Smarrimento e new wave. Vita dell’ultimo comunista di Frings
settembre 25, 2013 2 commenti
L’ultimo comunista
di Matthias Frings
Voland Edizioni (Ottobre 2012)
Pag. 560, Euro 18.00
Relazionandosi con temi per te decisamente sacri e ambientando una vicenda in luoghi nei quali hai avuto la premura di lasciarci il cuore (più qualche giuntura) è ovvio che si perda in lucidità. La sensazione ricorda lo svegliarsi di notte e scovare qualcuno nella stanza intento a rovistare dentro il tuo cassetto della biancheria. Però poi vince la razionalità e inquadri l’autore: lui è tedesco. Tu no. Lui ha vissuto sulla pelle gli anni ottanta. Tu no. Lui ha toccato con mano la divisione della Germania. Tu no. Lui ha visto il muro integro mentre tu semplicemente piccoli granelli per turisti sprovveduti o denti smantellati residuo di tempi trascorsi. Ovvio lui possa scriverne. Tu no?
Vediamo.
Carte in tavola: l’«Ultimo comunista» è (corposo) testo edito da Voland, opera di Matthias Frings. Sessantenne giornalista/autore televisivo vicino ai movimenti della sinistra alternativa nonché celebrato e discusso padre di un manualetto titolato Männer.Liebe. Ein Handbuch für Schwule und alle, die es werden wollen ossia Amori.Maschi. Un manuale per chi è gay e per chi vuole diventarlo. Era il 1982. Vicende a intrecciarsi di scrittori, attori teatrali, baristi e ulteriori forme di artisti sullo sfondo della Berlino divisa più aree limitrofe: particolare attenzione alla scena gay e relative contraddizioni, regole e abitudini.
«I postumi del ’68, il terrore di gomma dell’elastica socialdemocrazia, i primi movimenti civili, le battaglie contro il nucleare e infine l’Autunno Tedesco». La sinistra spontaneista e quei dibattiti sulla vicina (ma assieme lontana: scontato rimando agli U2, possa essere perdonato) DDR. Il marxismo-leninismo, il trozkismo, riviste radicali come l’Arbeiterkampf o più ortodosse come Die Wahrheit. «Io a dire il vero leggevo testi teatrali, ma non osavo dirlo. Quei giovani attori sembravano interessarsi a tutto, meno che alla loro arte».
Per la voce narrante – Frings e parte dei suoi personaggi – invece l’individualismo era una bella cosa. Condivisibile a distanza di lustri?
L’incontro con il giovane scrittore Ronald Schernikau, perno della vicenda, e primo appuntamento in un bar all’incrocio tra Kreuzberg e Neukölln. Meeting cui seguono altri tipo a «Hermannplatz […], roccaforte degli omosessuali di periferia. Le checche modaiole da shopping al KaDeWe avrebbero preferito morire piuttosto che farsi vedere in un posto così.»
Poiché al netto della trama – coinvolgente e organizzata con talento nel fiume di pagine – il libro possiede un evidente valore di testimonianza topografica che arricchisce e dovrebbe intrigare non soltanto gli amanti del settore (Berlino, le proprie strade e taluni ambienti al tempo stesso marginali e fondanti), ma anche coloro cui interessano le dinamiche più intime del cambiamento di un luogo nei fatti unico, e chi l’ha abitato rendendolo monumento alla riconquistata libertà.
«Nollendorfplatz, nota come il Triangolo delle Bermuda, perché vi si colava a picco troppo spesso e troppo in fretta», narra Frings del quartiere-simbolo del mondo omosex. Adesso affondarci è più complesso ma resta Schöneberg pulsante anima culturale cittadina, di genere o meno. D’altronde in quasi ogni pagina i principali cambiamenti sociali della Germania si rispecchiano nelle vicende dei protagonisti e il continuo rinnovarsi della capitale accompagna la storia cullandola: i Gründerjahre o anni dello sviluppo frenetico del II Reich, la Berufsverbot di Brandt che vieta di assumere incarichi pubblici a chi appartiene ad associazioni di sinistra, l’Homosexuellen Aktion Westberlin nei settanta e il fenomeno delle case occupate negli ottanta. Poiché oltre a Ronald è Berlino la star della serata e fortunatamente il cantore parrebbe in gamba.
«Nella DDR per i bambini nati fuori dal matrimonio la vita è molto più semplice che nello Stato di Adenauer» e «i figli servono a costruire il socialismo, più ce n’è, meglio è» sentenzia qualcuno in L’ultimo comunista. Che tra i tanti tasti premuti si sofferma pure su un tema centrale nella storia della Germania post-bellica, cioè la fascinazione inter-tedesca per quei fratelli/cugini extraterrestri rintanati dalla parte opposta del Muro. Tizi separati da imposizioni dolorose e di troppo rapida applicazione. È stato d’altronde argomento passato migliaia di volte sotto al vetro del microscopio, il ventaglio di sentimenti provati l’uno verso l’altro durante il periodo della separazione: attrazione scontata da Est verso Ovest ma anche da Ovest verso Est. Tutti conoscono il Wir sind ein Volk come rivendicazione gridata in coro da entrambe le parti dello specchio: siamo un popolo e come tale necessitiamo di conoscerci. Esplorarci. Tornare alle nostre radici più intime.
L’Ultimo comunista è il viaggio di Ronald M. Schernikau, individuo realmente esistito. Peregrinazione verso una terra incapace però di soddisfare le aspettative di chi vi ha trascorso la rimpianta infanzia. È storia di variegate letture («testi sul rock’n’roll e sui pompini, […] Michel Foucault e Roland Barthes») o paturnie da scrittori («giorni, settimane, mesi. Sempre la stessa scrivania, la stessa finestra, la stessa vista»). Di aspettative mal riposte e speranze (Orientierungslosigkeit si dice: mancanza di orientamento. «Il problema non è scrivere, ma trovare il tempo per farlo. Se vivessi nella DDR sarebbe tutto più semplice»). Di arte e analisi dell’arte («era evidente la tendenza alla new wave, variante modaiola del punk. Il new waver doveva solo togliersi il gel della cresta e darsi una bella rasata, ed era pronto per andare al lavoro in banca») ma soprattutto di amore in numerose diverse incarnazioni. Faccenda che in modo prevedibile pone sotto una luce migliore steccati, torrette, recinzioni e grigiori diffusi. Amore condiviso per entrambe le patrie: l’Ovest della età adulta e l’Est in settori di inaspettata maggiore tolleranza («nella DDR l’articolo 175 del codice penale tedesco, relativo all’omosessualità, era stato cancellato perché si rifaceva al diritto nazista. Nella Repubblica Federale, invece, era stato mantenuto»). Amore verso il passato e la famiglia, madri su tutto. Verso le donne e (con più slancio) gli uomini di Ronald Schernikau, protagonisti del fervore culturale di una città che venne resa isola prima di tornare, più energica che mai, a ricoprire il complesso ruolo di spillone da balia tra culture e cuore artistico del continente.
Grazie, bellissima recensione. Visto che la Germania evidentemente le interessa, le farei mandare anche Fratelli, di Brigitte Reimann, libro anche questo da me molto amato, che parla di anni 60 e di DDR, ma da un altro punto di vista, quello della divisione. Se scrive il suo indirizzo a ufficiostampa@voland.it le faccio spedire il libro
dds
finalmente qualcuno ne parla! bene!