Ci vuole smalto
aprile 23, 2012 3 commenti
Vi ricordate le Sforbiciate, la rubrica di Fabrizio Gabrielli che ha accompagnato i lunedì di Scrittori precari durante la stagione calcistica 2010/2011? Sapete che è diventato un libro? Fabrizio lo presenta il 26 aprile alla Libreria Altroquando (info), mentre il 27 lo trovate insieme a noi a Librinnovando. Intanto, qui di seguito, vi proponiamo una Sforbiciata inedita. Buona lettura.
Ci vuole smalto.
Federico Maria, quando s’inerpicava da Piazza Tomasseo su verso il Bisagno braccio a braccio col cugino Enrico, le domeniche limpide per andare alla partita, sprizzava albionicità. Bianca la camicia, bianco il cappello: bianco l’incarnato.
Al campo non c’era che una modesta tribunetta, cinque o sei file di posti a sedere destinati ai scignuretti: il resto degli spettatori s’assiepava ai bordi del rettangolo verde, divisi dai calciatori da un filare di transenne. Verso Nord, la Caienna.
La Caienna era l’arena dell’Andrea Doria, e prendeva il nome dalla città della Guyana; come se poi bastasse un nome, un’allusione, un ammiccamento a ricongiungere, foss’anche idealmente, i due mari. Il primo ad approdare alla Cayenna, raccontava Federico Maria, che di storia era appassionato sul serio, pènsa, è stato Cristoforo Colombo, zenése come noi, infatti. Avrebbe tifato sicuro Genoa, Colombo, dice Federico Maria, pieno di smalto.
Alla Cayenna ci portavano gl’avanzi di galera a farsi passare i bollori, lì o alla vicina Isla del Diablo. Alla Cayenna era tutt’un gorgogliare d’animi esagitati, zanzare e afrori micidiali. Vi incubavano rabbia e malattie. Dalla Cayenna chi lo sa, se ci riuscivi, a uscirne vivo.
Quando c’erano i derby, alla Caienna, alla Caienna zenese, sul Caffaro c’era chi arrivava a scrivere Preghiamo i signori spettatori di non aizzare i giuocatori onde non dover assistere ad un match brutale e scorretto. Perché su quel campo, poi, non s’inscenava un semplice testa a testa calcistico, ma l’atavica contrapposizione di classe, prolet da una parte, scignuretti dall’altra, e in gioco c’era mica solo l’autorevolezza fubolistica, il blasone, la gloria.
Il Genoa lo tifava il padrone. L’Andrea Doria l’operaio. Vincere o perdere era assecondare o sovvertire i ruoli assegnati. Leggi il resto dell’articolo
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