LA FOULE

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La prima volta era stata la pioggia arbitraria e battente a spingerla dentro la Librairie du Temple, nel cuore del Marais, in una giornata di febbraio che sino ad un minuto prima le era sembrata incongruentemente primaverile e subito dopo si era rivelata un’illusione.
In tutte le occasioni successive, l’unico motivo sarebbe stato la vecchia donna con l’impermeabile rosso, indossato senza far caso alla stagione e le scarpe da tennis consumate dal marciapiede e dall’asfalto; e quella voce inconfondibile scolpita nel catrame, che senza logica, improvvisamente degradava al carezzevole. Virginie con il tempo aveva imparato le sue abitudini e sapeva quando trovarla. Il giorno, gli orari.
Quella prima mattina di pioggia era entrata nella libreria a testa bassa, con ancora la copia del Figaro a coprirle i capelli, aperta alla pagina degli annunci di lavoro fradicia e illeggibile. Leggi il resto dell’articolo

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Le stelle brillano alte, coloratissime.

L’appuntamento era al laghetto, quello sprofondato tra i palazzoni, nel cuore di Bijlmer, il lunedì alle cinque in punto.

Giorno spoglio d’abluzioni in moschea e di talmud in sinagoga, il lunedì, le polpette a riscaldarsi nel brodo dopo il lavoro e le birre Dogo sulle panchine, col tropico impigliato tra i dreadlocks e la voglia, finalmente, d’amici.

Ci guardavamo, ed era scioglievolezza d’occhi e di lingua. Confidenze tra fratelli di latte, certo quattordici anni son tanti, e io un po’ di nostalgia ce l’ho, tu no? C’era chi raccontava che una zia gli aveva scritto una cartolina lunga e sentita, guarda che ce la si passa bene, mica si sta peggio, una volta liberi, gl’aveva mandato a dire, ma c’è da costruire tutto daccapo, zia, e qua il lavoro non manca, che c’entra, non è vita, ma alla fine stiamo tutti insieme, zia, Bijlmer è un po’ come fosse un quartiere di Paramaribo e l’hotch-potch, statti a credere, è buono qua quanto là, gli avrebbe risposto quello, diceva, appena il tempo glielo avesse permesso.

Il sole su Paramaribo: tutti i giorni. A Bijlmer: solo il lunedì, ogni lunedì, quando il calcio e i campioni e la nostra gente soffiavano via, con un fischiettio di merlo, le nuvole, e la fabbrica, e il padrone. I nostri erano discorsi intorno a Gullit e Rijkaard, certo, ma pure Van Gobbel, Reginald Blinker, Wilnis e tutta una manciata sugosa di meno conosciuti, che a spremerla, poi, stai a vedere, magari saltava fuori pure qualcuno col quale avevi fatto a cazzotti da scricciolo.

Io, per esempio, avevo fatto la seconda elementare con Aaron Winter: ricordavo le sue peot e le camicie sgargianti, i sabati in sinagoga la torah e le paure di sua madre; il 1975, il governatore olandese che prepara i bagagli e le insicurezze come serpi che s’insinuano nei pertugi del giubilo; Aaron che col pallone meglio che con le ragazzine; Paramaribo o Amsterdam?, e se fosse stato Amsterdam quando? e dove?, loro che erano per un terzo musulmani, per un terzo ebrei e per l’ultimo terzo neri, con tutto quel reflusso di destra, l’Olanda chissà se è la scelta giusta.

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Cinema e Buchi

È cominciato tutto da Fino all’ultimo respiro.

Io mi ero appena trasferita a Roma, in un quartiere brulicante di fermenti giovanili, sconquassato da notti alcoliche e albe rissose, inconsapevole raccoglitore di cocci di vetro e vomito notturno. Non conoscevo nessuno e mi sentivo come una maschera al Carnevale di Venezia: vedi attorno a te migliaia di persone ebbre, ipnotizzate da febbrili danze convulse, le puoi osservare attraverso le fessure del tuo travestimento, ma rimani sempre una cornice della città. Ti potresti mettere di fronte ad un negozio di artigianato locale, immobile, a farti immortalare dagli scatti dei turisti.

La soluzione alla malinconia di quelle serate solitarie mi era sembrata uno sparuto videonoleggio, proprio di fronte al mio palazzo, che cercava di farsi largo tra un salone di bellezza e un’officina; ero stata sedotta dal viso di Robert Redford de La stangata, dalle fattezze stilizzate, inedito Diabolik del cinema, stampato sulla vetrina del negozio.

