Carthago delenda est

381367_2648964632597_1414468446_ndi Domenico Caringella

Ceterum censeo Carthaginem esse delendam
(Marco Porcio Catone)

Nello stesso istante in cui la “Zama” ha sciolto gli ormeggi – il profilo di Tunisi che dietro di noi iniziava progressivamente a rimpicciolirsi – ho sentito, tutta insieme e per la prima volta, la parte cartaginese del mio sangue fluirmi sino alla testa e armare il mio braccio. È stato un esordio, perché l’antica nemica di Roma era solo un ricordo sbiadito della mia infanzia, un inverno tiepido in cui mio padre mi aveva accompagnato a vedere e vivere le rovine della città morta, fuori dalla capitale. Quanto parlava mio padre. Ora non parla più, o forse è solo lontano; o sono io che non lo sento. Leggi il resto dell’articolo

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La sopravvivenza delle immagini nel cinema

La_sopravvivenza_51adc55ef290c_220x335Francesco Zucconi, La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità (Mimesis, 2013)

«Dai meandri di un archivio,
gli spettri di un passato ridotto a frammenti
guardano il presente, lo interpellano,
sembrano dargli del tu.»
(p. 86)

Caro Zucconi,

le nostre strade si sono divise che ancora dovevi laurearti, e ti ritrovo improvvisamente così, con uno sguardo che accoglie un’eredità pesante, che a Siena è stata purtroppo dolorosa, e non soltanto una volta. Non può infatti sfuggire la passione che anima questo tuo libro, dove la cura e l’attenzione, lo scrupolo dello studioso, si vedono in ogni dettaglio. Leggi il resto dell’articolo

Il Ponte dei Cani Suicidi – #TUS3

Overtoun bridgeSul nostro blog il martedì è il giorno dedicato ai testi del reading Torino Una Sega 3. Presentiamo dunque il brano di Matteo Pascoletti (tratto dal prologo a un lavoro che, come dice lui, “se va bene uscirà postumo”). Oltre al Ponte dei Cani Suicidi Matteo ha letto un brano da Palace of The End (Neo. Edizioni) di Judith Thompson.

In Scozia, un giorno, un cane s’ammazzò.
Era il Ventesimo secolo, l’uomo considerava il suicidio una propria esclusiva: se anche gli animali erano capaci di gesti autodistruttivi, l’atto cosciente e ragionato era loro impossibile, così come il dilemma morale. Tuttavia queste nozioni non aiutavano a indagare la morte di quel cane: chi si avvicinava all’accaduto finiva per alimentare una nebbia di miti e teorie che si fece presto densa coltre; tra i vapori, l’uomo smanioso di verità riusciva comunque a scorgere alcuni fatti di rilievo.
Il cane si uccise nei pressi di Milton, distretto di Glasgow. Nelle verdi lande della zona si trovava Overtoun House, una villa campestre edificata nel Diciannovesimo secolo: architettura gotica, edera avvinta alle mura e rigogliosa vegetazione che si estendeva all’orizzonte. Overtoun House si raggiungeva passando per l’omonimo ponte, che sovrastava il fiume vicino alla villa nel punto in cui questo compiva balzi a cascata.
A uccidere il cane fu un volo di quindici metri dal ponte. Non fu l’unico esemplare a gettarsi, ma era difficile quantificare i casi e l’arco di tempo in cui avvennero i suicidi: all’inizio nessuno sentì il bisogno di statistiche ufficiali. Tra le dicerie più in voga, una contava duecento cani tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del nuovo millenio. Quali fossero i numeri, il luogo divenne noto come Leggi il resto dell’articolo

Fantasmagoria clinica

g8di Marco Montanaro

Il padre di E restaurava mobili antichi. In un modo o nell’altro aveva provato a instillare nella testa del ragazzo l’idea che bisogna sempre darsi pena, a tutti i costi, pur di non annegare nella sufficienza. Molto sopra o anche molto sotto, ma mai in mezzo, ripeteva il padre di E. Lo faceva con gusto e con calma, da buon amico più che da genitore. Fino a diciott’anni la vita del ragazzo si svolse comunque senza grandi scossoni e soprattutto lenta, molto lenta, come accade per l’infanzia quando la riesumiamo da adulti. Non ci furono ragazze né grandi passioni, nell’adolescenza di E.
Nel luglio del 2001, tuttavia, accaddero due cose che avrebbero avuto un peso molto diverso nel prosieguo della sua vita. C’era una viaggio da fare proprio con suo padre, a Genova, per visitare il grande acquario. Ma questo viaggio fu rinviato, perché a Genova in quei giorni ci sarebbero state delle grandi manifestazioni. Durante quelle manifestazioni accadde in effetti qualcosa di terribile. Un ragazzo si beccò una pallottola in testa da un carabiniere. Subito dopo un blindato dell’Arma calpestò il suo cadavere. E e suo padre guardarono a lungo i filmati della morte del ragazzo in tv. Il padre di E si diceva disgustato. Diceva che il ragazzo morto assomigliava a E, che avevano la stessa età e lo stesso taglio di capelli, diceva che poteva esserci suo figlio al posto del morto (lo diceva rivolto alla tv) e che il mondo andava certamente peggiorando. Dal canto suo E non aveva un’idea ben definita della questione, si percepiva certamente disgustato per quello che vedeva in tv ma doveva esserci come un filtro, nella sua testa o nello schermo, che non gli permetteva di accedere concretamente al dolore racchiuso in quegli avvenimenti. Per la prima volta E giungeva alla conclusione che lui e suo padre erano molto diversi, che quel che gli mancava era la parte storica, così la chiamava, che al contrario portava suo padre a vedere le cose in un certo modo, a tratti politico, a tratti solo eroico o solo tragico. Leggi il resto dell’articolo

