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di Carlo Antonicelli

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“Destinazione”, “de-sti-na-zio-ne”, “presto”, “sedersi”… Quante vocali ci sono in questa frase? E come mai questo tizio parla in un modo così neutro, senza l’ombra di un accento? Dove si è mai visto un autista che parla senza uno strascico dialettale? E perché ha le mani coperte di tatuaggi? Coma fa un’azienda seria ad assumere un tizio con le mani tatuate?

L. alzò la testa per evitare che altro sangue gli colasse addosso. Si frugò nelle tasche. Niente fazzoletti. Con gli occhi al tettuccio dell’autobus e due dita premute sopra il setto nasale, L. veniva sbatacchiato di qua e di là mentre cercava ansiosamente di afferrarsi ad un sostegno.
L’autista d’un tratto scalò velocemente tutte le marce. Quarta. Terza. Seconda. Prima. Frenata. L. si stampò contro la vetrata della cabina guidatore e ruzzolò a terra. Leggi il resto dell’articolo

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999 barrato/1

di Carlo Antonicelli

L’autobus arrivò. Erano le cinque e mezza e i lampioni si erano già accesi. La luce del sole non era ancora del tutto svanita ma l’autobus era già illuminato al neon. Sopra i finestrini campeggiavano diverse pubblicità. Una tra queste prometteva:

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L’inferno – I pendolari santi, i pedoni

GIRONE III – I pendolari santi, i pedoni

La miriade di pneumatici che percorre costantemente le strade lasciano le loro firme sull’asfalto cancellando le già quasi trasparenti strisce pedonali. Chi si trova su un lato della strada non potrà mai passare dall’altra. C’è chi ci ha provato. Ora è solamente un ornamento per i parafanghi dei veicoli che incombono da tutti i lati, tutte le traiettorie, senza destinazione.

Pellegrini senza speranza camminano costeggiando i negozi chiusi e guardano l’orizzonte ogni tre passi per cercare inutilmente una meta, o un passaggio da poter attraversare, magari un ponticello. Il marciapiede usurato si sgretola lasciando sempre meno spazio ai pedoni costretti ad una processione in fila indiana.

Dai vetri degli autobus si vedono persone che fanno cenno di non farcela più, che urlano, piangono. Corpi desiderosi di scendere e fare due passi. I pedoni vorrebbero salire sull’autobus e non scendere mai più, ma quel posto è riservato ad altra gente, non di certo a pigri e oziosi individui.

Daniele Vergni

L’inferno – I pendolari in autobus

GIRONE I – I pendolari in autobus

L’autobus è stracolmo come ogni mattina. Sono tutti pressati in un’enorme scatola di lamiera che esposta al sole estivo diventa incandescente. Il sudore evapora mischiandosi in tutte le sue sfumature, lo stesso i profumi dolci nauseanti. Un fetore incredibile. Difficile scendere se non si è nelle prossimità delle porte. Persone ai lati come diavoli spingono con le loro cartelle rigide da bassi ammaliatori. L’autista a cui è vietato parlare pecca d’estremo rigore e per questo non fa salire al centro e non fa scendere ai lati.

Tutti i peccatori si lamentano, chi ad alta voce e chi rivolgendosi al proprio io, confidenzialmente. I menefreghisti si allargano, come anche i presuntuosi, reclamando un’attenzione in realtà illogica ma per loro scontata, sbuffando e rivolgendo domande in un’area dove non coincide nessun volto “ma tu guarda, ma è mai possibile!”, “cosa si crede questo qui”… un repertorio di lamentele infinito. Questa la loro pena, lamentarsi in eterno.

C’è chi li guarda facendo una faccia di disapprovazione. Sono le persone buone, che capiscono le situazioni e si adattano. Quelle che magari spingono il ragazzino più avanti con la testa tra varie gambe fino a costringerlo ad una semi apnea, per farsi un po’ di spazio. Poi ci sono quelle appartate e pronte in fila per guadagnare un posto, anche rubandolo all’anziana signora che si trascina e ondeggia instabilmente ogni pochi secondi. Queste persone saranno spodestate da energumeni che con fare rozzo e sguardo pieno d’odio convinceranno i buoni benefattori portatori d’egoismo a rinunciare al proprio trono conquistato con pazienza ed orgoglio cieco. Caronte immerso nel traffico fa finta di non sentire le lamentele e alza il volume dei suoi auricolari che irradiano le urla dei pendolari di tutti i bus esistenti.

Il sole non tramonta mai e ad ogni semaforo – ce ne sono moltissimi a causa dell’enorme traffico – cade a picco sulla vettura, diffondendo un asfissiante calore. Forte, ma non tanto da far svenire, solo il giusto per far agonizzare lucidamente, facendo captare ogni fastidio, disturbo, dolore, pensiero. I continui lavori stradali obbligano a percorsi più lunghi, meno fermate e tanto tormento aggiunto.

Finalmente il capolinea, dove tutti possono scendere per riprendere una forma quasi dignitosa. Pochi istanti e subito pronti per partire di nuovo verso un’altra destinazione che lì porterà su un altro autobus ancora, per sempre.

Daniele Vergni