Quanto è lontano il mare – #TUS2
gennaio 29, 2013 Lascia un commento
[Secondo appuntamento con i testi letti a Torino Una Sega 2: oggi tocca a Ilaria Giannini. Al Caffè Notte Ilaria ha letto l’incipit di La parte dei delitti, tratto da 2666 di Bolaño, e un estratto dal suo romanzo inedito Quanto è lontano il mare, che proponiamo qui di seguito]
Alla fermata dello scuolabus Matteo non c’è. Ho dormito così male che adesso mi bruciano gli occhi e mi fa male la pancia, come se la cena che ho tirato giù a forza mi si fosse piantata sullo stomaco. Avrei voglia di parlare con quello scemo, forse stamani si sente peggio di me e se lo merita pure, visto il casino che ha combinato ieri, porca misera, poteva anche starsene zitto, come ho fatto io per tutto ‘sto tempo con lui, in fondo lo sapevo di non piacergli e mi sono tenuta tutto dentro, invece lui no, il grand’uomo doveva fare la sua avance da Casanova, accidenti agli ormoni.
«Stai bene Eli?»
«Mi sa che mi sta venendo l’influenza, mi fa male la pancia».
«Oddio, non sarà mica che… »
«Cosa?»
Marta mi ha tenuto un posto vicino a lei e adesso mi guarda come se non mi avesse mai visto prima.
«Insomma, non sarà che sono i giorni rossi… »
«Che dici, non parla’ in codice, che vorrebbe di’ giorni rossi?»
«Parla piano scema! E dai, possibile che non lo sai, la tu’ mamma non t’ha detto nulla?»
Arrossisco e la scanso, mi rifugio nel paesaggio di sempre, che scorre fuori dal finestrino.
«Guarda che se le chiami mestruazioni forse la gente capisce, comunque no, non mi sono ancora venute, ecco».
«Buon per te! Ma vedrai che t’arriveranno, se succede non ti spaventa’, è normale».
«Lo so, non sono scema».
«Scusa è che mi sembri davvero strana e avevo pensato che… »
«Ho litigato con Matteo ma non mi va di parlarne, è un cretino e basta».
«Te l’ho sempre detto di lasciarlo perde’».
« Ma se non ne abbiamo parlato mai!»
« Vabbè Eli non è che bisogna esse’ un mago per capirlo eh, io ti dicevo di guarda’ qualche altro ragazzo, che ti potevo presenta’ quelli del mio giro, ma te dura, quello lì non fa per te, si dà solo un mucchio di arie».
Marta si lancia nella sua invettiva e lascio che mi riempia la testa di chiacchiere, mentre sento affiorare dal fondo della bocca un sorriso, perché è tutto vero, parola per parola: sbruffone, supponente e infantile. Ma è anche divertente, il più spiritoso di tutti, e generoso anche, pure se non vuole mostrarlo mai.
La facciata della scuola, sempre uguale a se stessa, mi rinfranca. Entro in classe e mi siedo lentamente, cercando di ricacciare indietro il dolore ai reni, che non sembra diminuire. Il posto di Maria è vuoto ma non ne sono stupita: sono rimasti a casa tutti e due, per lasciar sbollire l’imbarazzo, presumo. Sul campo di battaglia sono scesa solo io e scommetto che da domani toccherà a me mettere insieme i cocci.
Sto leggendo Stephen King sottobanco quando la preside s’affaccia sulla porta dell’aula. La Pardini posa il gesso e le rivolge un gesto interrogativo. Ventiquattro facce la fissano, chiedendosi chi è che stavolta ha combinato qualcosa di così grosso da far scomodare il capo.
«Scommetto che il Tozzi ha scritto di nuovo una porcata delle sue sulla porta del cesso» sussurra Marta mentre la preside si fa avanti, punta dritta verso di noi.
Nascondo il libro dietro la schiena e lei mi tocca un braccio.
«Mennucci, vieni con me un attimo».
I bisbigli alle mie spalle si sprecano, mentre mi alzo e sento una fitta al fianco mozzarmi il respiro.
« Ho fatto qualcosa di male?»
«No Elisa, stai tranquilla».
Sentirmi chiamare per nome dalla preside per la prima volta in un anno non migliora la situazione: percorriamo il corridoio mentre l’ansia e i dolori allo stomaco si sommano in un unico grumo pulsante.
« Mamma!»
«Amore mio.»
Mamma mi viene incontro, mi abbraccia davanti alla soglia della segreteria: ha indosso la tuta che tiene solo per fare le pulizie in casa e i capelli, più sconvolti del solito, le cadono davanti agli occhi. È successo qualcosa di brutto: capirlo è come prendere una secchiata d’acqua gelata in faccia.
«Oddio ma’, non è mica morto qualcuno! Papà e France come stanno e la nonna? I nonni stanno bene?»
«Noi stiamo tutti bene, stai tranquilla».
« Che è successo allora?»
Mamma mi stringe più forte, rivolge un cenno con la testa alla preside che annuisce.
Mi conduce sugli scalini della scuola e mi fa sedere vicino a lei.
« Tesoro è successa una cosa orribile ma tu devi sta’ calma, me lo prometti eh?»
«Ma che calma se non ti muovi a dirmelo divento matta!»
«Devi sta’ calma invece Elisa, perché è un affare serio e c’aspettano anche alla polizia».
«Oddio!»
Mi stringo la pancia con le mani: il dolore mi sta ottenebrando il cervello, devo aver sentito male, che può volere da me la polizia, mamma poi la polizia la odia, li chiama sempre servi del potere. Forse sto sognando, ecco, sì, dev’essere uno di quegli incubi dove tutto sembra così realistico e poi arriva il dettaglio assurdo che ti fa accorgere che è solo un’illusione e ora mi sveglio tutta sudata nel letto e mi faccio una bella doccia, prima di andare a scuola…
«Tesoro stai bene?»
Ho chiuso gli occhi e mamma mi sta scuotendo, spero di svegliarmi ma quando apro le palpebre siamo ancora sulla soglia delle medie e lei ha la ruga della rabbia che le taglia in due la fronte e i capelli ancora spettinati.
«Mi fa male la pancia».
«Dopo ti faccio acqua e limone a casa, vedrai che stai meglio, ma adesso ascoltami, si
tratta di Maria».
«Lei sta bene»
«Più o meno».
Mamma mi stringe le mani e io non riesco a chiederle altro, ho la bocca asciutta, le gambe pesanti.
«È la su’ mamma, povera disgraziata, le è partito il cervello stanotte, ha ammazzato il
su’ marito, il papà di Maria, è morto».
«Che vuol di’ più o meno?»
«Cosa?»
«Più o meno, di Maria, che significa? Ha fatto male anche a lei?»
«Non sanno chi è stato ma sta bene adesso, ha solo un po’ di lividi, m’hanno chiamato dal commissariato perché lei ha detto che ci vuole vede’ e ora la andiamo a trova’, stai calma».
Mi accarezza i capelli e sento il dolore sordo ricominciare a battermi appena sotto la bocca dello stomaco. Faccio per alzarmi e la vedo subito, sul cavallo dei pantaloncini: la macchia rossa che sembra allargarsi sempre di più, mentre rimango immobile a fissarla.
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