Tre poesie di Francesco “Millelemmi” Morini

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CON L’AIUTO DEL SOLE

Mi avvalgo di un velivolo polivalente volo piu in su di una nuvola
avvaloro la tesi che il divino lo voglia e svalvolo bevo un po’ di vino
in ipso veritas non riverisco a vanvera venvia
vanitas vanitatum et omnia vanitas
sganghera

romberà sovraccarica di elettrostaticità
sto po’po’ d’ammasso di gocce d’acqua rispecchia la caducità
icchè tu ci vedi l’è icchè tu vivi
vigorosi ghirigori intrisi d’ amori e dolori
colori come vagoni rivarossi e lima
ma la breda è la preda e te tu mi chiedi di andare col tram

arretra!
attratti i pianeti la gravità è alta e va compresa,
compensata e compartecipata ti pare compare? Leggi il resto dell’articolo

La via del gatto

di Luca Lampariello

Ogni mattina, dalla finestra di camera, Giorgio vedeva un gatto tigrato fermo sul ciglio della strada. Il gatto se ne stava lì, tutto raccolto, lo sguardo puntato in alto. Si osservavano. Poi il gatto andava via. Era diventato un appuntamento quotidiano con un certo valore. A Giorgio piaceva l’idea di svegliarsi e trovare il gatto. In quella ripetizione privata si sentiva un po’ sognante.
Un paio d’anni prima che la figlia si trasferisse a Roma per l’università, mentre era impegnato in una battuta di caccia con gli amici, Giorgio trovò un cucciolo di cinghiale accanto a una quercia. L’animale si confondeva, quasi, con il tappeto di foglie secche. Richiamò l’attenzione degli altri, e insieme lo portarono nel piccolo borgo dove abitavano. Decisero di metterlo dentro un recinto dietro le stalle, in una porzione di terreno all’interno di un boschetto di lecci. Nelle prime settimane quel cucciolo con il pelo marrone a strisce chiare non faceva che ricevere visite. I bambini correvano a vederlo e a dargli da mangiare non appena potevano.
– E cosa ne farete? – gli domandò Federica, la figlia, a cena, gli occhi piccoli dietro gli occhiali che lo stavano già biasimando Leggi il resto dell’articolo

Radiosveglie

di Domenico Caringella

Sono stato il biografo ufficiale di Kadijah al Said, la Sultana Nera, per un numero imprecisato di anni: la fissità del deserto e le mollezze della prigione dorata che mi era stata riservata, hanno infatti minato ben presto e senza rimedio la mia cognizione del tempo.
Sono rimasto al servizio di quella donna senza età, cui la legge Salica aveva impedito di diventare quabus di Uqbar in favore del fratello, uomo inetto e senza qualità in tutto anche nel ramino, sino al giorno in cui ho scoperto che a trattenermi lì non erano state le guardie armate fino ai denti, le velate minacce di un futuro da eunuco o le paranoiche prospettive di un lento avvelenamento, ma semplicemente la mia volontà debole e prostrata, il timore di tornare a casa ad essere di nuovo Nessuno.
Kadijah viveva nel lusso più sfrenato, e tutti noi con lei. Alla mancanza di averi ereditari aveva sopperito armando una flotta corsara imprendibile che batteva a tappeto lo stretto di Hormuz e depredava ogni guscio di noce che le attraversava la strada: i suoi giannizzeri nell’87 erano riusciti a dare Leggi il resto dell’articolo

Il giorno che diventammo umani

di Francesca Chiappalone

Il giorno che diventammo umani
di Paolo Zardi
Neo edizioni (ottobre 2013)
Pag. 203, Euro 14,00

Scrivere di quanto l’essere umano sia difettoso o debole è piuttosto facile, non mancano le parole, è una condizione che viviamo e che, se proprio evitiamo di foderarci gli occhi con gli unicorni, non possiamo non notare. Farlo con grazia, con la punta dell’ironia temperata, con quel tipo di dolcezza che accompagna la sconfitta e le mani vuote, è invece più complicato. Non basta il talento, la maturità, il giusto peso che diamo alle parole, bisogna essere consapevoli della natura che portiamo addosso, della sua labilità, e continuare comunque a tenere il mento alto, l’orecchio teso, la possibilità di una risata tra le parole tradimento, perdita, malattia.
Paolo Zardi sembra che abbia proprio quel tipo di dolcezza, un modo di farti ridere anche se dieci pagine prima ti aveva fatto piangere dentro la metro. E nemmeno ti deve spingere, dentro le sue storie, perché sono quadri dentro i quali salti da solo, senza dover essere per forza felice e contento come Mary Poppins. Ritratti di persone che potrebbero assomigliare a chiunque e che si trovano, per la prima volta lucidi, davanti alla vita, in tutto il suo miscuglio di schifo e desiderio.

Qual è il giorno in cui siamo diventati umani?
È proprio quel che ci si chiede leggendo questi racconti (qui uno dei racconti in anteprima, ndr) che sono intrecciati con lo stesso filo Leggi il resto dell’articolo