Gazza’s Superstar Soccer
luglio 18, 2012 1 commento
In attesa di Fútbologia, dopo la pubblicazione dell’indice de Il mondiale dei palloni gonfiati e Il cigno di Utrecht, ritorna un racconto calcistico firmato Antonio Russo De Vivo.
Fútbologia è un festival di 3 giorni che si terrà a ottobre a Bologna, con conferenze, reading e incontri. In mezzo proiezioni di film e documentari, torneo di calcio a cinque, bar sport, workshop di costruzione della palla per bambini. E tanto altro ancora.
Fútbologia è un modo per ripensare il calcio. E tanto altro ancora.
Un giorno noi amici d’infanzia ci trovammo tra le mani una cassetta con un gioco di calcio nuovo per il commodore 64. Si chiamava Gazza’s Superstar Soccer, dal soprannome di un giocatore inglese che non conoscevamo ancora. Era divertente perché potevamo scegliere le squadre di club europee più prestigiose e le nazionali che avevamo da poco visto nel mondiale italiano. I giocatori piccoli, il campo di calcio enorme, non c’era proporzione. Quando ti mettevi in posizione diagonale rispetto alla porta, poco prima dell’area di rigore, e caricavi il tiro, era sempre gol: il portiere che sembrava un granchietto era anche lui troppo piccolo per la porta, e la palla allora, se angolata, non la prendeva mai. Io giocavo col Real Madrid, perché il Napoli non aveva più Diego, perché Diego era scappato, perché vedevamo i suoi gol su VHS come piccolinew romantic del pallone: qualcosa, senza saperlo, era quasi finito.
Nel 1992 Gazza venne in Italia. Biondo, occhi azzurri e mascella larga da supereroe (proprio come l’avevamo visto, la prima volta, a 8 bit), costò 26 miliardi, però il nuovo presidente della Lazio era il re dei pomodori e se lo poteva permettere. Giocò con i biancocelesti per due anni, ma fece poco. Ricordiamo ancora due cose in particolare. A Pescara segnò un gol in serpentina partendo a diversi metri dall’area di rigore e battendo a rete dopo aver superato quattro giocatori. Sembrava Diego, e non più solo per quel ventre che si gonfiava e si sgonfiava senza controllo, o per la vita sregolata infestata di pub e donne varie. Poi in un’intervista alla rai fece un rutto. Era poco inglese, Gazza, e faceva tutto quello che gli passava per la testa. Alla fine se ne andò, senza troppi rimpianti, in Scozia, per riprendersi la sua fetta di gloria in un campionato minore.
L’estate del 1996 tuttavia Gazza decise di irrompere nel nostro immaginario quando meno ce lo aspettavamo. Noi tutti eravamo nel principio dell’adolescenza ma continuavamo a giocare sempre col pallone, non il supersantos né il supertele, ma quello di cuoio, o il tango, perché i palloni si bucavano facilmente e se dovevamo spendere 2 mila lire al giorno per la fragile gomma rossa era meglio metterne insieme 10 mila per un pallone serio e duraturo. Quell’estate partecipammo a un torneo di calcetto su un campetto di terra battuta di un quartiere vicino e ce lo giocammo mentre in Inghilterra si giocavano gli europei. Il football era tornato a casa. In televisione seguimmo tutte le partite, anche se l’Italia non superò nemmeno il girone di qualificazione. Così dopo l’Italia tifammo Inghilterra e cambiammo l’azzurro col bianco e ci prendemmo ripetutamente a schiaffi dietro al collo: volevamo esserehooligans, ma non eravamo abbastanza cattivi.
I leoni inglesi quegli europei dovevano vincerli. I rivali maggiori erano i tedeschi che schieravano da anni sempre gli stessi giocatori perché la Germania aveva saltato qualche generazione e si ritrovava una squadra di vecchietti parecchi passati per il campionato italiano e mandati via per sopraggiunto limite di età. Gli inglesi avevano una squadra niente male, con un centravanti del Blackburn che segnava gol a raffica e che sarebbe stato il capocannoniere. Ma gli occhi di tutti erano puntati su di lui, Gazza, giocatore talentuoso che non aveva vinto nulla e che alla soglia dei trent’anni, con un fisico già disfatto, aveva l’ultima possibilità di dimostrare il suo immenso talento. La tv e i giornali su questo ci giocavano molto. La storia del calciatore maledetto fa sempre audience.
