Sempre più libri, e a pagamento
dicembre 12, 2011 8 commenti
Ogni anno mi succede la stessa cosa: che arrivo in fiera carico di motivazioni, con quella smania di guardar libri che solo chi non riesce a star senza leggere può conoscere (quella gioia tipica del bambino che s’avventura nel mondo dei balocchi), ma dopo un paio d’ore al massimo cedo miseramente e vengo colto da attacchi di panico, con quel senso di soffocamento che ti spinge a correre via, il più lontano possibile; e mi accade perché non posso resistere nell’ordine:
- Al caldo opprimente: che tu stai lì e ti chiedi come sia possibile che tutta questa gente così sensibile e acculturata non capisca e non protesti contro tanto spreco di energia – e allora, per associazione, pensi subito con sgomento anche a tutta quella carta che ti circonda, che chissà quanti alberi ci sono voluti (sì, ci sono anche i virtuosi della carta riciclata, ma quanti saranno in mezzo a questa baraonda di stand?)
- All’affollamento: che tu stai lì che vorresti sfogliare i libri, perché per quello sei venuto, ma se becchi l’orario sbagliato (tipo il tardo pomeriggio) devi avanzare a gomiti alti per difenderti dalla truppa agguerrita (ma il resto dell’anno questi cosa fanno, mi chiedo, leggono tutti?!) con tanto di borsetta griffata straboccante di volantini e cataloghi e segnalibri, e alla fine ti arrendi e ti accontenti di guardare le copertine come un bambino davanti alle caramelle colorate imprigionate dentro il barattolo di vetro.
- Agli spiritati: che te stai lì, in mezzo a tutti quei libri, a chiederti come sia possibile leggerli tutti, per chi siano scritti (a pensare insomma che fiere del genere dovrebbero distogliere lo scrittore da qualsiasi velleità e spingerlo a tornare alla vanga e alla terra), e immancabili trovi loro, gli aspiranti Autori con la cartellina sotto braccio, carichi di manoscritti da spargere in giro, con le loro storie strazianti di geni incompresi che da anni lavorano al romanzo del secolo (e tu che già ci sei passato vorresti prenderli sotto braccio come un vecchio amico e offrirgli qualcosa da bere, e sconsigliarli d’incaponirsi tanto, di buttare via tutti quei soldi in carta e quel tempo, perché tanto i loro fogli li perderanno, o finiranno chissà dove, ovunque, ma quasi sicuramente non letti).
- Ai ganzi: quelli che si atteggiano, che mostrano di conoscere tutti, che collaborano a destra e sinistra, con l’editore X piuttosto che l’Y, e che ti salutano con sufficienza, per dimostrare che sono impegnatissimi e di corsa, ma la prossima volta si fermeranno di sicuro a parlare con te, vedrai, di quella cosa interessante su cui sputi sangue da un paio d’anni – ma insomma, se poi non ti si fila nessuno pensi che un motivo ci sarà (ed è vero, pensi: che forse te sei davvero sbagliato, che sei inadatto a questo mondo, e che un po’ a dire il vero, infine, ti fa pure schifo).
Quest’anno, a dire il vero, ho resistito più del solito perché ero invitato a parlare in un dibattito contro l’Editoria a pagamento (EAP), dove ci siamo più o meno detti quelle cose che tutti gli addetti ai lavori conoscono: che pagare per pubblicare non è giusto per tutta una serie di motivi, e per l’autore (anche se non sempre è un giovane sprovveduto) e soprattutto per il lavoro editoriale (perché col rapporto diretto che si stabilisce tra editore – ma sarebbe più giusto definirlo in questo caso stampatore – e scrittore, vengono a mancare tutta una serie di ruoli e di passaggi intermedi che dovrebbero contribuire alla maggior qualità del libro). Alla fine, però, a parlare di tutte queste cose, e soprattutto della sovrapproduzione di libri, che era tangibile anche tutto intorno a noi, proprio in quel tempio dove eravamo invitati a parlarne, mi è presa ancora peggio del solito, e nella mia testa si è scatenato una sorta di cortocircuito tra le due parti di me, il lettore e lo scrittore, che si accusavano a vicenda: «Devi scrivere di meno!» protestava uno, «Devi leggere di più!» ribatteva il secondo. Al termine di questa dura lotta mi sono ritrovato sfinito, in preda al solito panico, alla sensazione di ritrovarmi davanti all’edificazione di qualcosa di molto più grande non soltanto di me, ma della somma di noi tutti, e dunque atterrito dinanzi a quella gigantesca costruzione di parole che è data dal totale di tutti i titoli pubblicati ed esposti tra quei banchi – e come non pensare, poi, a tutti quelli che non c’erano, e a quelli che già sono stati e che vengono via via ripubblicati? E alla fine di tutto ciò, come se non bastasse, ti chiedi anche come sia possibile che un sistema che produce così tanto non riesca ad assumere forza lavoro e che addirittura la sfrutti spesso a gratis: per fortuna che con l’amico Carlo Antonicelli siamo poi andati in giro per gli stand a proporre agli editori l’inchiesta sul lavoro cognitivo e il ruolo degli stagisti all’interno delle redazioni, di cui abbiamo già pubblicato alcune risposte sul blog PrecarieMenti. Insomma, almeno quest’anno me ne sono uscito dal Palazzo dei Congressi con la sensazione di aver fatto qualcosa di utile per gli altri, anziché per me stesso.
urge un protocollo di autocertificazione facile da comunicare al pubblico tramite il quale i piccoli editori onesti si distinguano da quelli a pagamento, anche in fiera – giacché grazie alla fiera quelli a pagamento si legittimano.
ah oggi la lipperini ha ripubblicato la lista EAP di writers dream, tolta da costoro dopo le molte minacce ricevute: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/liste-editori-a-pagamento-e-doppio-binario/
Mmm… più che un’autocertificazione ci vedrei un ente certificatore 🙂
Simone
ottimo pezzo simo, complimenti! il punto 3 soprattutto è memorabile, la conclusione invece è molto triste…
Grazie Pierluca, purtroppo è la realtà del momento a esser triste…
hai le ascelle pezzate dal caldo e siccome al bar lo sanno bene, una bottiglietta te la vendono a 1.50 euro. con 4 bottigliette avresti comprato un libro, ma saresti morto di sete…
A me, quando sento parlare di “enti certificatori”, francamente mi si accappona la pelle. Mi vengono in mente scenari di burocrazia fantozziana e rigurgiti pre-moderni di autoritarismo accademico. Occhio ai vecchi paradigmi.
Sul protocollo di autocertificazione, che non esclude un possibile ruolo dei lettori (ce li dimentichiamo sempre sti poveracci eh? 😉 ) invece penso che si possa ben ragionare.
Sì, ma a me s’accappona pure la pelle ragionando nell’ottica delle cose fatte all’italiana (vedi anche recente questione del cibo bio). Non vorrei che i bollini si regalassero come al supermercato 😀
Son d’accordo sul ruolo dei lettori, però il lettore di certe dinamiche può anche non esserne a conoscenza (parlo ad esempio anche del problema dei lavoratori all’interno delle case editrici). Diciamo che ci vorrebbe la convergenza di tutte le parti: di chi i libri li fa e di chi li legge.
Simone
Per fortuna, sono tre anni di fila che mi viene la febbre proprio nella settimana di Più Libri Più Liberi.
Così, se non altro, ho Più Tempo per leggere.
Sonia Caporossi