Bruci la città #2
dicembre 21, 2011 1 commento
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Io a volte vedo delle cose che ci rimango male all’idea che le vedo. Che poi, non è che proprio le vedo, più che altro me le immagino, ma me le immagino in maniera così vivida che mi fa paura la mia stessa capacità di immaginarmi cose del genere.
Una volta, per esempio, qualche anno fa stavo assieme a una ragazza che era proprio carina, e non era male nemmeno di testa. Un giorno però, mentre prendevamo una cioccolata calda in un bar, mi venne in mente un modo di dire che si usa dalle mie parti, che sta a significare che c’è un’età in cui le ragazze sono belline, ma poi si sformano. C’è un’età in cui le ragazze hanno la bellezza dell’asino, si dice, che finché regge, regge, ma poi si sgretola e allora si capisce se la ragazza è veramente bella, oppure no. Ricordo che mentre mi pulivo i baffi dalla cioccolata, rimasi un paio di secondi a fissarla e non era più come era sempre stata. La vidi improvvisamente deforme, picassiana. I suoi occhi si tramutarono in quelli tristi e incavati dei Sussex Spaniel, così come i suoi capelli mossi, che mi erano sempre sembrati così belli, ora erano tali e quali ai peli che hanno quei cani sulle orecchie. Le sue guance arrotondate le vidi scendere sotto il peso della forza di gravità e degli anni, e i suoi fianchi si gonfiarono come un palloncino riempito d’elio. Il seno lo vidi crollare e implodere e, nel momento in cui mi sorrise, mi parve che la distanza fra un dente e l’altro fosse incolmabile. Finita la cioccolata, mentre la riaccompagnavo a casa, le dissi con tono grave, RagazzaCheEriCarina, dobbiamo parlare. Lei, che aveva capito l’antifona, iniziò subito a piangere e la vidi ancora di più deformarsi, ma non le dissi questo. Le raccontai che avevo bisogno di stare da solo, di pensare a me stesso, di sperimentare la solitudine per entrare in contatto con la vera essenza dell’essere umano. Lei mi guardò male e mi chiese con tono scocciato se avessi un’altra, se l’avessi tradita. Le assicurai di no, ma non mi credette e, da quel giorno, non ci vedemmo più.
Quest’anno per Natale ho fatto una pianificazione che mi pare abbastanza buona. Calendario alla mano, ho definito i momenti della giornata e della settimana in cui è possibile uscire di casa per fare compere e quelli in cui è meglio evitare. Siccome non lavoro a tempo pieno e siccome, anche grazie alla crisi, i negozi in questo periodo sono aperti sette giorni su sette per ventiquattr’ore al giorno, ho potuto scegliere i momenti migliori. Nella fattispecie ho deciso che la mia operazione acquisti natalizi prenderà vita nei giorni di lunedì e martedì, prediligendo le mattine più che i pomeriggi.
Per questo stamattina sto seduto ai tavolini esterni di un bar proprio in mezzo alla via delle boutique. Aspetto il mio caffè e vedo passare una coppia di anziani distinti con un cane magrissimo e slanciato, con il pelo grigio e l’espressione aristocratica, che indossa un maglioncino blu con una M bianca. Nonostante lui, o lei, tiri il guinzaglio, i due padroni si fermano a guardare una vetrina di borse appese con dei fili da pesca. Nei cartellini di quella vetrina, avevo visto prima, i prezzi delle borse andavano dai millesettecento euro ai tremila euro. La donna entra, mentre il compagno rimane fuori con il cane. Entrambi stanno immobili, in una postura simile, guardano la porta che si richiude.
Proprio in questo momento vedo due lucine rosse, piccolissime, comparire sulle teste del cane e dell’uomo, che non se ne accorgono e, prima che possa dirglielo, le loro teste vengono trapassate da qualcosa che non capisco. Uno schizzo di sangue inizia a uscire dalle loro tempie, mentre i corpi si accasciano a terra come sacchi vuoti. Come in un’azione terroristico-pirotecnica preparata, vedo tutte le vetrine che esplodono insieme e i vetri che inondano i pochi passanti. Le persone ferite iniziano a urlare e a tamponarsi coi sacchetti dei regali. Una donna tampona la fronte sulle prime pagine dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Un ragazzo prende una fila di luci per albero di natale e se la lega all’altezza del bicipite destro, a mo’ di laccio emostatico, per interrompere l’emorragia. Nel frattempo gli oggetti e gli allestimenti dentro le vetrine iniziano a bruciare, senza che nessuno gli faccia nulla. L’odore acre della plastica e della carta e del legno si fa sempre più forte, assieme al fumo che esce da tutti i negozi della via. I commessi scappano fuori a respirare e tossiscono piegati sulle ginocchia, quasi soffocando e sputando nero. Alcuni, nel tentativo di salvare i prodotti, hanno gli abiti bruciati e si lamentano per le ustioni. Le fiamme si fanno sempre più grandi e inizia a far caldo. Mentre mescolo lo zucchero di canna che ho messo nel caffè espresso macchiato latte caldo, sento il rumore dei primi crolli strutturali. I soffitti cadono su loro stessi. I rumori di vetri rotti e di lamiere schiacciate si mescolano nelle orecchie. Penso che si sta distruggendo tutto. Tutto il Natale sta andando in fumo. In mezzo alla via, l’albero grande pieno di palle rosse brucia come un falò a forma di pino dal quale scoppiano, in piccoli coriandoli taglienti, gli addobbi di vetro non temprato. Penso che non rimarrà più nulla, se non gente ferita, qualche vittima, persone senza lavoro e locali distrutti. Penso che sarà una perdita immensa per le aziende; alla tv daranno notizie allarmanti. Penso che intervisteranno persone che piangeranno e parleranno con espressione incredula e basita. Penso che senza i regali, alla fine dei pranzi natalizi si creeranno dei momenti di imbarazzo e di silenzio, che culmineranno nella sensazione di stare vivendo un Natale rovinato. Penso che il fumo nero che mi inonda inizia a bruciarmi la gola e a farmi piangere gli occhi. Li chiudo. Metto una mano a coprire la tazzina, per far sì che il caffè non venga contaminato dal sapore acre del bruciato. Inspiro due volte, profondamente, e sento l’aria fredda di dicembre che mi entra nei polmoni.
Io a volte vedo delle cose che ci rimango male all’idea che le vedo. Che poi, non è che proprio le vedo, più che altro me le immagino, ma me le immagino in maniera così vivida, che mi fa paura la mia stessa capacità di immaginarmi cose del genere.
Dopo il terzo respiro, apro gli occhi. L’uomo anziano e il suo cane aristocratico sono ancora in piedi ad aspettare la donna che fa compere nella boutique. L’albero di Natale continua a illuminare di bianco la foschia umida della mattina. Una commessa pulisce con lo sgrassante e la carta da giornale la vetrina del negozio.
Scuoto la testa e penso che dovrei smettere di immaginarmi le cose in questo modo. Bevo il caffè d’un sorso e mi alzo. Controllo sulla lista il primo acquisto che devo fare. È un disco di Tiziano Ferro, per mia cugina di quindici anni.
Sarà contentissima quando le darò questo regalo, penso prima di sistemarmi per bene la sciarpa, onde evitare di ammalarmi.
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