I capolavori ritrovati della poesia – Jean Pierre Foulardin
aprile 11, 2013 3 commenti
Un’operazione di salvataggio a cura di Ennio Canallegri e William Kessel Pacinotti
LA VENDETTA DEL FIUME
Il sole si adagia
sull’ansa del fiume
livido
nell’alba sanguigna
La pelle della terra
non più erba
articola
il corso dell’acqua.
Sangue
libero dall’impedimento delle vene
la terra madre
accoglie
Suoi sono i figli
senza più natura di uomini
suoi la povertà e il silenzio
del paese in fiamme.
Sbatte la porta
dell’officina che fu dell’operaio
ingannato dal sole
e si consuma la sua carne
per la strada
di quel rosso
che mai pioggia potrà lavare.
Perché la pioggia degli uomini
non è acqua su volti di amanti
sorpresi dalle nuvole improvvise
che cercano rifugio in un portone
È piombo e sete
una lama tra le spalle
sfregio e disperazione
Tutto questo il fiume lo conosce
ne ha memoria
le lacrime delle figlie
giunsero alle rive
e calmo attende
il momento
di placare il loro scandalo
con la vendetta.
JEAN-PIERRE FOULARDIN (alias JACQUES PREVERT)
(MontpeLlier, 1909 – Parigi, 1944)
C’è sempre della Poesia, altissima, nella resistenza di un popolo. A volte anche delle semplici poesie. Quella di Jean Pierre Foulardin, l’unica che abbia mai scritto, non era nel cassetto di un vecchio secretaire o nel suo armadietto personale alla ex fabbrica di bottiglie di Bagnolet, e nemmeno perduta tra le pieghe del cappotto che avvolgeva come un sudario il suo corpo esanime sotto due metri di terra e pietre al Cimitero memoriale di Vassieux-en-Vercors. “La vendetta del fiume” se ne stava nascosta – proprio come un partigiano alla macchia – in un’oscura antologia poetica surrealista, attribuita a un Jacques Prevert marchiato con un punto interrogativo, il quale intervistato pochi mesi prima di volare in cielo come un suo verso, seppur riconoscendola come familiare, ne aveva messo seriamente in dubbio la paternità con un esplicito “ppeufff”. La poesia, negli anni immediatamente successivi, fu oggetto di una querelle distratta e indolente tra due irrilevanti esegeti dell’opera e del poeta di Neuilly, che non portò a nulla se non a incrementare le consumazioni di pastis in un bistrot fuori mano sulla provinciale per Digione frequentato dai due infimi filologi, per poi finire a testa in giù nell’oblio della critica letteraria minore.
La verità, come spesso accade, era altrove e aveva un unico custode. Marybelle Lacroix nel nostro caso, una signorina di ottantasei primavere, tre delle quali trascorse a scivolare tra i tavoli dell’offiziersheim di Rue Feauborg Saint Honorè n° 1, del circolo ufficiali nazi di Parigi. Rilasciare un’intervista ad Antenne 2 per un documentario sugli anni della cattività teutonica a domicilio dei parigini, e tirare fuori da una tasca la chiave de “La vendetta del fiume” e mostrarla, sono state le facce di una stessa moneta. Così, adesso sappiamo di Jean Pierre Foulardin, entrato nella resistenza per noia nel “Groupe Dunkerque” con il nome di battaglia di Foulard, e che nei due mesi sotto copertura come cameriere della casa dell’ufficiale di Feauborg Saint Honorè, prima di arrivare alla fine del giro fece sostanzialmente tre cose: sedurre Marybelle, imparare le poesie di Prevert e i film di Marcel Carnè a memoria e cancellare lo sturbmannfürer delle SS Hermann Adler, l’ammazza partigiani, quello diventato famoso per la procedura fantasiosa utilizzata per prostrare e annullare le persone, il tritacarne abbigliato da bohème che prevedeva canzoni d’amore della Piaf e di Chevalier in sottofondo, scariche elettriche, rasoi, pallottole nella nuca e sopra tutto la sua voce autocompiaciuta che declamava versi di Prevert.
Il suo capolavoro, al sicuro fino a oggi in quella piccola cassaforte senza combinazione che è stato il cuore della Lacroix, lo ha raccontato proprio lei.
“L’ho sempre saputo, sin dall’inizio. Ma mi pregò di non dire niente. E se sono rimasta in silenzio sino ad oggi è perché non c’erano termini. Ma adesso sto per andare via anch’io e non ha più senso tacere. Rammento che a Jean Pierre ci vollero due mesi, di sorrisi, gentilezza, di devozione al tavolo n° 18, quello occupato dallo Sturbmannfürer Adler, perchè lo sentisse chiedere il suo nome. Io ero lì, servivo al tavolo accanto in quel momento e posso ripetere a memoria, parola per parola, quello che si dissero.
– Mi chiamo Jacques Prevert.
– Jacques Prevert… come il poeta.
– Come il poeta, maggiore. Proprio così.
– Adoro Prevert.
– Conosco personalmente Prevert.
– Quanto?
– Abbastanza da leggere le sue ultime poesie prima degli altri, herr Adler. Recentemente ne ha scritta una a casa di un amico comune, sul foglio di un calendario. E l’ha lasciata sul tavolo, per ringraziare per l’ospitalità e per il pastis della padrona di casa.
– Il foglio…?
– Ce l’ho io, sì
– Sarebbe tanto gentile da mostramelo? Il mio ufficio è qui sopra. Può venire domani alle 15,00. Chiedo a lei di spostarsi per evitarle il fastidio di dover mandare qualcuno a prenderlo, o a cercarlo, a casa sua. Capisce quello che voglio dire, vero?”
Il resto è noto. Dopo essersi preso il nome di Jacques Prevert, Foulard ne impugnò anche la penna e scrisse una poesia che potesse evocare il massacro di Semur-en-Auxois, sulla rive gauche dell’Armançon, il più crudele degli eccidi di cui Adler era stato il regista, farne innamorare lo spietato maggiore, fargli abbassare la guardia, e poi affondargli nel petto il coltello che nascondeva nel cappello, fino all’elsa. E il suo, di petto, offrì subito dopo a una pallottola, perché era previsto che la parola fine venisse scritta in quel momento, con il sangue, in calce alla poesia.
Per la firma è occorso più tempo. I ricordi, gli anni, servono. Anche a chi non c’è più. Talvolta.
Nulla stona in questo insieme, dai versi pieni di echi, al brano che si percepisce scritto di slancio, con filologico rigore ed una chiusa che per intensità chiude la gola e fluisce nel video, di quasi imbarazzante intimità.
Grazie.
olè
alè