Let. In. 8
giugno 12, 2012 16 commenti
Let. In.
Antologia di Letteratura Inesistente a cura di Carlo Sperduti
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SESSO E AMORE E SESSO
100 colpi di cazzuola prima di andare a dormire
di Clarissa B.
(Cazi Editore)
Ma quali sono i valori dei nostri giovani? Dove li conduce la loro curiosità? Che punti di riferimento hanno nel mondo di oggi in preda al relativismo? Queste sono le domande inquietanti che sorgono spontanee al lettore medio scorrendo le pagine del libro-scandalo – già caso letterario a nemmeno un mese dall’uscita in libreria – della scrittrice adolescente nota alle cronache come Clarissa B.
Si tratta di un vero e proprio mix di autobiografia e fiction in un racconto, sotto forma di diario conturbante, dei vizi e desideri di una ragazzina la cui pubertà sboccia e matura con una prorompente e singolare invadenza, a deviare verso l’estremo il percorso altrimenti sano di un’anima pura e innocente come appare da subito quella della protagonista. La storia si svolge in una Catania barocca, dove il sole prepotente della Sicilia non riesce comunque a stemperare il grigio della pietra lavica dei palazzi, e in cui la gioventù per bene del posto sembra essere pienamente inserita nella più ortodossa e sana tradizione educativa borghese.
Le descrizioni di Clarissa sui suoi compagni appaiono, infatti, del tutto conformi a un modello di giovane borghese perfettamente accettabile ed encomiabile: troviamo le classiche quindicenni impegnate in fellatio durante divertentissime “feste del pompino”, sbarbatelli impacciati alle prime armi con il cunnilingus addestrati dalle impazienti e sagge ragazzette di quartiere, lezioni dimostrative sul sesso anale nella palestra dell’oratorio, ragazzotti sui diciott’anni che menano schiaffi alle loro consorti quattordicenni perché non più vergini per poi passarsele fra di loro come le figurine Panini, fresche sedicenni che si offrono a bellimbusti di ogni età proponendo di essere stuprate per poter liberare la loro infinita e insopprimibile capacità di amare…
Insomma emerge, dalle pagine del diario della protagonista, un ritratto idilliaco della migliore gioventù italica, totalmente plasmata dall’ossequio verso quelli che sono i più grandi esempi educativi che la nostra progredita società può offrire: e cioè preti, politici e papponi.
Ma Clarissa ha delle esigenze diverse. La sua anima è turbata da una strana e irrefrenabile voglia, da un desiderio compulsivo che la porta a ignorare cose che sarebbero naturali alla sua età, come il piacere di poggiare le proprie labbra carnose su un glande, la vibrante tensione dei muscoli durante una penetrazione, l’incontenibile passione che supera l’iniziale inibizione nelle deflorazioni anali.
Clarissa vuole altro, vuole di più, ma per gran parte del romanzo non riesce a capire cosa.
La storia prosegue a lungo nel rimarcare fino ai limiti del pedissequo la distanza fra il mondo normale dei giovani e dei loro esercizi sessuali, e l’universo inspiegabilmente “altro” della protagonista che si strugge in solitaria nella sua stanza. Finché un giorno, fuori città, nella cantina della casa del nonno materno, Clarissa trova la sua vocazione, lo sfogo all’inspiegabile contrizione della sua anima: una cazzuola è poggiata su delle buste di cartone aperte, dentro le quali c’è una sorta di polvere bianca che sembra farina: è gesso. Istintivamente mette dell’acqua in un secchio e vi butta poi un po’ di quella polvere, agita e mescola per un po’ la poltiglia, infine afferra la spatola in una mano e la cazzuola nell’altra e inizia a spalmare delicatamente sulle crepe dei muri scuri della cantina quel morbido e candido impasto. Ecco il desiderio, ecco la vocazione, ecco quella necessità rimasta inespressa e incompresa per così tanto tempo!
Di lì a poco, Clarissa finisce per ritramezzare la casa, rintonacare la sua stanza, alzare muretti a secco a scuola, ripiastrellare i bagni dell’oratorio di cui i suoi compagni si lamentavano per il luridume che li rendeva inadatti a scoparci dentro (si noti qui la mordente critica civile dell’autrice nei confronti del problema epocale della scarsa igiene nei luoghi deputati all’interscambio di liquidi seminali); il tutto nella generale riprovazione dell’intera comunità.
A partire dai suoi genitori per finire col suo parroco, che amorevolmente l’aveva molestata quando aveva dieci anni, tutte le persone che la conoscono finiranno col bollarla come una “muratrice compulsiva”, un cancro della società da emarginare e tenere lontano per evitare che infetti la parte migliore di quella gioventù borghese così sana e incorrotta dall’abominio del calcestruzzo, dal terrore dell’intonaco, dallo spavento per le forme incomprensibili di oggetti come il frullino per mescolare la calce, la spatola, e soprattutto lei, la cazzuola!