Gazza, per salire in cattedra,scelse una partita di quelle importanti. La Scozia non era certo la squadra da battere, ma per evidenti ragioni la sfida era sentita. Mi ricordo che a dieci minuti dalla fine l’Inghilterra vinceva 1 a 0 e noi mangiavamo patatine crick crock e bevevamo fanta col ghiaccio perché faceva caldissimo e dopo la partita dovevamo correre giù per giocare il nostro torneo. A un certo punto un passaggio a mezz’aria fu indirizzato a Gazza, non ricordo da chi; Gazza stava al limite dell’area di rigore, sul lato sinistro, davanti a sé un roccioso difensore scozzese pronto a scagliarsi contro di lui. Ebbene Gazza pensò di inventarsi una giocata solitaria di quelle memorabili: col sinistro fintò il tiro di collo pieno e invece alzò la palla a campanile sopra la testa dell’avversario e poi, prima che la stessa toccasse terra, tirò a volo di destro infilando il portiere alla sua destra. Dopo il gol si gettò a terra con le mani alzate tra il delirio generale. Era sinceramente felice. E anche noi. Tutti insieme saltammo dalla sedia perché quella giocata ci aveva esaltato e ci aveva comunicato qualcosa di fondamentale. Gazza invece se ne stava schiena sul prato del Wembley Stadium a prendersi tutto quanto poteva da quell’attimo.
Capimmo che il fuoriclasse non è solo quello che ti fa vincere tutto perché sta in campo e fa la differenza. O meglio: non è semplicemente quello. Il fuoriclasse è uno che attinge a dei momenti folgoranti. Gazza era un fuoriclasse. Il suo gol non cambiò le sorti di una partita che si stava avviando stancamente al termine. Il suo gol non fece la differenza. Ma per gli inglesi che stavano sugli spalti a godersi una prevedibile vittoria contro gli eterni modesti rivali, e per noi che la guardavamo perché eravamo bulimici del pallone ma già lo sapevamo chi avrebbe vinto la partita, quel gol fu un momento di ineguagliabile fulgore. Quel gol rappresentò per noi quei campionati europei. Fu l’unico messo a segno da Gazza. Poi Gazza si riprese il suo destino di incompiuto.
L’Inghilterra, nonostante tutto, uscì nelle semifinali.
La Germania capitalizzò gli ultimi fuochi di una rosa di giocatori che aveva già vinto troppo. Alzò la coppa dopo un’agevole vittoria contro la sorprendente Repubblica Ceca.
France Football avrebbe assegnato il pallone d’oro a un difensore tedesco che ricordano in pochi.
Il nostro torneo invece, nonostante l’impegno, il sudore, il pallone vissuto come elemento totalizzante, lo toppammo.
Avevamo il giocatore più forte, quello che se tutto gira male sa segnare anche da solo. Ma lui, Gino, alla prima vittoriosa partita conobbe una ragazzina carina finta ingenua maliziosa.
Finì che lei gli diede solo un bacio sulla guancia.
E che noi perdemmo più partite delle altre squadre.
Non sapevamo che quello sarebbe stato il nostro ultimo torneo insieme, altrimenti, per una volta, l’avremmo vinto. E invece l’adolescenza si prende tutto.
E il gol di Gazza fu l’unica cosa memorabile di quella estate.
Wow. Hai fatto segnare a me ‘sto gol! Bella la storia (è difficile rendere “bella” una cosa che – alla fine – già si conosce, è nota… almeno a chi come me la ha vissuta); splendida l’impalcatura; la tessitura è per palati fini (mi metto tra questi: ho già scritto e descritto il tuo modo di scrivere e descrivere; la semplicità non è banalità ma efficacia, chiarezza e – in questo caso – sana emozione). Alla fine Gazza non è stato mai tra i miei preferiti ma quando c’era l’Inghilterra con “lui” in campo, beh, stanne certo: ero li’ incollato davanti al televisore (niente crickcrock ma aranciata a go-go). Un abbraccio, P.