbiamo pensato di fare una festa in concomitanza della Fiera della Piccola e Media Editoria perché porta molti amici, sparsi in altre città e paesi, a Roma. Siamo soliti fare letture pubbliche una volta al mese al Margot, in via dei Volsci, a San Lorenzo. Abbiamo deciso di leggere Roma violenta, nonostante io stia facendo un tour in tutta Italia, perché durante le presentazioni nelle librerie è spesso difficile fare letture, ma anche perché, secondo me, “la strada” rimane il luogo migliore per avere una vero e proprio rapporto “affettivo” con i lettori. Oltre al grande Zabaglio e a Marco Lupo, il reading sarà accompagnato dal beat di Napalm p.s.k. che terrà il dj-set fino all’alba.
Ok, allora ci si rivede al Margot. Grazie della chiacchierata e, anzi, sai che ti dico? Se il 9 sto un po’ meglio con questo fastidioso problema ai denti, salgo sul palchetto e leggo Quando ho ucciso il mio editore…
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