La lettera

di Alex Pietrogiacomi

Avrebbe dovuto scegliere di fermarsi lì. Davanti a quella cassetta, chiudere gli occhi e regalarsi l’attimo in cui il PER TUTTE LE ALTRE DESTINAZIONI avrebbe ingoiato distratto la sua busta.
Invece continuò a camminare, superando lo scatolotto rosso, dicendosi che aveva tutto il tempo per poter fare la sua spedizione, che in fin dei conti era una bella mattinata e un buon caffè da qualche parte l’avrebbe resa ancora migliore. Però il senso di responsabilità era lì a farsi sentire. Cercava di tirare la giacca nera verso la sua vera destinazione, perché Ci si era alzati presto proprio per fare questa cosa, altrimenti si poteva anche restare a letto.
Ma Roma era pericolosa in quella mattinata maliziosa, anche il suo tran tran riusciva ad avere qualcosa di vagamente seduttivo: perché Leggi il resto dell’articolo

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Confessioni qualunque – 9

[Ricordiamo ai lettori che Confessioni qualunque, la rubrica curata dai ragazzi di In Abiti Succinti, è aperta a chi voglia scrivere una confessione. Fatelo anche voi! Svisceratevi! E poi inviate i vostri racconti.]

#9 – Sandro

di Nicola Feninno

Che resti tra noi.
Una giornata non è una bella giornata senza il cappuccino del bar Dante.

Quello con la schiuma non troppo densa, non troppo liquida: ci metti sopra lo zucchero e resta un attimo sospeso, poi sprofonda dopo 2 o 3 secondi, lasciandosi dietro una meravigliosa scia color caffè che sfuma sempre più. E il cappuccino del bar Dante dev’essere accompagnato dallo strudel del bar Dante, morbido, ancora caldo, con una sapiente spruzzata di cannella.

Tutte le mattine, alle 8.10 in punto, non un minuto dopo. Tutto perfetto. Fino a stamattina. Leggi il resto dell’articolo

Confessioni qualunque – 5

#5 – Maurizio

di Nicola Feninno

Che resti fra noi.
Fingo di essere muto da sei mesi e mezzo.
Sto andando bene, non ho sgarrato neanche mezza volta: neanche mezza sillaba, né in compagnia, né da solo.
È iniziato tutto così: sono al lavoro al ristorante, tavolo 12; i signori sono al dessert, io inizio con la filastrocca: torta cioccolato e pere, torta alle mele, torta della nonna, tiramisù, crostata al mirtillo, semifreddo al torroncino, semifreddo alla mela verde, crema catalana, panna c-c-c…panna c-c-c-c-c… niente da fare. Non riuscivo a dire cotta. In particolare non riuscivo a pronunciare la c. Basta staccare la lingua dal palato abbastanza velocemente, un movimento netto e automatico, aprire un poco le labbra, arrotondarle appena e poi fare uscire l’aria: panna cotta. Sembra facile: ma non c’era verso di farcela. Panna cotta. Leggi il resto dell’articolo

Bruci la città #2

[Continua da qui]

Io a volte vedo delle cose che ci rimango male all’idea che le vedo. Che poi, non è che proprio le vedo, più che altro me le immagino, ma me le immagino in maniera così vivida che mi fa paura la mia stessa capacità di immaginarmi cose del genere.
Una volta, per esempio, qualche anno fa stavo assieme a una ragazza che era proprio carina, e non era male nemmeno di testa. Un giorno però, mentre prendevamo una cioccolata calda in un bar, mi venne in mente un modo di dire che si usa dalle mie parti, che sta a significare che c’è un’età in cui le ragazze sono belline, ma poi si sformano. C’è un’età in cui le ragazze hanno la bellezza dell’asino, si dice, che finché regge, regge, ma poi si sgretola e allora si capisce se la ragazza è veramente bella, oppure no. Ricordo che mentre mi pulivo i baffi dalla cioccolata, rimasi un paio di secondi a fissarla e non era più come era sempre stata. La vidi improvvisamente deforme, picassiana. I suoi occhi si tramutarono in Leggi il resto dell’articolo

Era di maggio

La rubrica Interlinea ƒ64 nasce dalla collaborazione tra La Rotta per Itaca e Scrittori precari: una volta al mese, uno scrittore, leggendo tra le righe di una fotografia, ci racconterà una storia in profondità di campo.

