Ritorno a Canton*
dicembre 17, 2012 Lascia un commento
19.00 [ora italiana] Padova non è più visibile alle nostre spalle. Nella campagna il cielo è degradato dal porpora al viola, l’orizzonte, in direzione di Marghera, ha il colore del petrolio – i lontani casolari con le barchesse, e gli alberi che li circondano, sono ridotti a sagome accucciate tra le fibre della foschia.
19.30 [ora italiana] Il Marco Polo ci offre una decina di minuti per il congedo. Non ci vedremo per quasi due mesi, dieci minuti di lunghi abbracci e brevi sorrisi. Alla mancanza ci si abitua. Sono i primi momenti, quelli a ridosso del distacco, nei quali ci si sente come un albero sferzato da una benna e poi tirato su.
19.42 [ora italiana] La mia valigia sfora di un kg il limite, me la fanno aprire. Tolgo qualche libro, il responsabile del check-in mi dice che, di sotto, ne hanno un’altra, di bilancia. I bagagli che superano i 30kg non vengono imbarcati. Secondo lui è colpa del sindacato.
19.54 [ora italiana] Al controllo passaporti mi attende una palude di secrezioni ascellari pungenti e di ettolitri di acqua di colonia da discount. È tutto fermo, ci si ammassa, le file diventano un cerchio: una giovane coppia di italiani è respinta senza che sia necessario l’intervento della guardia imperiale.
23 00 circa [ora italiana] Gli aerei Emirates non sono il peggio su cui si possa viaggiare, anche se il mangiare sono razioni K. Avrei gradito il pollo – Emirates, ma mi avete fatto capire che era disponibile solo il salmone: un trancio della dimensione di una saponetta annegato in una besciamella verdastra, accompagnato da riso lesso e ricoperto da una pseudo-gratinatura di scorza di limone. Ho mangiato il pesce senza badare alle lische che poteva contenere, elaboro questa cosa ora, scrivendone; è il risultato di ventisei anni di educazione alla Modernità. Il mio corpo sapeva che stava introducendo dentro di sé qualcosa di comparabile a una merendina, a dei cracker. Il resto del viaggio lo trascorro in un luogo che sta tra il sonno e la veglia.
24.00 circa [ora italiana] Mi sveglio un istante prima dell’impatto: la donna cade sul seggiolino vuoto alla sua sinistra senza che apra gli occhi, questi sono sconvolti dalle stesse pulsazioni che avrebbe la coda di una lucertola una volta che è stata staccata dal corpo. Arriva uno steward con una bombola d’ossigeno, una hostess porta dell’acqua. Nessuno alza la voce o chiede che cosa stia succedendo – ognuno resta al suo posto e tace, tratteniamo quel momento per il bavero e lo guardiamo in faccia.
05.10 circa [ora degli Emirati Arabi Uniti] Atterriamo a Dubai, la temperatura esterna è di 28 gradi centigradi.
06.00 circa [ora degli Emirati Arabi Uniti] L’alba sgorga dal deserto. È verde e si riflette sulla dolce architettura dell’aeroporto, i raggi scivolano sugli spioventi di zinco a trenta-quaranta metri sopra di me. I raggi del sole, attraverso l’intreccio dei rami, segnano lunghe ombre nell’acqua del laghetto artificiale che si trova al centro del padiglione nel quale sto scrivendo. È così grande, questo padiglione, che ci volano quattro, cinque uccelli, e sembrano insetti. C’è un ristorante di pesce, ha degli acquari, sulla sabbia azzurra: astici, aragoste, cernie – c’è una montagnola di ghiaccio, proprio nel suo ingresso, champagne e ostriche francesi.
10.27 [ora degli Emirati Arabi Uniti] Dubai si rimpicciolisce sotto di noi, lascia spazio alle dune, a strade a quattro corsie invase dalla sabbia, a pompe di benzina abbandonate, a case abbandonate. Ogni tanto compaiono sullo schermo pallido del deserto dei rettangoli smeraldo; giardini, o delle scatole dorate; regge di emiri. Gli sviluppatori di un videogioco che ha sottratto ore alla mia adolescenza, Command and Conquer Tiberian Sun, si saranno ispirati a questo scenario. Quando arrivano le montagne è un’emersione, anche se dopo pochi istanti di volo si sfaldano, micosi di questa terra. Hanno valli profonde, fiumi lenti, acqua scura e ferma.
Dall’inizio di questo viaggio sono arrivato al diciottesimo capitolo di Endymion, volume terzo dei Canti di Hyperion. Ancora nove ore di viaggio mi separano dalla Guangzhou University, circa 10.000 km in meno di 24 ore, quasi come passare il pianeta Terra da parte a parte.
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