Confessioni di un Libero Attaccatore di Francobolli
febbraio 25, 2013 Lascia un commento
Dopo cinquant’anni di matrimonio iniziai a pensare come ravvivare il sesso coniugale un’ora, un’ora e mezza prima di uscire dal lavoro – specie se il lavoro diventava pesante e dovevo occuparmi il cervello con qualcosa che potesse distrarmi. A detta di chiunque il sesso è qualcosa di straordinariamente brillante, anche a detta di mia moglie – e anche io sono d’accordo. Ma dopo decenni passati a coricarsi con la stessa persona, l’idea perde di smalto e l’eccitazione va un po’ a farsi benedire. Se poi ci aggiungiamo un naturale calo fisico dovuto allo scorrere degli anni, diventa facile immaginare come ravvivare il sesso coniugale diventasse più che altro una questione amministrativa – di indubbia importanza! – ma dovuta più che altro alla strenua volontà di conservazione tipica delle persone anziane, che cercano di reiterare le abitudini di una vita perché la vita non perda senso. Considerare, confrontare, vidimare diversi modi per ravvivare il sesso coniugale rendeva meno monotona l’ultima parte della giornata lavorativa. Il mio lavoro consisteva nell’attaccare francobolli. Iniziai da ragazzino e prosegui per molti anni, dimostrando la mia insostituibile competenza. Io non attaccavo francobolli alle lettere. Non ero una specie di responsabile della corrispondenza o cose simili. Attaccavo i francobolli e basta: ero un Libero Attaccatore di Francobolli. La ditta in cui lavoravo non agiva in un particolare settore produttivo; si occupava in maniera disinteressata di coltivare delle eccellenze (e io nel mio campo ero una eccellenza); più che una ditta era un’Accademia d’Arte; più che un dipendente, ero un poeta. Potevo riempire una superficie a mia scelta, attaccando i francobolli uno di fianco all’altro prestando attenzione a non sovrapporne i bordi; oppure potevo scegliere di incollarli uno sopra l’altro fino a creare uno spessore ragguardevole – pericolante, nei peggiori casi. Queste sono le due situazioni-tipo, chiamate anche le due tecniche di Böerk, dal nome di Franz Böerk che le dedusse nel 1876: la prima è l’attaccamento su superficie (tecnica bidimensionale); la seconda è l’attaccamento su altezza, o sull’asse y (tecnica tridimensionale). Con la combinazione di queste due tecniche è possibile sviluppare le cosiddette tecniche espanse o sovratecniche, alcune ortodosse (l’euclidea trapezoidale, l’ortogonale semplice…) altre eterodosse (la Cuffia di Beltrami, la Johnson&Kramer…). Saper maneggiare tutto questo con proprietà di mezzi richiede impegno e tenacia. Sono stato il miglior attaccatore di francobolli di tutta Walden. Di tanto in tanto arrivavano dei ragazzi che volevano imparare le tecniche, e poi rubarmi il posto. Mi accorgevo che volevano rubarmi il posto per come guardavano la mia sedia appena mi allontanavo. Alla fine si sono rivelati tutti dei pessimi attaccatori di francobolli. Uno in particolare: Jimmy Tzakowskij, il figlio di Ethan Tzakowskij, un mio amico dei tempi andati, morto in guerra qualche anno prima. Jimmy entrò nel mio ufficio con la camicia sbottonata (cioè senza bottoni), pallido e sottile, con le orecchie leggermente a sventola; teneva stretta una piccola borsa di canapa con dentro il pranzo. “È qui che si attaccano i francobolli?” chiese con un filo di voce. Lo feci accomodare vicino a me: “Non assomigli molto a tuo padre”; chinò la testa da una parte. Ci stringemmo sullo stesso lato del tavolo per non avere il sole in faccia. Prima di sedersi aspettò che lo facessi io: aveva un grande rispetto del mio viso di cartapecora, del mio corpo debole. Gli chiesi di farmi vedere cosa sapeva fare: non aveva alcun talento. Partiva troppo rapidamente, sbagliava a calibrare le distanze nei gesti, e rimaneva spesso con sei o sette francobolli attaccati alle dita; inoltre doveva fermarsi troppo spesso a bere dell’acqua perché aveva una salivazione insufficiente. Alla fine della giornata era confuso e mortificato. Purtroppo dovetti scrivere una pessima relazione su di lui e il giorno dopo non tornò. Per fare l’attaccatore di francobolli è necessario avere delle doti naturali: io avevo dita sottili, fin da giovane mostravo precisione nei gesti, buona coordinazione dei polsi, una salivazione uniforme e continua che non mi lasciava mai in difficoltà; la