Mi chiedete chi è Carlos Reutemann, se esiste un’organizzazione dietro questa sigla. Rispondo no, non è stata la sigla di un’organizzazione unica, con organi dirigenti, con capi, programmi e riunioni periodiche. Non esiste un’organizzazione che abbia questo nome e che sia comparabile alle Brigate Rosse o a Prima Linea. Non esiste nemmeno un livello minimo di organizzazione. Ogni gruppo armato che si è formato anche occasionalmente nel nostro ambiente, fosse anche per una sola azione, ha potuto usare questa sigla. D’altra parte non c’è stato modo per impedirlo. Mi chiedete se siamo o siamo stati fascisti, vi rispondo che i fascisti del dopoguerra non sono mai esistiti e che candidamente qualcuno può solo aver pensato, o per meglio dire immaginato, di essere fascista. Di Mussolini non me n’è mai importato niente: non ho mai pensato che fosse una gran persona. Quando sentivo dire: “Uccidere un fascista non è reato” non pensavo al Duce o al Ventennio, ma all’unica persona fascista che conoscessi, mia madre.
Riportiamo un breve estratto del nuovo libro di Marco Montanaro. Come recita la scheda presente sul sito della casa editrice «Si tratta del diario quotidiano, farcito di filmati documentari e aggiornato in tempo reale, della campagna per le elezioni amministrative di Francavilla Fontana, dove nel 2009 si votò per comunali, provinciali ed europee.»
tra sti comizi e il dibattito-quasi-finale al giba in cui stanno della corte contro galiano, c’è il corpus. che non è una processione come a quella della madonna della croce, che radunava i malati, gli storpi, i tarantolati di tutta la provincia per tre giorni alla chiesa della croce in attesa di un miracolo, e che poi vede la madonna cosparsa di petali di rose gettati dai balconi per le via della città; il corpus è nna cosa più terrena, il corpo si fa ostia, è offerto a tutti: allora la processione è molto seria, co sti cristiani che si dispongono su due file e partono per tutta la città – mentre la processione della croce nn’atru picca si ferma allu rione della fiera – cantando e alternandosi con la banda che il pezzo più bello che suona è la marcia di santa cecilia, che non a caso è patrona di la musica, cchiù di la santalucia di albano, a dirla tutta. e poi la processione finisce alla chiesa madre, culli cristiani squagghiati di caldo – mentre la statua della madonna della croce a malapena la fannu trasé alla chiesa madre, di passaggio, e la processione è a maggio quando ancora piove – ca spettunu la statua e la bbanna e llu palco pi lla messa nanzi alla chiesa della morte, ddò stanno li statue della passione, ch’è accanto proprio alla chiesa madre. e poi la messa la cantano tutt’insieme, li cristiani insieme a don alfonso, cu lli vestiti incollati addosso dal caldo e i bambini che vogliono andare al mare.
ogni anno, a dire il vero, li cristiani che partecipano a sti processioni sono sempre meno.
Nel settembre del 1919 il poeta Gabriele D’Annunzio entra a Fiume per restituirla alla sua patria.
Questo per gli storici, i politici e i generali.
Ma l’impresa di Fiume, almeno per chi vi partecipò, per i legionari Arditi, per i poeti e le anime perse, per l’eroico aviere Guido Keller, per tutti quelli che, in quel finale di guerra, trovarono così difficile tornare a casa, non fu esattamente questo. E, anzi, la maniera radicalmente diversa in cui questi ultimi vissero Fiume, Città di Vita, fu all’origine di non poche drammatiche conseguenze; tali che i patrioti entrati a liberarla, i granatieri, i bravi carabinieri del generale fedelissimo al re Rocco Vadalà, se ne dovettero uscire via subito, pieni di sdegno e di imbarazzo: Fiume era un vero puttanaio: Arditi, sbandati, artisti di mezza tacca, orge in mezzo alle strade, donne che si davano a chiunque, e gli uomini pure con gli uomini; e la popolazione che veniva nutrita fantasiosamente a cocaina. Ma questo sarebbe ancora un metodo come un altro per vivere, perché il grave era che a Fiume, per vivere, il cibo e i soldi il Comandante D’Annunzio se li procurava come un ladro. E certo, perché, con il suo estro da poeta, il Vate aveva ribattezzato la marina militare fiumana con il nome degli antichi pirati dell’Adriatico, gli uscocchi, e l’aveva mandata a derubare le navi degli altri, al grido di eia eia alalà.
