Con calma, senza fretta
gennaio 31, 2014 3 commenti
E per la quarta volta entrano nel condominio, grazie a qualche frescone che gli apre […] Pensavo, dopo non aver più visto da tempo i Testimoni di Geova […] che fosse finito il fenomeno del porta a porta e invece ecco che arrivano loro. Delle quattro volte, due stavo perfino dormendo. […] Non essendo un anziano o una donna non ho avuto timore ad aprire. Poi però è successo il finimondo. Ho urlato loro tutta la mia rabbia per questo disturbo ILLEGALE […] li ho cacciati ricoprendoli d’insulti e minacce […] Ora preparo un piccolo cartello da mettere vicino al campanello con su scritto «se mi suoni perché vuoi vendermi qualcosa, sappi che prima apro la porta e poi te.» […] Sarebbe ora di smetterla perché una donna o degli anziani, di questi tempi, si spaventano!
La fastidiosa invadenza di Lotta Comunista (Utente Amen, 20-09-12)
Avrei fatto qualsiasi cosa pur di militare con loro, negli anni in cui li incrociavo ogni giorno lungo i viali fioriti dell’Università, davanti alle fontanelle bulicanti – le casematte strategiche della loro avanzata egemonica – prese d’assalto a ogni ora del giorno e della notte, le pesanti mazzette di giornali sotto braccio, vestiti di un sobrio ed elegante nero coordinato, rigorosamente in giacca, cravatta, e austeri girocolli a V – perché è nella storia del movimento operaio che i proletari facciano politica ben vestiti. Se nelle circostanze di quelli agganci schivati con fastidio confondevo spesso – con supponenza – la loro dedizione per invadenza, oggi, a distanza di anni, mi appare chiaro per quel che era: un umile senso di classe e di appartenenza – o di appartenenza di classe. Il loro coraggio e la loro indipendenza, la barra dritta opposta con calma, senza fretta ad ogni rifiuto scortese, quell’indomita perseveranza e la febbrile fede profusa, tutto rimandava a una dimensione comunitaria forte e intensa che, sebbene bramassi, ripudiavo con ostentazione nella mia accidia indievidualistica.
La conferma della loro identità mi venne dalla vista di uno dei loro volantini con la foto di Marx e la scritta (alquanto ambiziosa) “Corsi di Marxismo”. […] Attendevo che uno dei loro “esponenti” mi si avvicinasse per propormi di andare a uno dei loro incontri […] l’avrei steso a colpi di dialettica […] come un giaguaro attende il lento bufalo nascondendosi nella savana. Finalmente il fatidico momento: una ragazza […] mi si avvicina porgendomi il loro volantino. Il gioco era fatto: sarebbe stato sufficiente affondare le mie zanne “dialettiche e marxiste” sulla sua carne nuda, per rendere giustizia e riscattare il buon nome del compagno Stalin…
Incontro ravvicinato con Lotta Comunista parte II (Utente Georgij Konstantinovic Zukov, 18-09-12)
Ero deliziato da quella grafica spartana in stile Weimar 1919 e dal rassicurante font sempre uguale negli anni, ma sopra ogni cosa adoravo i loro titoli, sparati indefettibilmente a caratteri cubitali: LENIN EUROPEO E CLASSE INTERNAZIONALE; LA SCIENZA MARXISTA DEL MUTAMENTO; REGOLARITÀ SOCIALI DELLO SVILUPPO IMPERIALISTA; DIALETTICA E INFINITO. Per me, che mi ero appena allontanato da Rifondazione sconvolto dal Congresso di Venezia e dalla svolta non violenta della maggioranza bertinottiana dei bonghi, era una specie di serrata ordinata e familiare, un po’ come i tanti compagni che entrarono nell’organizzazione a metà degli anni Ottanta, e smisero di bucarsi vendendo i giornali porta a porta. I miei nuovi sodali non erano dei semplici troskisti à la Ferrando; essi erano stati forgiati con furore nell’ambizione bordighiana del frazionismo astensionista; di conseguenza, non avevano bisogno di nascondersi dietro alla contingenza, perché avevano imparato a perforarla per puntellarla dall’interno, in vista dell’inevitabile e definitivo crollo del Sistema. L’assillo del tempo, d’altronde, è uno psicodramma borghese – si sa. Un giorno, con la mia nuova compagnia, avrei potuto assistere – con calma, senza fretta – ad almeno un pezzetto della fase di transizione verso il socialismo reale; un inimitabile ed entusiasmante sample treviriano dal trascinante groove vetero-leninista.
