I gendarmi del buon Governo vecchio (parte in quarta e l’auto si spegne)
settembre 20, 2010 2 commenti
[continua da qui]
Gli stivali scuri e pesanti dei gendarmi sbattevano le piastrelle della cucina, voci ammassate e risate coatte e tronfie. Gesta di mobili gettati in terra senz’anima che trattavano con il pavimento.
Il cane della pistola che stringevo tra le mani, prese ad abbaiare.
«Zitto, accuccia, zitto», gli dicevo, ma nulla. Nel giro di sei secondi netti e sette secondi lordi tre gendarmi si fiondarono davanti ai miei occhi. Vestiti di nero e rosso, come le maglie del Milan ma più pesanti. Stivali scuri, manganelli blu e sirene sugli elmetti. Accese e roteanti luci blu elettrico. Sebbene i tre saranno stati alti due metri, ma in totale, quindi un settanta centimetri l’uno, mi presero e mi bloccarono da veri codardi: due mi pressarono le braccia mentre l’altro mi legò le caviglie impedendomi la fuga. Ed ora sono bel bello incaprettato, legato alla sedia di legno della mia cucina, come lo sbirro ne Le iene di Tarantino, ma senza sangue, e senza tanica di benzina, e poi lui era più muscoloso, ed aveva la camicia strappata, io no. Fatto è che da seduto avrei potuto guardarli fisso negli occhi, peccato che ero bendato.
«Allora hai nulla da dichiarare? Come mai avevi la porta chiusa a chiave? Cosa hai da nascondere?»
«Avete mai sentito parlare dei ladri?»
«Ti va di scherzare? I ladri sono stati debellati da oltre tre anni! Ci prendi in giro».
«Non leggo i giornali mi dispiace».
«E fai male, cazzone di un ebreo».
«Non sono ebreo. Ma cosa cercate? Io non ho fatto niente».
«Conosci una donna di nome Ernesta?»
Ho in mente Ernesta che munge il suo cavallo e si cosparge di latte il seno.
«No, non mi pare».
«Tu menti», dice una voce da sinistra, una voce che non avevo sentito prima di allora, una voce familiare però.
«Scusa ma tu sei mio padre?»
«Ma che cazzo dici? Parlaci di Ernesta cazzone di un ebreo o ti tagliamo i testicoli e teli mettiamo al posto degli occhi, lurida faccia di cazzo».
«Sentite: almeno levatemi la benda dagli occhi, ve lo chiedo come piacere personale, ho male al ginocchio, levatemi la benda».
Un silenzio imbarazzato di pochi secondi e poi: «Va bene, ma devi chiudere gli occhi, non devi vederci».
«E vabbè ma allora e tutto un cazzo! A parte il fatto che vi ho visto prima che mi bendavate, poi, cioè, che senso ha? Mica vado in giro a dire le cose in giro».
La voce familiare da sinistra aggiunge a mia difesa: «Ha ragione, ci ha già visti».
«Sì, ma non ci ha visti bene! Non farmi incazzare pure tu!»
«Ma sei sicuro che non sei mio padre?» chiedo curioso.
Un ceffone mi arriva in faccia con violenza incontinente.
«Sentite», dico loro «veniamoci incontro. Voi mi levate la benda e ve la mettete voi. Un po’ per uno insomma, già sto legato e poi mi fa male il ginocchio. Cosa volete che scappi con il ginocchio bendato?!»
La voce da sinistra familiare accenna un: «Si può fare, che ne dite voi?»
Sono sempre più convinto che si tratti di mio padre, se non è lui allora è mia madre travestita da mio padre. Del resto quando il cane della pistola prese ad abbaiare non è che sia riuscito a vedere nitidamente i volti dei tre, soprattutto di quello che stava sotto il tavolo, che saltava tentando di aprire il cassetto. Forse era lui, forse quell’uomo era mio padre, o mia madre.
Non vedevo i miei genitori da oltre dieci anni, dai tempi della democrazia fittizia del Dentone. Il Dentone aveva aiutato i miei genitori ad avere un posto di lavoro nelle sue reti televisive. Posto fisso valido sei mesi e rinnovabile con contratto a tempo determinato in assenza di bollini Tamoil. Mia madre era un cavo coassiale, mio padre una soubrette che declamava proverbi in rima prima delle previsioni del tempo. Ma si prevedevano tempi bui, quindi la popolazione impaurita acquistò in massa lampadine extra da posizionare in ogni angolo della casa. Angoli ottusi, angoli acuti, non c’era più nessuna differenza, anche se a spiegare le cose agli angoli ottusi ce ne volle! Ma alla fine ci arrivarono anche loro, ultimi ma arrivarono. Sfiniti e sudati ma arrivarono. Ma gli ultimi divennero i primi e quindi gli ottusi presero il potere, anche se solo per un breve lasso di tempo, sostituiti poi dagli acuti che presero il podere degli ottusi ed iniziarono a concimare cibi transgenici. Fragole che in realtà contenevano banane e viceversa, patate che in realtà erano chicchi di mais un po’ cresciuti. Robe così insomma.
I miei genitori si ritrovarono sul lastrico e una volta lì, dopo essersi salutati di nascosto da tutti, concordarono il piano per risalire la sorgente. Come delle trote che vanno controcorrente per poi essere afferrate da un orso affamato. Ed infatti, dieci anni fa mi arrivò la lettera del WWF che mi annunciava la tragica notizia: «Gentilissimo Andrea, con questa missiva le annunciamo la morte dei suoi genitori, mangiati da un orso nel mentre risalivano un fiume in piena nei pressi di Fregene. Sentite Condoglianze e quando lo sentirete ditegli che anche i suoi genitori hanno fatto la stessa fine, così risparmiamo un francobollo».
A quel punto richiusi la lettera, piansi lacrime sponsorizzate dalla Benetton e mi feci una pennichella di sei ore.
Una volta sveglio composi il numero e chiamai il mio vecchio amico Condoglianze Luigi.
«Pronto Luigi, come stai? Ti disturbo?»
«Ciao, beh veramente stavo iniziando un modellino, ho montato oggi i primi pezzi, ma ci vorranno anni, poi te lo farò vedere, sarà un gran bel cingolato. Dimmi tutto».
CONTINUA…
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