La luce che illumina il mondo
dicembre 11, 2013 Lascia un commento
Quello che segue è un estratto del romanzo La luce che illumina il mondo (Indiana Editore, 2013) di Paola Ronco.
«E tu che ci fai qui, nella tua serata libera? Cos’è, stai cercando di farmi le scarpe, boss?»
La pioggia che picchietta lenta sul cappuccio dell’impermeabile, le ultime fiamme tremolanti tra le schiume dei pompieri, transenne ovunque e mitragliatrici nelle mani dei soldati.
Maurilio Sori si guarda intorno e pensa che soltanto a vent’anni si può riuscire a scherzare in mezzo ai resti di un attentato senza suonare irrimediabilmente cinici.
Avanza di un passo, le mani in tasca, l’andatura pesante di un uomo che si trovi a passare per caso, cerca di non mostrare troppo la stanchezza che lo stringe da ogni lato.
«Se volessi fare le scarpe a qualcuno, non andrei certo dalla mia cronista preferita. A lei, cercherei di invitarla a cena. Casomai.»
Laura sorride, accenna una smorfia di scherno e poi pare ricordarsi del luogo; con il mento indica i rivoli di pioggia che colano dai contorni del k-way.
«Non dirmi che sei venuto fin qui a fare due passi.»
Se non l’avesse già detto troppe volte, potrebbe replicare che ormai, dopo tanti giorni, non si fa nemmeno più caso al tempo. Oppure potrebbe prendere coraggio, e risponderle che è venuto apposta, sapendo che c’era lei; e poi potrebbe ribadire con più serietà un invito a cena.
Il posto non è quello giusto, però. Il suono delle sirene che riecheggia nei nervi, le persone che sbandano, ferite nella loro certezza di essere invulnerabili.
Il posto, il momento; tutto sbagliato. Cose che capitano, pensa Maurilio Sori, e gli sembra di aver consumato degli anni a cercare occasioni, che si sono sempre presentate troppo presto o con un ritardo tombale.
«Sono in incognito, tesoro. Anzi, se hai degli occhiali scuri da prestarmi…»
Lei mette su un’espressione scandalizzata, soltanto gli occhi sorridenti la tradiscono, ma non cede; alla sua età, ricorda lui, si è ancora convinti di essere al centro dell’universo, di provocare gli eventi circostanti.
«Insomma, sei venuto a vedere quello che fanno i Neo-catari» lo punzecchia. «Ci credi, adesso, che fanno sul serio?»
La guarda perplesso, convinto di non aver capito.
«I Neo-cosa?»
«Catari, boss, catari. Il Medioevo era tornato e noi ci passavamo attraverso senza saperlo.»
«Mi trovi del tutto impreparato, mia adorata» fruga nella memoria, alla ricerca di una nozione qualunque, un appiglio che restituisca un senso a quello che sta capitando nella città che credeva di conoscere a fondo. «Ma non era una roba di eresie religiose?»
«E bravo capo. Fatti un giro su Wikipedia come me. Il dualismo, i manichei, il re del mondo. Incredibile, no?»
«Il re del mondo. Non è il diavolo?»
Il modo in cui lei sorride, la gran voglia di distrarsi con un pensiero dolce, almeno uno; Maurilio si accende una sigaretta, distoglie lo sguardo per concentrarsi soltanto sulle parole.
«Esatto. A quanto ho capito, i catari credevano in due mondi, questo qui che è fatto di materia, e quello dello spirito, dove abitano le anime, o qualcosa del genere. Bisogna tornare alla purezza dello spirito, dicono. E lo si fa dando fuoco a qualsiasi cosa, mi pare di capire che sia questa l’aggiunta dell’età moderna.»
«Neo-catari. Ma chi è il genio che li ha battezzati così? Di sicuro non uno dei nostri colleghi.»
«Chiaro che no, è il loro ideologo in persona. Guarda un po’ qui» gli porge la pessima fotocopia di un volantino.
«Mio dio, la rivendicazione no.»
«Oh sì, invece. Qualcuno ne ha sparso un pacco fuori dal supermercato. Se prima o dopo, lo stabiliranno le sagaci forze dell’ordine.»
Maurilio Sori sospira, tutta la magia di un Medioevo immaginato spazzata via dalla realtà e da una rimasticazione imprecisa, rassegnato all’idea di trovare vecchie parole macerate in una sintassi farraginosa.
Quello che legge, invece, lo lascia muto per un istante.
Poche righe, caratteri grandi. Nessuna motivazione, nessuna speranza.
