Confessioni qualunque – 11
luglio 19, 2012 Lascia un commento
[Ricordiamo ai lettori che Confessioni qualunque, la rubrica curata dai ragazzi di In Abiti Succinti, è aperta a chi voglia scrivere una confessione. Fatelo anche voi! Svisceratevi! E poi inviate i vostri racconti.]
#11- Daniel
di Nicola Feninno
Che resti tra noi.
Sono tutte troie.
Le donne sono tutte troie. E non mi si dica che non ho ragione. Sono tutte troie, ad eccezione di mia madre. Su mia sorella ho già qualche dubbio.
Mi presento: sono Daniel, 22 anni, faccio il piastrellista. Mi faccio il culo, ma guadagno bene. Molto bene.
Avevo una ragazza, 5 anni fa; la chiamerò P., per una questione di privacy. P. era fantastica, e in realtà lo è tuttora: è ancora viva, è ancora bella ed è ancora la mia ragazza.
L’ho perdonata per quella volta che mi ha tradito. È successo 3 anni fa: eravamo fidanzati da 2 anni e qualche mese. Per la precisione: 2 anni e 3 mesi. È successo l’8 marzo, in uno di quei locali pieni di sole galline; solo galline fino a mezzanotte. Il risultato di decenni di lotte per l’emancipazione: esponenziale impennata dei mercati di mimose a marzo, solo donne in discoteca fino a mezzanotte l’8 marzo (ingresso gratuito con consumazione), strip maschile per l’occasione. Detto fra noi: una tristezza infinita. Comunque: dopo qualche ora di sole starnazzate e commenti sulle scarpe e commenti sulle borse e vocine nelle orecchie e sorrisini e coccodè e coccodè, a mezzanotte aprono i cancelli anche per gli scimmioni che si assiepano fuori. Pronti a festeggiare anche loro l’emancipazione delle galline. Vestiti bene, abbronzati, bavosi. E i peggiori sono gli scimmioni depilati.
Li vedo nei particolari – parlo di P. e di uno di quegli scimmioni che balla avvinghiato a lei – immagino il frastuono intorno, i loro volti leggermente sudati. Vedo nei particolari la lotta delle lingue umide che s’impastano nelle bocche. E immagino perfettamente il sorriso idiota e soddisfatto di quel povero coglione, in auto, al ritorno, con gli amici: “Sì, dai, era abbastanza figa. Baciava bene, tutto sommato”.
Comunque sì, è andata così: io la amavo con tutte le mie forze e lei mi ha tradito. Con uno scimmione. È stato un errore, è stato solo un inutile bacio, me l’ha confessato in lacrime: era davvero disperata. Sembrava una bambina. Credetemi, piangeva con gli occhi puri. Voi mi direte: “Ma smettila, ma quali occhi puri? Quella troia ti ha tradito col primo stronzo depilato e abbronzato e tu sei qui a parlarci dei suoi occhi puri e che i suoi occhi puri piangevano: smettila di dire stronzate e almeno rispetta te stesso”. E avete ragione. Cioè avreste ragione, ma io la amo e la conosco e so con certezza che in quel momento i suoi occhi erano puri. Aveva sbagliato. Ma piangeva lacrime da bambina, sincere oltre ogni comprensione. L’ha fatto per debolezza. E siamo tutti deboli, fragili, e anche le persone migliori a volte fanno schifo. È inevitabile.
Insomma, l’ho perdonata, stiamo ancora insieme. La amo ancora. Ma mi sono costruito intorno un piccolo spazio solo mio, inviolabile, una sorta di piccolo bunker: ho ricominciato ad andare a puttane. Abbastanza regolarmente. Per strada. Nei bordelli svizzeri. Bianche, nere, rumene, brasiliane, cinesi: non fa grande differenza. Naturalmente è solo sesso. Amo solo P., le puttane sono solo una mia debolezza. Un mio vizio. Sono sicuro che lei mi capirebbe: ma sono cose così maledettamente ingarbugliate e complicate da spiegare.
Penso che almeno il 25% della popolazione maschile adulta vada a puttane, più o meno regolarmente. Io ho iniziato ad andarci a 16 anni, in motorino: niente di particolarmente entusiasmante; penso che mi eccitasse di più l’idea in sé, il fatto che io stavo andando a puttane. Poi ho preso la patente ed è iniziato a piacermi l’atto sessuale vero e proprio. Come dice spesso mio padre: nessuno batte il professionista nel suo lavoro.
Poi ho smesso del tutto: è stato quando ho detto a P. che la amavo. Eravamo fidanzati da 8 mesi: 19 mesi prima di quell’8 marzo. È stato bellissimo: le ho sussurrato in un orecchio: “Ti amo”, lei mi ha guardato dritto negli occhi, era fantastica, pura. Sapete quelle banalità sul tempo che si ferma, il mondo che scompare eccetera eccetera… ecco, è tutto vero. Lei è restata un secondo in silenzio: “Ti amo anch’io”, mi ha detto. Da quel momento tutto è cambiato. La sera mi sono scopato una rumena: sapevo che quella sarebbe stata l’ultima della mia vita. Per l’ultima volta l’ho pagata, ho acceso una sigaretta e mentre soffiavo lentamente il fumo fuori dai polmoni mi sentivo un uomo nuovo. Un uomo migliore.
Fino a quel maledetto 8 marzo. Che poi non è stato così maledetto, in fondo mi ha aperto gli occhi. Badate, la mia non è rabbia. Io amo profondamente P., l’ho perdonata, forse siamo anche più felici di prima. È solo che ora so con certezza che anche P. è una troia. Cioè: potenzialmente può esserlo. Come tutte le donne. Non che tutte le donne siano troie sempre e comunque e in ogni luogo, non tutte si comportano effettivamente come troie, ma tutte, dalla prima all’ultima, tutte quante, sono troie, perlomeno in potenza.
E – che resti tra noi – questo è un fatto: e non mi si dica che non ho ragione.
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