Di loro ammiravo tutte quelle caratteristiche che nella vulgata popolare ne alimentavano la leggenda: il settarismo religioso espanso e appiccicaticcio, l’attitudine messianica e anti-ecumenica, l’assenza di semplificazioni reducistiche, la scansione deframmentata e utilitaristica del loro tempo, il culto dello studio, delle scienze e del sapere: per entusiasmarmi, non dovevo che scorgere i densi e imponenti saggi che riempivano d’inchiostro nero come la pece le pagine del giornale, e che applicavano alla lettera la questione del marxismo-leninismo come teoria scientifica, complessa, intricata, imperscrutabile se vuoi, perché rigorosa. Se l’azione politica va ricondotta in ultima istanza ad un’analisi attenta e accurata dell’attuale fase controrivoluzionaria, lo studio della realtà economica e il monitoraggio dell’andamento della finanza mondiale, di conseguenza, hanno da essere le preminenze ideali. E poi basta con i soliti rigurgiti stalinisti, i vacanti anacronismi storici dell’antifascismo di maniera e i pii vagheggiamenti idiotici del parlamentarismo borghese: questa organizzazione non è un partito, ma è l’organo dei gruppi leninisti della sinistra comunista, internazionalista e antistalinista, per l’opposizione proletaria all’imperialismo europeo e all’imperialismo unitario.
Per tutta la scorsa settimana i giovanissimi militanti duri e puri di Lotta Comunista hanno volantinato davanti a H&M, alle discoteche, persino di fronte ai negozi di abbigliamento intimo, per convincere i loro coetanei a partecipare alla Grande Giornata della Gioventù Internazionalista, che si svolgerà oggi pomeriggio (inizio ore 15) nel luogo più decontaminato dal capitalismo selvaggio, cioè la Sala Chiamata del Porto, messa a disposizione dal console della Compagnia, Antonio Benvenuti, che a Lotta Comunista fa, da sempre, riferimento.
Lotta Comunista davanti ai tempi del capitalismo (Repubblica di Genova, 15-01-12)
Fai conto che il più delle volte le riunioni si tengono in scantinati ricoperti di muffa a San Lorenzo, a Prati, a Monteverde, non al Pigneto, ma ai Castelli. Dopo il primo incontro in facoltà o sul pianerottolo di casa, dopo l’immarcescibile rituale (Siamo qui perché siamo stanchi del sistema e ci piacerebbe proporre nuove idee. Se lasci il numero di telefono ti inviteremo alle nostre riunioni), dopo che hai comprato una copia del giornale a 5 euro invece di 1, dopo avergli lasciato il tuo numero di telefono, dopo che ti hanno dato appuntamento davanti a una stazione della metro A, due ragazze molto attraenti ti vengono a prendere in macchina per accompagnarti in sede, dove una scalinata ripida e scoscesa ti conduce in una piccola sala illuminata a freddo da un neon sporco che macchia i muri ricoperti di stucco scrostato e dà luce ai santini incorniciati di dirigenti e esponenti storici del movimento operaio (Marx, Engels, Lenin, Bordiga, Cervetti). Ovunque ti giri c’è una sedia di plastica bianca, come quelle su cui in spiaggia bramavi il Magnum alle nocciole nel 1990, mentre alla radio Lucio Dalla cantava in mezzo al bosco con l’aiuto del buon dio. In fondo alla stanza, alla parete, simboli cirillici su una grande lavagna verde, mentre un uomo dal volto emaciato – di solito un Arrigo o un Onorato – prende posto dietro una lunga cattedra di fòrmica verde con microfono e leggio, per tenere una lezione sulle 5 tesi per una prospettiva internazionalista degli antimperialismi Mediorientali – Della centralità del lavoro politico sul territorio.
Un ragazzino di seconda media contesta alcuni sbilanciamenti hegeliani sulle ipotesi di una uscita leninista dalla strumentalizzazione in chiave marxiana del processo di islamizzazione dei Fronti di Liberazione Nazionale: il dibattito, va da sé, si alimenta di questioni complesse ma convergenti.
Alle undici meno dieci un compagno dalla seconda fila ti guarda con fiducia e speranza e, con un sorriso elegante, ti invita a intervenire. Con calma, senza fretta. Non puoi deluderlo. Non puoi tirarti indietro.
Se fai una sola domanda – quella domanda – non li rivedrai mai più. Passeranno gli anni, passeranno i decenni, ma loro non dimenticheranno. E conservano ancora il tuo numero di telefono.
Bellissimo… sono stato uno di loro per qualche anno… mi mancano tanto però
anche a me… grazie compagni precari
Grazie a te che ci regali sempre dei gran bei racconti!
S.