Appena entrata, mi ritrovai in una magico Eden cinematografico: tutti, ma proprio tutti i film, anche quelli più inimmaginabili, quelli cercati inutilmente nelle videoteche di tutta Italia, quelli provati a scaricare da internet con tutti i tipi di mezzi, leciti ed illeciti e “che cazzo, il download si interrompe sempre al 78%!”… beh, insomma, TUTTI, stavano in quel buco di negozio, ordinati per categoria, bramosi di essere guardati.

Io, come una drogata in crisi d’astinenza, mi ero precitata nella sezione cinema francese, leggendo con cupidigia il retro di A bout de souffle, quando, dietro alla schiena, sentii una strana presenza. Eri tu, sbucato silenziosamente alle mie spalle, mi stavi dicendo che quello era il tuo film preferito. Forse perché ti sentivi come Michel, anarchico personaggio, mito di se stesso, a caccia di un’ingenua Patricia da abbindolare. Mentre parlavi mi accarezzavi con l’indice la cintura dei pantaloni, infastidendomi. Scappai velocemente, mi sembravi un personaggio dei fumetti in cerca di rapide avventure sessuali.

Purtroppo l’amore per il cinema, qualche giorno più tardi, mi spinse di nuovo verso quel buco, e verso te, incastonato tra i dvd, vicino alla cassa. Con L’erba di Grace abbiamo sorriso ripensando ai nostri viaggi ad Amsterdam, tra biciclette, funghi allucinogeni e le pazzie di Van Gogh; Control mi ha svelato che sei anche un musicista, convinto detrattore di tutta la New Wave… Sì, perché tu oscilli tra lo psichedelico e il glam, come David Bowie degli anni Settanta tante volte aleggiante nel negozio, e potresti benissimo far parte delle guerre tra spacciatori di City of Joy, in giubbino di pelle, camicia con il bavero a punta e jeans a zampa di elefante. L’insaziabile appetito che ci aveva provocato Primo amore era dettato dall’ansia dell’annientamento per l’altro, talmente potente da non farti nemmeno finire di leggere Il cacciatore di anoressiche.

Così, grazie all’amore selvaggio e distruttivo de La sposa turca, quella sera, dopo la chiusura del negozio, mi ritrovai scaraventata contro uno dei muri di dvd. Mentre la tua lingua procedeva lenta ma inesorabile dall’attaccatura della mia spalla fin dietro il mio orecchio, io vedevo precipitare vertiginosamente da sopra la testa e dai lati del mio corpo, uno ad uno, I quattrocento colpi, Il cielo sopra Berlino, Roma città aperta, Donne sull’orlo di una crisi di nervi….

Ad un certo punto chiusi gli occhi; non capivo più in quale film eravamo finiti, sentivo solo la tua voce che mi sussurrava qualcosa, e i nostri corpi attanagliati in un insieme di sussulti meccanici, la mia schiena premuta sui dvd che, cadendo, emettevano un ticchettio metallico.

“Ora toccami.. Così…sì…Tira fuori la lingua.. Brava…Tira fuori la lingua ho detto!”.

Sempre più furioso, sempre più ansimante… Ormai seminuda, immaginavo la penetrazione del cinema dentro di me, l’orgasmo che mi avrebbe provocato la mia più grande passione facendosi strada fra le mie gambe, rabbiosa, divoratrice. La mia vagina molle era come un bocciolo al mattino, in attesa famelica di nutrimento, linfa, sole, calore…

“Oh cazzo!”.

Silenzio.

Più nessun fremito, nessuno spasimo. I dvd immobili ai loro posti. Dopo qualche secondo riaprii gli occhi.

“Scusa!”.

Come scusa?????!! Non ci potevo credere, il film non era stato interrotto, non era nemmeno iniziato…

Tu tenevi gli occhi bassi, mortificato, tirandoti su i pantaloni.

“Non so che mi è preso… un quindicenne!”.

Io non sapevo che dire, non avevo nemmeno visto il trailer del film per poter dare un giudizio…

“Sono cose che succedono a tutti, magari la prossima volta…”.

Sul pavimento spiccava fra tutti i dvd un doloroso Requiem for a dream

Non c’è più stata una prossima volta.

Probabilmente la cinepresa aveva subito un danno irreparabile, o forse nessuno dei due ha più cercato di farla sistemare… Di tanto in tanto torno a noleggiare dvd, tu sei sempre lì, ma non sei più una sceneggiatura da scrivere, sei unicamente un imbarazzante flop.

È come quando passo davanti al negozio… Non è più il Paradiso dei cinefili, ma semplicemente una triste eiaculazione precoce.

Nadia Turrin