A Fiume si campava con la pirateria, sebbene si dicesse che, oltre che sulla provvidenza piratesca, D’Annunzio dovesse fare conto sull’aiuto di qualche banchiere: ma molti troveranno la differenza troppo sottile. E non finisce mica qui, perché si diceva anche che a Fiume erano peggio dei bolscevichi, e che Lenin in persona avesse approvato tutta la questione: Carli e Marinetti, con le bombe a mano nella giacca, a Fiume si presero una bella ubriacatura comunista. Insomma: un puttanaio: un immenso puttanaio.
Drammatiche conseguenze, perché, si capisce, la questione era delicata: quando finalmente il governo italiano avrebbe messo fine a quello schifo, cosa avrebbe pensato la gente? Che si stava sparando su altri italiani? Su dei patrioti che avevano voluto restituire una città italiana all’Italia? Oppure avrebbe pensato che si faceva un’accorta e doverosa piazza pulita di anarchici, puttane e schifosi vari?
Si può essere sicuri che chi comandava, lì a Roma, Nitti prima, e poi Giolitti, dovettero pensarle tutte, e non sapevano più a che santo votarsi: cercarono di convincere D’Annunzio in tutti i modi a tornare indietro, a fare il bravo, ma quello doveva essere impazzito e, anzi, che D’Annunzio era diventato matto da ricovero lo dissero e sottoscrissero pure Badoglio e Mussolini, spediti a farlo ragionare.
Le provarono tutte, certo, prima di arrivare alla tragedia che si sarebbe consumata nel Natale del 1920, quando le truppe italiane, comandate dal generale Caviglia, entrarono nella città di Fiume, nell’Olocausta, nella Repubblica del Carnaro, e si misero a sparare.
Le provarono tutte.
E non solo il governo italiano: verso la fine, dicono che un’organizzazione clandestina, non meglio identificata in quanto a nazionalità e intenti, preparò un attentato contro D’Annunzio. Non si capisce se l’attentato prendesse le mosse da Vienna o da Roma; o da entrambe le città. La storia è confusa.
Dicono, inoltre, che prese parte a questo attentato anche l’eroe di guerra, il patriota Italo Serra, capitano della dodicesima compagnia dei Lancieri di Novara.
Ma su questo punto la Storia, malgrado sia proprio la storia che stiamo per raccontare, è ancora più confusa.
E, in fondo, è onesto dire fin dal principio che questa storia potrebbe non essere mai avvenuta; potrebbe non essere mai capitata a nessuno.
* Prologo del romanzo Fiume di tenebra – L’ultimo volo di Gabriele D’Annunzio(Castelvecchi). Da ottobre nelle librerie.
Una terra meravigliosa e ribelle sceglie la strada dell’insurrezione, con un poeta a capo della rivolta e un manipolo di anarchici, avventurieri e arditi pronti ad accorrere per sostenere rivendicazioni che parlano di giustizia e di libertà. Questa è Fiume all’indomani della Prima Guerra Mondiale.
Per molti un esempio da seguire ma, per il governo italiano, soltanto uno scandalo da sopprimere il prima possibile. In attesa che l’esercito dei Savoia compia il suo dovere, una congiura internazionale ordisce un piano per attentare alla vita di Gabriele D’Annunzio. L’esecutore di un simile intento è Italo Serra, un ufficiale specializzato in missioni coperte: uno dei tanti soldati che non possono e non vogliono tornare a casa dopo l’esaltazione tragica che il conflitto ha instillato nelle menti di una generazione di combattenti.
Durante gli ultimi giorni di vita della reggenza dannunziana, nel corso del Natale di Sangue del 1920, quando le truppe regolari del generale Caviglia spazzeranno via il sogno fiumano, il capitano Italo Serra – ammaliato dalle personalità dello scrittore Giovanni Comisso, del tenente Guido Keller e della bella Ada – scoprirà come tutto ciò in cui ha creduto fino a quel momento sia soltanto un inganno: un’illusione fatta rivivere attraverso pagine sorprendenti, dedicate al lato sconosciuto del tentato omicidio di Gabriele D’Annunzio e a un episodio della storia contemporanea italiana a lungo rimosso e mistificato.
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