Fermiamoci alla descrizione di questo impasse senza svelare al lettore come si conclude il romanzo. Perché proprio una tale e tanto drammatica impasse non può non sconvolgere anche e soprattutto il lettore stesso, che viene posto con la schiena al muro dall’incalzante ritmo con cui l’autrice pone questa dimensione di alterità della protagonista facendocela vivere in prima persona, senza mediazioni.
Dalla scrittura scorrevole e talvolta non si sa quanto volutamente sgrammaticata, emerge un tormentoso disagio esistenziale che porta a interrogarsi sul modo in cui educhiamo i nostri figli, sul rapporto che loro hanno con la figura del carpentiere e sul modo del tutto perturbante in cui uno strumento di perdizione come la cazzuola agisce sul loro inconscio.
100 colpi di cazzuola si configura, allora, come un libro-scandalo, di denuncia di un fenomeno preoccupante e che le cronache registrano come in allarmante aumento, e seppur di dubbio valore artistico (come molti critici sostengono), merita di essere letto per la forza con cui richiama il mondo adulto alle sue inderogabili responsabilità educative, e al bisogno di riaffermare il valore cardine della nostro vivere civile – lo svilimento della sessualità – affiancato dall’esigenza di istillare il giusto odio verso quello stile di vita barbaro e immorale qual è quello del muratore.
Leonardo Battisti
Lettura di Le perversioni di Agosto Santin
Godega di Sant’Urbano, 14 settembre 1992
“Caro Agosto, non hai letto Sade”. Ecco il primo commento che mi è venuto in mente subito dopo aver chiuso con violenza il nuovo lavoro che Agosto Santin mi ha mandato per posta. Il libro mi è arrivato subito dopo pranzo, accompagnato da una presentazione scritta a macchina. Ciò mi è dispiaciuto perché dalla calligrafia avrei avuto a disposizione maggiori elementi di giudizio. Ma anche una pagina dattiloscritta può dirmi molto sulle intenzioni di chi scrive: bisogno di essere compresi senza difficoltà, senso del pudore, distacco, volontà di stabilire un rapporto poco intimo, vergogna o semplicemente abitudine. Più che la classica presentazione dei contenuti e delle intenzioni del libro, si tratta del delirio di un uomo che cerca di stabilire con me un rapporto di complicità. Dà per scontato che io sia del suo stesso parere. Ciò mi disturba parecchio. La lettera si trascina per forza fino all’ultimo rigo della pagina. È evidente che Agosto non voglia lasciare spazi vuoti. Così ho preso subito il libro e ho controllato l’ultima pagina. È la duecentosettanta ed è riempita fino in fondo. Stessa cosa per l’ultima pagina di ogni capitolo. Preso da un terribile sospetto sono andato subito all’indice, posto alla fine del libro. Tre parti. Ogni parte tre capitoli. Ogni capitolo trenta pagine e la descrizione di una perversione. Solita struttura basata sul numero tre, lo immaginavo. La prima parte riguarda le Perversioni della parte superiore del corpo. La seconda le Perversioni della parte centrale del corpo. La terza le Perversioni della parte inferiore del corpo. I capitoli prendono il titolo dalla singola perversione trattata, usando la sintetica descrizione di un’azione: «Inserire il proprio membro maschile nella bocca di una donna.»
– E questa sarebbe una perversione? – ho esclamato a voce così alta da svegliare il gatto che dormiva su una sedia.
Dopo aver tolto il libro dalla bilancia mi sono rassegnato a cominciare la lettura. Mi sono seduto sulla poltrona e mi sono tolto le scarpe. Tolta la sovraccoperta che mi dà sempre fastidio sotto le dita, mi sono soffermato per qualche minuto a osservare il nero severo della copertina rigida con titolo e autore incisi in oro a caratteri in stampatello.
Dopo quattro ore di lettura ho chiuso di forza quel libro. Non tanto per la stizza, quanto per il sollievo di essermene liberato.
Le perversioni sono l’ennesima bigotteria di Agosto Santin. Basta il fatto di chiamare “perversioni” quei piaceri sessuali naturali e per nulla deviati a rendere il tono dell’intero libello. Un atto d’accusa contro i piaceri più deliziosi del letto, farcito con la solita avvertenza del tipo: “Se continuiamo di questo passo, dove andremo a finire!”.
Ciò che più mi ha rovinato la giornata (andrò a letto presto) è la totale ignoranza dello scrittore in materia di perversioni. Agosto Santin ignora completamente un mondo o fa finta che non esista. Per attribuire alla sodomia (capitolo quarto, «Inserire nella parte terminale dell’intestino retto il proprio membro maschile») il peccato di perversione bisogna per forza non conoscere per esempio la coprofagia. A meno che Agosto Santin non consideri le pratiche descritte da Sade dei crimini, non assimilabili alla categoria più mite, sebbene mostruosa, di perversione.