stessa consistenza della saliva faceva reazione con la colla in maniera straordinaria e tempestiva. Avrei potuto attaccare francobolli per giorni, ininterrottamente. E un giorno lo feci, molti anni fa. Riempii di francobolli le pareti interne della ditta, quelle esterne, il parcheggio adiacente e la parete nord dell’orfanotrofio dall’altra parte della strada: centinaia di bambini senza famiglia plaudirono al mio gesto di grande considerazione. Il Sindaco di Walden mi accolse nel suo studio: “Libero lei è libero, senza dubbio” mi disse sollevandosi dalla poltrona “ed è anche uno straordinario attaccatore di francobolli. Mi permetta di definirla un artista ideale. Lei ha mostrato a tutti che cosa sono l’arte e il talento quando sono privi di opinione, quando non provocano l’insana nostalgia per un mondo diverso, ma si manifestano solo ed esclusivamente come pura esibizione di bravura, come semplice esposizione di una tecnica” e concludendo si picchiettò le dita sul panciotto. Ci fu una festa in mio onore e gli abitanti di Walden si complimentarono con me per l’impresa. Molti anni dopo io e il Sindaco ci ritrovammo su una collina a sud-ovest della città, da cui si poteva vedere Walden. Era autunno e il fiume scorreva dolce tagliando la città come un serpente che divide in due la sabbia su cui passa, il cui veleno era l’acqua ocra che trasportava a valle i cadaveri dell’ultima guerra, o bagnava i talloni di quelli che rimanevano ostinati a riva, dove facevano guardia alle case semidistrutte, o a quelle abbandonate, fatiscenti o ai mucchi di ciottoli che dall’alto, da lì dove eravamo, davano un’idea di disordine, di improvvisazione a tutto il panorama. “Allora, come sta il nostro artista?” mi chiese il Sindaco a voce troppo alta. La mia fama era dimagrita con me, e nemmeno il Sindaco se la passava granché bene. Il brutto della vecchiaia è che hai un passato da ricordare migliore del presente che ti è rimasto; quando sei giovane sei ugualmente infelice, ma almeno non hai che poca strada alle spalle e non ti puoi tediare con i paragoni. “Signor Sindaco, ricorda un periodo peggiore di questo?”. “Cosa vuole”, rispose il Sindaco, “io non ho una buona memoria. Ma con un po’ di fantasia posso immaginarlo. Tenga conto che Walden non ha una vera e propria emergenza smog. Allora, per esempio, dovendo immaginare un ipotetico periodo peggiore di questo lo immaginerei con più smog”. “Cioè più automobili” dedussi io. “Sì, infatti” rispose pronto il Sindaco “il che vuol dire più traffico e il traffico rende nevrotici, porta all’alienazione e ci rende insensibili alle sofferenze altrui. Vedrei le persone pinzarsi per sbaglio le dita o morire e non proverei niente. Cosa potrei provare dopo essere stato due ore in coda per tornare a casa?”. Una folata di vento ci costrinse ad abbottonare i paletot fino al gargarozzo. In una via traversa vedevamo il giovane Jimmy Tzakowskij risalire la strada fino a raggiungere il ponte. Guardò un poco la corrente incresparsi intorno alla base dei piloni. Poi scavalcò la ringhiera e si lasciò cadere. Quando entrò in acqua non si alzò uno schizzo, non ci fu un rumore. Qualche secondo dopo il corpo di Jimmy Tzakowskij venne a galla e seguì il corso d’acqua mescolandosi, cadavere, con i cadaveri. “Non possiamo giudicare un gesto così” disse il Sindaco senza staccare gli occhi da Walden “ognuno è libero di fare ciò che vuole della propria vita. Ma il tuffo era eccellente. Lei che se ne intende, non crede che a volte le persone muoiano senza aver mai scoperto il proprio talento?”. Non risposi. “Sì, forse questi sono discorsi un po’ da parrucchieri” convenne il Sindaco con sé stesso “Povero Jimmy”. Scendemmo la collina e arrivammo a un punto in cui le nostre strade si dividevano. “Non si butti così infinitamente giù, Lenny” mi disse il Sindaco vedendo che piangevo “abbiamo ancora una piccola porzione di vita che possiamo rendere tollerabile senza troppe difficoltà. Viva in funzione della sua morte! Questo è un consiglio che mi sento di darle”. Camminando verso casa attraversai il bosco – riparato dalla salubre ombra dei faggi – e poi le vie lastricate di Walden pensando a mia moglie. Quella sera a letto provammo la posizione della cedille, come suggeriva André Breton in un suo poema.
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