Aspettando il Flep! – intervista a Luca Moretti

In occasione della seconda edizione del Flep! – Festival delle Letterature Popolari, che si terrà, dal 19 al 22 settembre, nella suggestiva Aranciera Semenzaio di San Sisto, colgo l’occasione per fare una chiacchierata col mio amico Luca Moretti, scrittore e fondatore dei cugini di TerraNullius, realtà a cui sono legato da profondi rapporti ideologici e di stima e amicizia e di cui ho fatto parte per due anni e con cui ho condiviso la faticosa ma straordinaria avventura dello scorso anno.

Gianluca Liguori: Luca, si è ormai in dirittura d’arrivo: quali sono le novità di questa seconda edizione?

Luca Moretti: Nuovo è il luogo, dal Parco Meda, periferia contratta che per me era già “centro”, all’Aranciera Semenzaio di San Sisto, a Caracalla, lì dove si perpetua l’eterno ritorno della nostra città, della città dell’uomo, di Roma, lì dove è centro. Nuovi saranno gli autori, sempre legati alla nostra idea di letteratura, nuove le loro performance e i reading teatrali che si susseguiranno ogni giorno. Nuovo sarà il cibo, il vino, nuovi e a km zero grazie all’apporto insostituibile de Il Sorì, nota enoteca di San Lorenzo. Nuovi gli artisti di ipercontemporanea, la nostra galleria viaggiante. Nuove e curate nel minimo dettaglio le serate che seguiranno le presentazioni, dal tango al revival, al soul a Giuseppe Verdi.

GL: Quali sono le difficoltà principali che avete incontrato finora nell’organizzare queste due edizioni?

LM: Innanzitutto i soldi. I soldi sono una cosa brutta in generale. Per chi non ne ha a disposizione ma ha tante idee sono una cosa ancora più brutta. Per noi è stato uno stimolo a tenere duro, a tirare avanti con l’obiettivo di riuscire nell’intento anche senza finanziamenti o bandi di sorta. Il Flep!, è doveroso ricordarlo ogni volta, è un festival completamente autofinanziato dagli autori di TerraNullius, questa è la prima difficoltà e la prima fonte di motivazione. Il Flep! è costato e costa molto a ognuno di noi, in termini di tempo, affetti e salute, ma Leggi il resto dell’articolo

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Biglietto, prego

Tre racconti di Gianluca Liguori, Simone Ghelli e Luca Piccolino all’interno dell’antologia Biglietto, prego, a cura di Alex Pietrogiacomi, con introduzione di Filippo Tuena, postfazione di John Vignola e fotografie di Gianluca Giannone, dal 5 luglio in tutte le librerie per i tipi di Zero91.

21 scrittori italiani, sempre in bilico su una strada incapace di essere definita per colpa di un quotidiano pieno di trappole e sorprese, raccontano la vita dei pendolari, dei precari, dei viaggiatori forzati, attraverso i propri occhi e quelli di un fotografo, creando percorsi alternativi, tracciati da chi non vuole nascondersi tra i binari imposti dall’esigenza né tantomeno arrendersi a una società menefreghista.
Racconti brevi, capaci di essere compagni di percorso per una o più fermate oppure per tutto il tragitto desiderato, che hanno per protagonisti i pensieri, i sogni e i volti di chi abitualmente timbra il suo biglietto per la propria esistenza non rassegnandosi all’idea di essere uno sconosciuto da incontrare puntualmente a una fermata.
Un viaggio solitario o in gruppo, che comincia voltando pagina, da uno scorcio di irrealtà che ogni giorno chiamiamo vita.
Tra gli autori, oltre ai tre “Scrittori precari”, tante firme che hanno animato il nostro blog in tutti questi anni: Gianluca Liguori, Simone Ghelli, Luca Piccolino, Alex Pietrogiacomi, Fabrizio Gabrielli, Massimiliano e Pier Paolo Di Mino, Roberto Mandracchia, Iacopo Barison, Alessandro Hellmann, Gianfranco Franchi, Raffaella R. Ferré, Matteo Trevisani, Alessandro Raveggi, Lorenza Fruci, Matteo Bortolotti e Micol Beltramini, Francesca Bellino, Marilena Renda, Adriano Angelini, Alfredo Ronci e Ernest LeBeau.

Qui di seguito il booktrailer: Leggi il resto dell’articolo

Fútbologia

Riproponiamo qui, in attesa di Fútbologia, l’indice dello speciale che Scrittori precari curò per i Mondiali del 2010.
Fútbologia è un festival di 3 giorni che si terrà a ottobre a Bologna, con conferenze, reading e incontri. In mezzo proiezioni di film e documentari, torneo di calcio a cinque, bar sport, workshop di costruzione della palla per bambini. E tanto altro ancora.
Fútbologia
è un modo per ripensare il calcio. E tanto altro ancora. Leggi il resto dell’articolo