I nove capitoli di questo libello sono patetiche descrizioni di piaceri che l’autore non ha evidentemente mai provato. Già dal primo capitolo si comprende l’ingenuità di Agosto Santin che non arriva nemmeno a concepire, e infatti non ne fa menzione, la possibilità che la donna possa assaggiare e per di più ingerire «il seme fecondo che sgorga dal membro maschile.» Agosto Santin non attribuisce mai un nome a ciò che pare più intimo, come per il timore di scrivere una brutta parola. Utilizza sempre la descrizione di un’azione. L’omosessualità, appena accennata con orrore nel libro, diventa «l’accoppiarsi di un uomo con un altro uomo, anziché con una donna.» La masturbazione diventa «L’agitare con ardore il proprio, o peggio, l’altrui membro» (capitolo cinque).
Agosto Santin, dunque, non conosce l’argomento che tratta e ostenta un sapere che non possiede. Forse per questo Le perversioni sono, nonostante tutto, un buon lavoro di fantasia. Questo libro, preso per un verso che l’autore non aveva previsto, rischia di diventare un ottimo saggio sull’immaginazione dell’uomo.
L’autore prende il nome di ciò che vuole descrivere e a partire da esso si raffigura di cosa in pratica si tratti, senza averne però sperimentati gli aspetti segreti che non si palesano a un’indagine razionale. Questa conoscenza esteriore e di testa porta Agosto Santin a utilizzare il filtro delle proprie convinzioni morali e della propria educazione rigorosa senza le quali non saprebbe come decifrare questi momenti intimi e ignoti dell’esistenza. Ciò che c’è di più interessante è proprio quello che Agosto Santin non riesce assolutamente a concepire e che rappresenta un notevole limite dell’immaginazione umana. L’autore non menziona il fatto che si possa provare piacere attraverso il dolore perché due termini antitetici non possono incontrarsi in un pensiero razionale. Così non immagina che un uomo possa mangiare le feci di un altro uomo perché pensa che sia un valico naturale insuperabile.
Resta una domanda: perché Agosto Santin ha scritto questo libro? Cosa vuole dimostrare? A questo punto delicato mi fermo perché, pur essendo questa una sede strettamente personale, non voglio lasciare per iscritto considerazioni delicate su un mio grande amico. Preferisco tenerle per me.
Ora dovrò scrivere una risposta alla lettera di Agosto e dovrò sforzarmi di sottolineare ciò che c’è di positivo nel suo libro e fare finta di dimenticare tutto il resto. Ugualmente dovrò fare sulla recensione per il giornale, altrimenti Le perversioni non arriveranno nemmeno sugli scaffali della libreria. Per fortuna che qui, in questa stanza, un poco si respira.
Matteo Porretta
Ormai, sempre motivato da un pietismo che mi è congenito, sono rimasto l’unico a commentare le vostre malefatte letterarie, mentre voi, scrittori precari, insistete a voler restare al centro del campo a contarvi i foruncoli, senza accorgervi che lo stadio si è svuotato. Certo raccogliere le noccioline sotto ai sedili del pubblico e zurlare i fondi di coca cola, che sporcano i bicchieri di plastica riciclata rovesciati a terra, è forse meglio del puro e crudo precariato… o no? 😀
Giochiamo solo per te, che sappiamo smanioso in attesa del martedì, come coloro che attendono la partita di coppa in tivù 😀
S.
Smanioso: aggettivo che indica le esaltanti qualità proprie all’individuo che non si accontenta di poco, nella sfiga che gli è stata imposta dall’avere sempre di meno… 😦
Visto che ogni tanto mi viene in mente qualche rubrica inutile: Vaj, posso farne una raccogliendo i tuoi commenti su Scrittori Precari? Non sono il solo a smaniare per una cosa del genere, te l’assicuro.
Visto che ogni tanto mi viene in mente qualche rubrica inutile: Vaj, posso farne una raccogliendo i tuoi commenti su Scrittori Precari? Non sono il solo a smaniare per una cosa del genere, te l’assicuro.
Carlo Sperduti (prima non mi firmai)
Inutile: Termine ritenuto di uso poco raccomandabile dalle “civiltà” che tendono al profitto, perché vorrebbe indicare tutto ciò che è superfluo e non orientato a riempire le tasche delle anime che sono convinte di avere un peso.
I miei commenti, esclusi dal contesto dei vostri scritti che li hanno motivati, sono spauriti come perle fuori dall’ostrica, esalano profumo come la marijuana rimasta dopo che son finiti i fiammiferi, analoghi all’insulto lanciato a un dio al quale ci si crede poco, simili alla messa celebrata da un prete pedofilo. Quest’ultima conserva il suo valore indipendentemente da chi la sta offendendo.
Vajmax, se vuoi far parte di scrittori precari, credo che basti dirlo…
MP
Grazie, ragazzi, ma non è nei miei obiettivi, né prossimi e neppure futuri. Nonostante io sia stato strutturato dal Padreterno per la vita in comune, schiere di demoni han pensato bene di rovinare tutti i miei tentativi comunitari di conquistare l’assoluta supremazia gerarchica e intellettuale. I risultati ottenuti nel mio passato fricchettone hanno indotto qualcuno al tentativo plurimo di farmi la pelle, e mi seccherebbe dare anche a voi le stesse, golose, opportunità 😀
yeah!
carlo.
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