L’amore e la morte, più l’odio. E il potere /2
gennaio 11, 2012 Lascia un commento
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Qui sarà utile raccontare un fatterello di cronaca. Abbiamo prima citato gli snuff movie. Il primo film snuff fu realizzato nel 1974 dai coniugi Michael e Roberta Findlay, ed era intitolato proprio Snuff. Nel film si voleva ricostruire in chiave pornografica la strage che la “famiglia” Manson operò a Bel Air e in cui perse la vita anche Sharon Tate, moglie di Roman Polanski. Findlay aveva già realizzato alcuni porno, disgustosi ed estremi, come Invasion of the blood Farmers e Shriek of the Mutilated; eppure i suoi primi film erano stati dei porno-soft. Da qui, con la moglie, si erano spinti fino all’hardcore, poi al sadomaso, poi al sadomaso estremo, fino ad arrivare allo snuff – cioè fino all’omicidio. La spirale era partita da una base piccola, con sesso abbastanza pacato, non abominevole; poi si era allargata al sesso efferato; quindi alla violenza; e la violenza era sempre più aumentata fino a diventare morte violentissima. Una spirale.
Dunque, l’amore è unione, la morte è disgregazione, l’odio è distruzione: e questo vale anche fisicamente.
Potremmo dire, banalmente, che il vero conflitto – anche se chissà se si può proprio parlare di conflitto dopo l’odi et amo catulliano – non è fra eros e thanatos, ma fra eros ed eris.
Ma a che serve l’amore se poi culmina nell’odio? L’amore è debolezza, necessità, comprensione (ma, come dice Dante, non c’è amore laddove i difetti dell’amato non sembrino pregi), è come la malattia: assenza di regola e pulizia e rispetto di se stessi e libertà.
Chiedersi a cosa serva l’amore se poi culmina nell’odio è un po’ come chiedersi perché fanno più eco le cattive notizie. La risposta è la solita: catarsi, solo attraverso il male si arriva al riscatto. Si potrebbe perfino arrivare a dire che, quando c’innamoriamo, è un po’ come se già sapessimo che “finirà male”. Ma questo male, poi, oltre a migliorarci, ci spinge verso un amore maggiore… come si dice nei romanzi rosa, verso il vero amore… come si dice comunemente “si chiude una porta e si apre un portone”… o, come scrisse il Sommo Poeta, dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori.
Esistono dunque diversi tipi d’amore (come “l’amore amicale”), che sortiscono diversi effetti e hanno diverse utilità. Eppure esiste un unico fine all’amore, a qualunque amore. Che è proprio l’armonia.
La gravidanza ne è un effetto tangibile: l’unione che, prima distrugge e disgrega, poi riunisce. La compenetrazione spirituale e fisica di due individui diversi in un terzo individuo. Il risultato dell’unione è un figlio… ricorderebbe il mito di un essere terzo né uomo né donna (l’embrione?), così come lo propone Platone (indicando l’invidia, o odio, di Zeus come atto disgregatore e distruttore dell’originario androgino) o Ceronetti parlando del tango ne La lanterna del filosofo.
Freud non può esserci d’aiuto qui: per lui amore e odio concernono la nevrosi, e la dinamica eros-thanatos riguarda gli affetti e le pulsioni e null’altro.
Dante, invece, si sofferma al vento, ma non esamina il mare. Cioè a quella passione che, proprio come fa il vento per esempio con le montagne, disgrega: e dunque è collegata con la morte; piuttosto che a quella che unisce e aggrega, come il mare che unisce popoli e continenti o agli inizi dell’evoluzione ha funto da utero per i primi organismi: ossia la passione che tende alla vita.
Ma tutti questi dati e queste supposizioni dove ci portano? Presto detto.
Questo rapporto palingenetico fra amore e morte, e antitetico fra amore e odio, non è altro che un’anticamera alla nevrosi del potere.
Il potere cos’è? Non è possibile dirlo. Al limite si potrebbe parlare di capacità di autodeterminarsi e autodeterminare, ma sarebbe vago e inesatto – non sbagliato.
Odio-amore: Freud ne parla a proposito delle nevrosi, l’abbiamo già detto, ed è identico al rapporto che si sviluppa nei confronti di un oggetto letterario come l’Anello del Potere ne Il Signore degli Anelli. L’Anello, per esempio, è amato e odiato da Gollum, il quale alla fine ne viene alienato.
Il potere è godimento, ma pure costrizione. L’onnipotenza è un limite perché, direbbe Sartre, condanna alla libertà: autodeterminarsi di continuo (dunque eternamente ridefinirsi) è terribile, perché impone un carico di responsabilità a cui tutti si sottraggono delegando l’ordine sociale alle istituzioni. Libertà in cambio di ordine, cioè autodeterminazione in cambio di meno responsabilità (non è Fromm?). E, se vediamo nell’ottica del potere l’odio-amore, improvvisamente l’aggregazione amorosa diviene semplicemente sesso e la disgregazione dell’odio omicidio.
I dittatori più equilibrati (che, dunque, avevano usufruito di amore come ogni altro essere umano) hanno fatto ricorso in maniera non inconsistente alla propria carica sensuale per manifestarsi, quelli meno equilibrati (dunque frustrati nella loro ovvia richiesta d’amore e quindi sbilanciatisi verso l’odio) hanno sempre esibito violenza e autorizzato l’omicidio (prendiamo queste ultime due osservazioni, ovviamente, cum grano salis).
Ma, alla fin fine, non si predilige l’amore perché ci consente di vivere o perché – come vorrebbe Liala – ti fa sentire vivo e felice. Scegliamo l’amore perché è l’elemento più prossimo alla verità.
La verità è sempre sul confine. Lo è perché anche l’uomo è sul confine. L’essere umano, come dice Fink, è Das Zwischen-Nacht-und-Tag: ciò che sta fra notte e giorno; essendo così in bilico è misura di tutto, poiché è l’uomo stesso misura di tutte le cose (Protagora), ed essendo misura è automaticamente infinito – può stabilire ogni cosa. L’uomo è già onnipotente.
Questo per quanto riguarda le cose che, per così dire, rientrano nella sua giurisdizione: per tutto il resto cerca la verità, ossia la misura principe che lo sovrasta.
Ma all’essere umano non è dato conoscere questa verità. Edipo risolse il quesito della Sfinge sul mutare dell’uomo e alla fine fu reso cieco dal dio delle forme perfette e della luce: Apollo – lo stesso Apollo che in Nietzsche è perfezione e misura e che s’accanisce sempre contro la stirpe di Cadmo.
Questo perché l’uomo sta al destino come il mondo sta al logos. E poiché l’uomo non può pretendere di conoscere il destino né tanto meno il logos, inevitabilmente, quando gli si avvicina, viene reso cieco: un po’ per contrappasso, un po’ perché non possa ripetere la scoperta in seguito o dare indicazioni ad altri per conseguirla.
L’unico strumento che l’uomo ha per conoscere la verità è la bellezza: la verità è bellezza (Keats?), e la bellezza si cerca di realizzarla nell’arte in via teorica e nell’amore in via pratica.
Antonio Romano
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