Trauma cronico – Questi giorni

– … E da dove vieni?

– Da un posto pieno di gente cattiva.

Vanni Santoni

Amuchina, igienizzante per le mani: siamo in preda ad un delirio di massa, una psicosi generale.

Tra qualche anno, di questo passo, si andrà a finire tutti in giro con le mascherine come quei film di fantascienza americani per le televisioni. In realtà, è anche, come sempre, una questione d’interessi. Nelle farmacie e nei supermercati la richiesta di questi igienizzanti cresce a dismisura, ci si spruzza continuamente, pare che una persona su sei non si lavi le mani dopo aver urinato (si dice che il sondaggio sia stato fatto fuori i bagni degli autogrill), ed è panico.

Ma lasciamoli vivere questi batteri! Evviva gli anticorpi!

In quest’epoca violenta e dominata dalla religione del profitto, ecco che vengono sequestrate pure le prime tonnellate di prodotti cinesi taroccati; e chissà quanti ce ne saranno già in commercio… attenti a voi. È tossico il capitalismo, ed è tossico anche il pensiero.

L’aria è irrespirabile, ho letto che a Milano sono indagati la Moratti e Formigoni, l’acqua è privatizzata, il cibo pronto per nuovi rincari (senza fonte).

La bellezza del mondo è stuprata ogni giorno da noi stupidi umani, in tanti nostri piccoli gesti, in ogni respiro, ogni movimento mascellare di masticazione, passa la morte attraverso il nostro intestino che tutto trasforma in merda, la merda che ogni giorno mangiamo e beviamo, e che acquistiamo a caro prezzo coi pochi soldi che abbiamo.

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Sento sempre più persone intorno a me che perdono il lavoro, ma questa non è una novità. La tragedia avanza e aumenteranno le tensioni sociali, con la politica che si disinteressa a tutto, occupata in faccende lontane dai cittadini.

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Sui giornali online, venerdì, riflettori puntati sulla deposizione del pentito Gaspare Spatuzza, che tra cosa nostra e dio pare abbia scelto quest’ultimo. Finora sono venuti fuori elementi inquietanti, certo dovranno essere verificati da chi queste cose le fa di mestiere, non certo da politici o giornalisti, staremo a vedere.

Ieri, sabato, Libero titolava “Le minchiate di Spatuzza”. Libero, appunto.

Probabilmente, tra qualche giorno, non se ne parlerà più, ci sono notizie di rilevanza ben più importante, come le nuove sulla vicenda Calciopoli, senza dimenticare la condanna per l’omicidio della studentessa inglese, uno di quei processi mediatici che vanno tanto di moda da un po’ di anni a questa parte, quelle faccende, quasi sempre private, che riempiono giornali e televisioni, chissà poi perché… già, chissà.

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Comunque, la buona notizia è che l’urna di Città del Capo, che per chi non lo sapesse si trova in Sud Africa e non ad Arcore, è stata benevola con gli azzurri, che, sempre per la precisione, non sono i sostenitori di Forza Italia/CdL/PdL, bensì i calciatori della nazionale. In questo paese diventa sempre più difficile scrivere e parlare, il linguaggio ha subito uno stravolgimento velocissimo e improbabile negli ultimi vent’anni che non si riesce a stargli dietro. A mia ingannevole memoria, pare che tutto nasca quando la figura del Presidente del Consiglio venne denominata Premier.

L’Italia del pallone che urlava allo stadio e davanti alle televisioni, da un giorno all’altro non poté più gioire al grido di “Forza Italia!”, che sennò uno poteva pensare che si parlasse di quel partito nuovo dell’imprenditore milanese. Ma oggi siamo andati oltre, addirittura gli eroi, per dirne una, sono diventati dei mafiosi certificati; lo scempio della parola si consuma ogni giorno davanti ai nostri occhi impotenti.

Però dobbiamo essere felici, perché tra poco ci sarà il mondiale ed il paese, ancora una volta, si fermerà (che sia la volta buona che imploda!). Io, come chi legge questa rubrica ben saprà, spero che l’Italia non vincerà: lo spero perché amo questa terra indegna e ingrata, Italia.