Appunti biodegradabili dalla terra della fantasia – 8

L’otto quassù indica il numero di settimane da cui vanno avanti queste cronache dalla campagna. Sono passati già quasi due mesi da quando sono venuto qui. La stagione va cambiando: i colori meravigliosi dell’autunno; le ore di giorno si rimpiccioliscono e la sera alle sei e mezza è già scuro; si presentano i primi freddi e le piogge e il vento. Mentre scrivo, adesso, mezzogiorno di mercoledì, fuori piove. Mentre da ieri un bombardamento di notizie mette in allarme per i previsti nubifragi su Roma. Qui invece piovono le foglie – ingiallite nel tempo di un solo giorno – del tiglio fuori dalla finestra di questa stanza dove vengo a scrivere, l’unica della Casa degli oblò dove arriva la wireless. I cani sono nelle cucce, papere e galline nel pollaio: aspetto che spiova per portargli da mangiare.
Stasera dovrebbe arrivare Leggi il resto dell’articolo

Ultima spiaggia

a L.C.

Dalla strada statale alla spiaggia quarantadue passi di funerale. Tre bambini tengono sollevato un vecchio lenzuolo su cui è steso un gatto arancione e morto. Nelle ore precedenti, i tre hanno scavato una buca nella sabbia e adesso, in silenzio, vi adagiano dentro il gattaccio con il suo sudario a fiori rossi su sfondo blu. Poi, in piedi sul bordo della buca, i bambini guardano dentro: il gatto ha i visceri di fuori e un occhio in meno. Perché seppellirlo qui, chiede il più piccolo. Scemosei te lo abbiamo già detto cento volte, dice il più grande dopo aver sbuffato. Perché il mare pulisce tutto, risponde il mezzano che è anche il fratello del mocciosetto. Perché il mare pulisce tutto, chiede il piccolo. Gli altri due neanche rispondono. Per scavare la buca hanno usato delle vecchie palette di plastica – le stesse adoperate per trasferire l’animale dall’asfalto rovente al lenzuolo – e adesso, per ricoprirla, usano le mani. Vedendo il gatto scomparire a poco a poco, ricoperto dalla sabbia scura, il bambino più piccolo scoppia a piangere. Scemosei, dice il grande. Scemosei, ripete il mezzano. Il piccolo riesce a trattenere le lacrime, ma non i singhiozzi che gli scuotono il corpo. Dal chiosco delle bibite e dei gelati proviene una canzone di Vasco Rossi che piace a tutti e tre. Il sole non si decide a tramontare. Leggi il resto dell’articolo

Appunti biodegradabili dalla terra della fantasia – 1

Il sugo è quasi pronto, cuoce da quattro ore, forse cinque. Stamattina, appena sveglio, ho tirato fuori dal frizzer delle salsicce che aveva lasciato Gaetano, dicendomi che dovevano essere consumate. Ho tagliuzzato le cipolle e il sedano – mi mancavano le carote, l’altro giorno che son sceso in paese a far la spesa avevo titubato nel comprarle, e in effetti sarebbero servite – e ho soffritto il tutto con due spicchi d’aglio; ho sfumato con del vino bianco, poi, poco dopo che ho buttato in pentola le salsicce, oramai quasi del tutto scongelare, ho fatto lo stesso con un po’ di rosso. Quando la carne era quasi cotta ho aggiunto il pomodoro. Dapprima mi sono messo a girovellagare su internet, poi ho spento il computer e mi sono messo a leggere. A un certo punto, mentre il sugo cuoceva e io ero in bagno e leggevo Agostino (il romanzo di Moravia, non il santo), ho sentito i cani abbaiare. Non era il solito abbaiare di quando sentono rumori, persone o vedono mostri, no, era un abbaiare diverso, rabbioso, nervoso. Leggi il resto dell’articolo

Il piccolo Michaux #3 – Editoriale

Il viaggio così come è andato veramente, almeno secondo Pier Paolo Di Mino.

Del resto non andare al Salone di Torino, con lo struscio in mezzo ai banchi, il chiacchiericcio da bar sport in salsa aulica, la festa di Minimum Fax, e tutte quelle strette di mano fra bella gente, è come non vedere il Festival di Sanremo: astrarsi dai piaceri delle vecchie casalinghe a cui non sono più rimasti nemmeno i rammarichi è un tirarsi fuori dalla mischia comunque pericoloso. E poi la bellezza non è mai gratuita, e, anzi, va estratta con fatica, magari trovandola nell’insolito. Leggi il resto dell’articolo

Storia d’amore a sud di nessun nord

[Riproponiamo il racconto del nostro Gianluca Liguori pubblicato su Prospektiva 51. Inoltre ricordiamo che è uscito, interamente dedicato al tema La Traversata, il numero cinquantadue dove, sotto la direzione editoriale dello “sforbiciatore” del lunedì Fabrizio Gabrielli, troverete i racconti dei precari Gianluca Liguori e Alex Pietrogiacomi, in compagnia, tra gli altri, di alcuni autori che abbiamo avuto il piacere di leggere su questo blog come Domenico CaringellaDario Falconi, Marco Marsullo, Roberto Mandracchia, Gianluca Morozzi, Sacha Naspini, Eduardo Olmi e Stefania Segatori. Buona lettura]

 

Io non lo so se quella cosa di averci un burrone
stomaco capita a tutti, mammina cara.
Però in quel momento mi sembrava di cascarci a me,
dentro quel burrone.

