Lo Spreca? Meglio l’Amaro del Mago

Questo articolo è apparso precedentemente sul «Gazzettino dello Scrittore Novello» (perdonerete, quindi, se a distanza di tempo possa presentarsi un poco sfiatato).

Parola dello scrittore di culto Andrea Coffami, che, interpellato sulla possibilità di trovare due lettori che lo presentino al Premio Spreca, ha risposto laconico: «Io mi presento da solo, e bevo soltanto Amaro del Mago».

Stando alle parole del diretto interessato, la storia della candidatura del maestro dell’irriverenza sembrerebbe insomma la solita bufala montata ad arte per far salire l’audience. L’ambiente delle lettere, già surriscaldato dal timore per la sua partecipazione, si è improvvisamente ritrovato disorientato, incapace di spiegarsi una scelta talmente suicida: «Avrei capito il Peroncello,» ci spiega un attonito addetto ai lavori (volutamente anonimo, per non alimentare ulteriori polemiche), «ma scegliere l’Amaro del Mago è un chiaro sintomo di perversione».

A distanza di poche ore, lo stesso Coffami si è dimostrato perplesso sulla sua decisione: «Ho saputo solo in seguito che è previsto anche il buffet,» ha ammesso, «ma ormai hanno chiuso le prenotazioni».

Tra i suo fan, c’è chi già si dispera e chi invece interpreta la scelta del suo beniamino come l’ennesimo gesto anticonformista nei confronti del sistema: «Che altro poteva fare?» si chiede Luca (uno che ha persino i primi cd autoprodotti con la voce dello scrittore incisa su basi neomelodiche), «Lo hanno ignorato per anni, e ora che il suo stile dà scandalo, tentano di addestrarlo per far divertire i benpensanti».

Non è dello stesso avviso Gianluca, che invece di Coffami conosce soprattutto il lato poetico: «Un po’ di non sense avrebbe fatto senz’altro bene a un premio in cui gli scrittori si prendono un po’ troppo sul serio».

Comunque vada, questa nuova edizione del Premio Spreca sembra aver riaperto una vecchia questione nel mondo dell’arte tutta e non solo della letteratura: ovvero se sia possibile rimanere puristi fino in fondo; oppure, visto che le mani bisogna proprio sporcarsele, se non sia allora meglio approfittarne e lanciarsi nella vasta gamma dei compromessi accettabili.

Che i più si proclamino puristi per poi accapigliarsi al momento dello scrutinio, non è d’altronde una novità, ma anche questo aspetto fa in fondo parte dello spettacolo: ecco dunque spiegato il motivo di tanta attenzione nei confronti delle capriole linguistiche di Andrea Coffami, che (c’è da starne certi) avrebbe fatto saltare i nervi a più d’un concorrente.

Lo stesso scrittore, nel corso dell’intervista che riporteremo integralmente soltanto dopo la proclamazione del vincitore 2011, si è poi dichiarato dispiaciuto di perdersi l’evento: «E io che me l’immaginavo una serata noiosa,» si è sfogato, «con i giornalisti che si contano i peli del naso mentre gli scrittori ricordano al pubblico tutti i patimenti passati e i sacrifici che hanno dovuto affrontare per arrivare fin là…»

Insomma, nonostante le accuse di usare un linguaggio volgare e provocatorio al fine di mascherare i propri difetti stilistici, Andrea Coffami dà invece dimostrazione di un’ingenuità che farà sorridere (se non proprio ridere) i più scafati scrittori dell’entourage letterario, che a forza di spingere e lamentarsi un posto a tavola lo trovano sempre.

Infine, una nota di colore. Lo scrittore dalle origini indefinite (alcuni dicono la Ciociaria, altri i Monti Ausoni, altri ancora persino la Costiera Amalfitana) s’interroga candidamente sul nome dell’ambito premio letterario: «Non ho ancora capito se si chiama Spreca perché ci vanno tutti gli avanzi, o perché durante la serata si butta via un sacco di roba».

Davvero un peccato che al suo posto si siano ormai prenotati i denti di qualcun altro…

 

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Poesia precaria (selezionata da A. Coffami) – 11

Antonio Romano. Un giovane che se lo vedi e ci parli gli dai 38 anni ma che poi se gli rubi il portafogli e leggi la data di nascita sulla carta d’identità scopri che è un pupetto di forse 24 anni. Di cosa parla Antonio Romano nelle sue poesie? Mah… non l’ho mai capito. Della carne, del paradosso, dei sentimenti… fatto è che quando mi mandò i suoi testi ne rimasi abbastanza colpito. Mi piacquero molto per le sonorità che creavano nella mia testolina e per i colori acri che mi faceva sentire semplicemente accostando termini. Non è questo lo scopo di un poeta? Riuscire ad emozionare. A mio avviso Antonio ci riesce (non sempre ma de gustibus non disputanda est mi pare si dica così). Antonio Romano ha pubblicato anche numerosi gialli, è un giallista (nonché giallognolo). Ma come poeta va letto, va sentito, va assaporato. Come quel vino che lui tanto ama e che io non berrò mai perché costa caro.

Andrea Coffami

Epoca, tempo.
Drammi sulla mia
scrivania come fermacarte.
Ti raccordo alla
morte, alle cimici,
al mio egoismo.
Tavolo con sguardi
di donne in una
grande indifferenza.
E alla fine di tutto
questa discrezione
da palcoscenico.
Questa dolce
sottile emorragia
che passa per televisione.
Ti amo come una pubblicità.
Passi a interrompere
la mia vita di
inviti all’ascolto.
Interrompi fiumi
di scene conciate
a festa, tragedie in audience.
Sei la mia pausa
fra un film già visto
e un telegiornale di distruzioni.
Ti amo ti accolgo
faccio ghirlande di parole
faccio mole di voli di colombe.
Simbologia del tuo sguardo,
numeri a vuoto da maghi,
tramortisco tramonti,
solo troppe tv del mio umore.
Ti ricordo a pezzi di plastica
incisi in dischi.
C’è qualcosa che ti riguarda:
ti amo in ogni sguardo
ogni amore ogni nottata trascorsa
in giochi scivolati in mare.

Antonio Romano,

15 gennaio 2009