Questa Italia dove al peggio non c’è mai fine, dove accade l’impensabile, come quei poveri bambini a Pistoia che hanno subito delle violenze immonde. Bisogna raschiare a fondo per uscire da questa grossa follia collettiva. L’Italia sta male, molto male. Forse l’Italia è morta ma non se ne è resa conto.

L’altro è scomparso, e per salvarsi, oggi, l’uomo italico, si nutre della speranza vana del superenalotto o di winforlife, l’unico modo per fargli pagare le tasse senza che se ne accorgano, poveri fessi.

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A volte, sempre più spesso, assorto nei miei piccoli umani pensieri, mi capita di chiedermi: dove sono finiti, gli uomini?

Gianluca Liguori

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Guida per riconoscere i tuoi santi (in paradiso)

GUIDA PER RICONOSCERE I TUOI SANTI (IN PARADISO)

“Mi raccomando, non fate troppe raccomandazioni”

Giulio Andreotti

Quattro italiani su cento ammettono di avere ricevuto un aiuto dall’alto. Forse è orgoglio, forse presunzione, forse incoscienza. Peccato che circa un italiano su due abbia trovato lavoro, negli ultimi anni, soltanto tramite le proprie conoscenze: ritrovandosi quando segnalato, quando raccomandato, quando cooptato. E le famose agenzie interinali? E i rinnovati centri di collocamento? Siamo dalle parti del cinque percento dei nuovi impieghi: e questo a dispetto del generoso sostegno statale che non dubito abbia alimentato l’apertura di tanti, stupendi uffici colorati per le nostre strade. La mia generazione conosce le statistiche, sa giocarci, sa interpretarle; forse proprio perché s’è accorta di chi le statistiche le inventava, o le rovesciava a piacimento. Quando eravamo adolescenti, vagiva il forzismo e Gianni Pilo pubblicava strani sondaggi. Ci siamo fatti gli anticorpi. La mia generazione ha l’onestà e il coraggio di accettare la cultura popolare ereditata e al contempo nutre la speranza di poterla correggere, progressivamente. Noi siamo coscienti che i titoli di studio e le nostre capacità intellettuali non sempre bastano; siamo consapevoli che il sacrificio è la parola d’ordine della quotidianità, che la pazienza è la prima virtù che questo tempo ci domanda, e che la sensibilità e l’apertura mentale sono fondamentali. Noi abbiamo imparato a essere sociali, a tutti i costi. L’Italia è una nazione fondata sulla socialità, sulle amicizie, sulle appartenenze; sulle rivalità, e sugli antagonismi. Per essere integrati nel tessuto lavorativo dobbiamo essere riconosciuti e integrati nel tessuto sociale: per questo dobbiamo sforzarci di studiare il nostro territorio e dobbiamo essere felici di appartenervi. Per essere accettati e apprezzati non dobbiamo soltanto essere preparati, onesti e determinati: dobbiamo essere socievoli. Io pensavo, stupidamente, che certe dinamiche valessero soltanto nel mio ambiente, l’editoria. Un giorno, un vecchio maestro mi aveva detto, ghignando: “L’editoria si fa a tavola, cena per cena. Non hai capito?”. Lì per lì c’ero rimasto male. Mi sono accorto che aveva ragione, crescendo, e non soltanto per il nostro ambiente. Il vecchio maestro mi stava insegnando quale fosse la cultura della mia nazione. A ben pensarci, adesso è anche una questione di buonsenso: considerato il costo dei contratti, quanta fiducia deve avere un’azienda in un cittadino per ingaggiarlo? E chi può guadagnarla istantaneamente? Soltanto chi è stato segnalato o raccomandato: per merito, senza dubbio; ma anche per tempismo, disponibilità, affidabilità. Così vanno le cose, cantava qualcuno, così devono andare. Un giorno, sorridendo, costruiremo una nazione fondata sulla meritocrazia. Per adesso, ci addestriamo a riconoscere i nostri santi, e a salutarli col rispetto che si deve ai mecenati. Per 1000 euro al mese, a occhio e croce. Lorde.

Gianfranco Franchi

Fonti:

Rapporto “Generare classe dirigente” della Luiss, 2008

Rapporto ISFOL, 2007

Repubblica, 11 marzo 2009