Sacha Naspini, I Cariolanti

 

Per esempio la luna. Quando guarda la luna, Adele scoppia a piangere. Io mica la capisco questa cosa qui. Vedi tu se si può piangere a guardar la luna. Questa cosa della luna io l’ho scoperta tardi, perché prima, fino a quella sera, poteva essere un mese fa, io e Adele ci incontravamo solo di giorno. Ci guardavamo di lontano e lei sorrideva. Sorridevo anche io, poi mi sentivo il fuoco sulla faccia e scappavo via.

È più forte di me, mi commuovo, ha detto quella sera che l’ho trovata sul ponte a guardare la luna e l’ho avvicinata. Io non ho potuto far altro che offrirle una carezza. Lei ha cominciato a raccontarmi tante cose. Parlava, parlava. Io non sono scappato fino a quando lei ha detto che s’era fatto tardi e doveva tornare a casa, se no i suoi non l’avrebbero fatta più uscire a guardar la luna.

Io vorrei pure baciarla, Adele, ma mica lo so come si fa. La mamma mica me l’ha spiegato: la mamma dice che di ragazze ne devo baciare solo una, quella che sposo. Che se no, dice, mi prendo le malattie e non mi sposa nessuna, che già c’abbiamo poco da offrire noi. La mamma dice che ci sono tante ragazze cattive, che devo stare attento. Io ci ho un po’ paura delle ragazze e non parlo mai con loro. Tranne che con Adele, perché con lei è diverso. Adele è lei che mi parla. Io sto zitto. Cioè, non è proprio che sto zitto, mi limito a dire “Sì” “Certo” “Bene”. Mai detto altro. Io le parole che vorrei dire le cerco, me le immagino sempre quando sono a pascolar le pecore, quando mi siedo sulla pietra penso tante parole; ma quando Adele mi parla dico solo “Sì” “Certo” “Bene”. Non le so dire altro.

Questa cosa che non riesco a parlare è proprio strana. Mi si crea una sensazione di vuoto tra lo stomaco e il cuore, come se un topino mi rosicchiasse da dentro. Io questo topino me lo immagino davvero, una volta l’ho pure sognato che mentre dormivo mi entrava in bocca. Forse mica che non era un sogno e che il topo m’è entrato dentro e lì vive. E siccome quando vedo Adele il cuore comincia a battermi forte, il rumore del cuore lo spaventa e comincia a mordermi, povero topino.

Io alla mamma mica posso dirglielo che c’ho il topo di dentro. Io lo so che lei prenderebbe il mattarello della pizza e comincerebbe a menarmi sulle braccia e sulla schiena. Io lo so che va a finire così, e siccome le botte non le voglio, ché già il babbo quando beve troppo vino dice che è colpa mia se non è riuscito a combinare nulla e me le dà di santa ragione. Il babbo beve tutte le sere. Certe volte me la scampo, che me ne vado a dormire prima che lui si ubriaca. Però poi è peggio, perché mi sveglia nel sonno il pianto di mia madre. E capisco che mio padre se l’è presa con lei. Io questo lo so perché una volta ho finto di dormire e poi mi sono affacciato e ho spiato mio padre che dava mia madre con la cinta. Io guardavo e mi faceva male pure a me, era come se picchiasse anche su di me. È da quella volta che ho deciso che in camera ci vado solo quando ho sonno da non star sveglio. Preferisco prendermi le botte io, piuttosto che la mamma. Che poi il babbo lo dice pure lui che io c’ho la pelle di ciuccio. E quando hai la pelle di ciuccio il dolore lo sopporti bene, mica come quei bambini che vanno a scuola e sono tutti belli lindi e puliti, bianchicci, che una sola cinghiata del babbo e sarebbero un lago di sangue. Io lo so che il babbo me le da perché mi vuole bene. Oramai non piango nemmeno più. Mi chiudo come una palla e aspetto che finisca. Tanto finisce sempre. Mica può stare sempre a picchiarmi, dopo un po’ si stanca, gli viene a noia, o peggio comincia a piangere lui e dice che non voleva, si scusa. Io il babbo quando fa così mica lo capisco. Io quando piangono i miei genitori non piango mai. Le lacrime sono dei deboli, diceva la nonna. Io voglio esser forte ché devo proteggere Adele. Adele è debole, e di certo non è una cattiva ragazza. Una cattiva ragazza non più piangere a guardar la luna. Sono sicuro che alla mamma piacerà tanto, Adele. Io però alla mamma non gliela voglio raccontare questa storia della luna, chissà cosa penserebbe, direbbe che Adele non fa per me, che per me ci vuole una donna di campagna che sappia badare alla casa, che mica quando invecchia c’avrà le forze, dice lei. La mamma non capirebbe mai perché Adele piange alla luna. Non lo capisco nemmeno io.

Gianluca Liguori