Possa Iddio misericordioso avere pietà di noi tutti, e accoglierci nel vero mondo dello spirito. La fine del mondo è qui. Firmato, il Perfetto dell’Ordine dei Neo-catari.
«E allora? Che ne dici?»
Maurilio Sori si volta a guardare Laura, per la prima volta quasi non fa caso alla bellezza dei suoi occhi.
«E che ne dico? Che ci mancavano solo questi, a Sumonno.»
Il momento peggiore, Maurilio Sori lo sa, è prima che arrivi il sonno a prenderlo; è il momento dei pensieri che si attorcigliano, dei ricordi. È un momento di lettere che si ritrova a scrivere a se stesso, dopo tanti anni passati a rivolgersi agli altri.
Tutte quelle parole che ha messo insieme, sempre immaginando che potessero essere proiettili contro l’ingiustizia, e l’indifferenza ostile ricevuta in cambio, che qualche volta l’ha convinto a cercare di smettere. Quelle che è tornato a scrivere, poi, sconfitto da una partita senza avversari, e lo stesso identico senso di inutilità ad accoglierle.
«Domani, se lei è d’accordo, potrei far uscire sul sito un piccolo estratto di quello che ci siamo detti. Magari anche sul giornale.»
«Una specie di intervista? A me?»
«Un articolo di storia, forse. Un’intervista. Quello che viene fuori. Che ne dice?»
«Lei non è molto seguito, vero?»
«In che senso?»
«Non si offenda, pensavo solo che una serie di articoli del genere non sarebbe permessa, a un giornalista famoso.»
«Il fatto è che, in realtà, sarebbe il giornalista famoso, a non interessarsi a un argomento del genere.»
Una vita intera a presumere di raccontare il mondo a tutti, e la consapevolezza di avere superato i cinquant’anni senza aver mai raggiunto una certezza; e senza avere niente di sé da raccontare, pensa Maurilio, gli occhi serrati a implorare che la mente molli la presa.
Nessun figlio, nessun amore che sia durato un tempo sufficiente da renderlo felice davvero, nessuna sicurezza lavorativa, nessun patrimonio che gli permetta di scappare. Si rivolta nel letto, inseguito dall’immagine di Laura, che non lo guarderà mai davvero, non con quegli occhi, e dalla sensazione di una città sempre più estranea e incomprensibile.
Avrebbe potuto seguire una carriera normale, come tanti; il talento non gli è mai mancato, se solo avesse seguito qualche regola, se la parola compromesso non gli fosse sembrata poco meno di una bestemmia.
I sorrisi sempre più stravolti che gli capita di rivolgere al mondo intero pur di non farsi vedere disperato, la possibilità che comunque gli rimane, di camminare in relativa libertà; si è accorto di questo privilegio da quando ha cominciato a intervistare Maria Sole. Il poco valore delle cose che sente di possedere, sempre in via provvisoria.
Gli viene da pensare che forse, se fosse stato meno rigido, ora potrebbe dire quasi le stesse cose, ed essere letto davvero da più di una manciata di persone; ma sono considerazioni inutili, che non tengono conto di troppe varianti, del peso della dignità che gli rimane e del suo essere comunque inadatto. Una vita spesa a diffidare di qualunque potere, per ritrovarsi a capire, in una delle troppe notti insonni, come in realtà sia stata la stessa Sumonno a non avere mai creduto in lui, fin dagli inizi.
«Quando è stato che ha preso la sua decisione? C’è un momento preciso, oppure è stata più una cosa graduale?»
«Senta, ma dovremo parlare di questo dandoci sempre del lei?»
I metodi che usano gli esseri umani per provare a stare meglio, pensa Maurilio Sori; le convenzioni, le formule collaudate, la forzata illusione di sentirsi gruppo, almeno per poco. Questa razza umana che si crede unica.
«Non avevi paura?»
«In che senso? Quando?»
«Quando partivi per un attentato. Non ti capitava di avere paura? Di pensare che non ce l’avresti fatta?»
«La paura mi veniva sempre dopo. A cose fatte.»
«Ma non pensavi mai che…»
«Sì. Ma sempre dopo.»
Le cose che avrebbe potuto dire se avesse fatto un’altra scelta, pensa Maurilio Sori, le cose che ancora, gli sembra, dovrebbe dire; tutte le parole che un tempo usava come pallottole. Un tempo gliene bastavano davvero poche per credere di aver vinto la partita con il mondo, la città, il potere.
Il momento peggiore, pensa Maurilio, gli occhi spalancati in una rassegnazione insonne, arriva quando ti senti troppo vecchio per prenderti il gusto di un’ultima rivolta.
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