Un mucchio di giorni così: intervista ad Angelo Calvisi

un mucchio di giorni cosìdi Federico Di Vita

Quasi un anno fa è uscito l’ultimo romanzo di Angelo Calvisi, Un mucchio di giorni così (Quarup, pp. 128, 12 euro). Il libro è uno di quelli che lasciano sensazioni vivide, tipo il freddo pungente di una mattinata d’inverno, una corsa sotto la pioggia, o lo spettacolo insensato di una partita di pallone – e tutto questo nonostante l’evanescenza delle vicende narrate. Un mucchio di giorni così è il quinto romanzo di uno scrittore liminare, le cui precedenti quattro prove letterarie (tre delle quali parte di una trilogia sulla follia) hanno visto la luce tutte per lo stesso piccolo editore. Vista la consapevolezza autoriale di Calvisi, trovo che la visibilità dei suoi lavori contrasti col loro valore, partendo da queste premesse inevitabilmente siamo finiti a parlare, oltre che dei romanzi, delle loro vicende editoriali. A volte l’invisibilità è specchio della pregnanza dei testi, in altri casi è la dimostrazione del loro peso specifico, in altri ancora è causa di scelte sbagliate.

Un mucchio di giorni così è la storia di un uomo decostruita e riproposta attraverso cinque momenti fondamentali/qualunque della sua vita. Sin dalle citazioni in epigrafe questo è messo in chiaro: «I giorni fondamentali nella vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume». Il romanzo racconta in modo arioso questi episodi, la sua bellezza, per me, è nell’onestà che dimostra la tua scrittura. Voglio cominciare chiedendoti come ti è venuta l’idea di scrivere questo libro. Leggi il resto dell’articolo

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Dimmi cosa c’entriamo noi con queste storie così

Dunque si riparte, e quando si riparte si è sempre un po’ arrugginiti. Durante quest’estate non siamo però stati proprio fermi, l’avete visto anche voi, però io mi sono arrugginito lo stesso perché, vedete, avevo già pronta questa recensione con cui ripartire, e inavvertitamente l’ho cancellata mentre cercavo di copiare il testo.
In questa recensione si parlava di questi due libri, che mi sono venuti incontro senza che fossi io ad andarli a cercare: uno è Un mucchio di giorni così (Quarup 2012) di Angelo Calvisi, l’altro Dimmi che c’entra l’uovo (Del Vecchio 2012) di Fabio Napoli.
Due libri molto diversi, dal punto di vista della lingua e dello stile, ma che si muovono sullo stesso piano inclinato su cui stanno scivolando questi nostri anni.
Calvisi srotola la sua storia per le strette vie genovesi, costruisce una struttura temporale dove il lettore si muove come su una scala irregolare (e anche qui non si può non pensare alla conformazione della città ligure), che va avanti e indietro negli anni. Apparentemente più lineare è invece l’approccio di Napoli, che non certo casualmente chiama il suo protagonista Roberto Milano e ambienta la sua storia a Roma: una capitale di cui, almeno fino alla svolta della storia, si vede ben poco, poiché risucchiata dal vortice di lavori precari che si devono fare per provare almeno a sopravvivere – una città che scorre per gran parte fuoricampo durante le corse in bicicletta a cui è costretto il protagonista per passare da un lavoro all’altro (da comparsa in film porno alle ripetizioni, per finire la sera a fare il barista). Leggi il resto dell’articolo