Storia delle Utopie Economiche nei Mercati Globali /4

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3. La condanna delle utopie: l’economia dello sviluppo

L’economia dello sviluppo nasce nel secondo dopoguerra, caratterizzato dalla ricostruzione in Europa e dalla contrapposizione dei blocchi scaturiti dalla guerra fredda, mentre si avviava il processo di decolonizzazione e i nuovi stati rivendicavano una disciplina che si occupasse dei loro specifici problemi. Nel 1944, a Bretton Woods, nascono la International Bank for Reconstruction and Development, altrimenti nota come World Bank (Banca mondiale), e il Fondo monetario internazionale (I.M.F.). Come ebbe a dire H. Truman nel suo discorso di reinsediamento alla presidenza degli Stati Uniti (20 gennaio 1949), si trattava d’indicare la via liberal-capitalista della prosperità agli stati di recente indipendenza caratterizzati da sottosviluppo, ovvero da bassi livelli di crescita economica, altrimenti attratti dal modello concorrente socialista. La visione ottimistica del cosiddetto paradigma della modernizzazione era fiduciosa nell’uniformità del processo di cambiamento economico, sociale e politico già avvenuto nelle società del primo mondo. Quest’ultimo era interpretato in termini di passaggio da una situazione di arretratezza a una caratterizzata da industrializzazione, urbanizzazione, e alti livelli di benessere materiale. Su queste basi, l’Occidente pretendeva di applicare le elaborazioni di tale auto rappresentazione al terzo mondo, considerato di conseguenza un blocco unico e indifferenziato. Tutte le più importanti teorie economiche del periodo partivano dal presupposto comune che lo sviluppo consistesse in un processo evoluzionistico mosso da forze endogene lungo stadi temporali validi per tutti i paesi.Negli anni ’60, contraddistinti da stagnazione economica e lotte per l’indipendenza, risultò chiaro che la prospettiva di un imminente decollo del terzo mondo si allontanava sempre più e che il modello occidentale di sviluppo non era applicabile automaticamente ovunque. La tesi centrale è che sviluppo e sottosviluppo sono fenomeni connessi fra loro, aspetti del medesimo processo storico della formazione del sistema capitalistico mondiale. Lo sviluppo è alimentato dal sottosviluppo, nei seguenti termini:
la legge del vantaggio comparato nel sistema economico internazionale penalizza i paesi del terzo mondo, specializzati nella produzione di materie prime e dunque maggiormente vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi;
la legge dello scambio ineguale penalizza il contraente del sud perché più alti livelli di tecnologia e maggior costo forza lavoro aumentano i prezzi delle merci che giungono dal nord.
A insistere in particolare sull’interdipendenza dei processi di sviluppo è la componente neomarxista dei dependentistas (Paul Baran, André Gunder Frank, Samir Amin, Immanuel Wallerstein). Costoro ritengono che sia proprio l’ingerenza dell’Occidente a impedire al terzo mondo di giungere all’industrializzazione e allo sviluppo, e danno grande rilievo alla rivoluzione contadina (secondo l’interpretazione maoista dell’originale teoria marxista) nell’evoluzione dal tradizionale al moderno. Il correttivo alla squilibrata situazione economica mondiale poteva venire solo da un’inversione di rotta di carattere politico: era necessario che il sud si sviluppasse secondo modalità originali di capitalismo di stato, il che avrebbe reso gli stati finalmente autonomi nella gestione del proprio surplus a favore degli interessi generali, e non delle locali borghesie compratrici di beni di lusso del nord. Frattanto, la seconda decade dello sviluppo (1970-1980) vide la consacrazione a livello teorico-progettuale dello “sviluppo diverso”, così definito dal Documento programmatico dell’Assemblea ONU del 1975 (What now. Another Development) redatto dalla Fondazione Dag Hammarrskjold di Uppsala. Esso postula, sistematizzando molte delle critiche che in quegli anni erano maturate nell’ambiente degli addetti ai lavori, che lo sviluppo debba possedere i seguenti caratteri:

deve tendere alla soddisfazione dei bisogni primari (da J. Galtung), ovvero garantire a ciascun individuo di tutti i paesi nutrizione (vedi alimentazione), casa (vedi abitazione), vestiario, salute, ma anche libertà, identità, giustizia;

deve essere endogeno e self reliant, ovvero basato sull’autosufficienza, sul contare sulle proprie forze;

deve essere in armonia con la natura, cioè sostenibile* (dall’ecosviluppo di I. Sachs);

dev’essere partecipato, secondo la teoria del “terzo sistema” formulato dall’IFDA (International Foundation for DevelopmentInitiatives), che proponeva la riappropriazione dello sviluppo da parte del Cittadino (nella forma di società civile e di organizzazioni non governative), contrapposto al Principe (stato) e al Mercante (economia).

Corollario della partecipazione divenne il principio di responsabilità, o accountability, secondo il quale chi esercita un potere deve essere considerato responsabile delle conseguenze del suo esercizio.
Quello successivo è stato definito “il decennio perso dello sviluppo” (anni ’70). L’aggravarsi della crisi debitoria spostò l’attenzione degli economisti, delle organizzazioni internazionali e dei governi sul problema della stabilizzazione. Il clima culturale dominato dalla destra al potere in Gran Bretagna e Stati Uniti fece riferimento a modelli economici neoclassici e macroeconomia monetarista. Sotto accusa erano le strategie stataliste dell’approccio keynesiano-strutturalista: per contro si stabiliva che solo il mercato avrebbe permesso, sul lungo termine, la crescita economica e la lotta alla povertà, nonostante l’austerity nel breve periodo. Le ricette, formalizzate nei programmi di aggiustamento strutturale (PAS) del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, ai quali era condizionata la concessione di prestiti ai paesi indebitati, furono diverse:
la soppressione delle misure protezionistiche;
la liberalizzazione del commercio;
la svalutazione del tasso di cambio;
la contrazione della spesa pubblica;
la privatizzazione.
Dopo vent’anni, la valutazione complessiva dei PAS non può non rilevare, nella maggioranza degli stati che hanno applicato queste misure, l’aggravamento della povertà, dovuto allo smantellamento della maggior parte delle realizzazioni precedenti.

*Secondo i teorici dello sviluppo sostenibile e il movimento per la decrescita, la crescita economica viene anche definita come un’aberrazione dell’ideologia capitalista che vede nella corsa all’accumulazione capitalista e alla produzione una finalità che trascura i limiti dello sviluppo dettati dalla povertà, dalla diffusione delle malattie e dal depauperamento continuo delle risorse del pianeta che prima o poi arriverebbero a intaccare il normale funzionamento dell’economia capitalistica, con un conseguente stallo generale del sistema.

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2 Responses to Storia delle Utopie Economiche nei Mercati Globali /4

  1. Pingback: Storia delle Utopie Economiche nei Mercati Globali /5 « Scrittori precari

  2. fausto says:

    Le medicine finanziarie partorite negli ultimi decenni hanno fatto tanti danni; probabilmente adesso i paesi del terzo mondo devono pensare ad un futuro più autonomo, devono guardare meno ad un primo mondo che non può più fornire loro alcunché.

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