Quello che segue è il terzo racconto.

di Leonardo Battisti da una foto di Andrea Pozzato

 

Ci sono dei giorni a maggio in cui il sole prova a far la voce grossa fra le nuvole bianche; lo si può vedere scagliare violento i suoi raggi nella coltre di vapore come quel tale che, in una piazza affollata, si sbraccia e dimena per richiamare l’attenzione di qualche conoscente visto per caso in lontananza, ma senza ottenere il risultato sperato. E allora tutt’attorno si diffonde una luce chiarissima ma spenta e l’aria diventa tiepida e statica, tutto sommato innocua come una bugia non ancora svelata. Leggi il resto dell’articolo

Sforbiciaudio #2 – Er core grosso come ‘n bovo *

* Se proprio volete leggere Er core grosso come ‘n bovo, cliccate qui.

 

ER CORE GROSSO, COME ‘N BOVO

Me chiamaveno Er Melanzana perché ciavevo la capoccia tutta lucida, senza capelli, come er culo de ‘na melanzana, anfatti.

Torvaianica n’è mai stata Copacabbana, ma io ce stavo bene: tajavo li quarti de manzo, preparavio le lombatine pe le signore der quartiere, me la divertivo a la sagra der torvicello che veniveno le giostre. Me facevo li cazzi mia, insomma.

Poi l’affari so’ cominciati a girà pure bene e emio messo su na botteguccia niente male, che a dije solo macelleria facevi ‘n peccato a gesuccristo. Eravamo ‘na boticche, diceveno li romani, ma sempre boticche de robba da magnà era; e io macellaro, me sentivo: fino a drentr’all’anima.

A Torvaianica certe vòrte d’estate ce veniveno pure li giocatori daa Roma, ce veniva Zigoni che je lo leggevi ‘n faccia quanto fosse fijo de na mignotta e Bobbo Vieri, però mica se veniveno a comprà l’animelle o l’ammazzafegate, a la boticche: ce se veniveno a pija er caffé.

Ar banco der caffé – brasigliano s’intende, che è er mejo – ce stava mi moje Marisella.

Lo vòi sapé come me la so ‘ntortata a Marisella?

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Appunti e sorrisi

Come nome d’arte utilizza semplicemente Silvia.

È brasiliana, 32 anni portati discretamente male, da lontano la vedi e la trovi bella, ti avvicini e diventa carina, l’abbracci e capisci che fa proprio schifo. Silvia è nera, ha sempre un rossetto acceso che contrasta coi denti bianchissimi. Silvia fa la prostituta nel suo monolocale in zona Appia. È anche mistress mercenaria per clienti bizzarri, ma la cosa non la entusiasma più di tanto. È bello andare da lei, non tanto per scopare, quanto per ascoltare le sue storie ed i suoi sorrisi.

Come hobby, a fine serata, Silvia appunta le avventure che ha con i suoi clienti, vorrebbe farne un libro. Le ho consigliato la casa editrice Stampa Alternativa ma ha troppa paura di esporsi; pare che quello del libro sia un suo progetto per il futuro, tipo quei sogni che uno fa per quando è anziano, tipo il mio di avere un agriturismo in campagna con un piccolo palchetto e sei tavoli per mangiare. Certo a pensare che Silvia da nonna racconta ai nipotini le storielle del suo libro un po’ mi fa strano. E poi, ora come ora, anche televisivamente potrebbe funzionare alla grande: ha quel piglio e quella simpatia che sembra di stare in un programma pomeridiano della De Filippi, ma con meno ipocrisia, quindi il libro lo potrebbe spingere alla grande.

Quando la chiamai l’ultima volta mi disse, con il suo accento italianbrasilero: «Ciao, devi aspettare dieci minuti, sta venendo un cliente, ma lui è velocissimo tesoro». E allora mi fumo una sigaretta nella piazzola vicino, osservando curioso il padrone di un cane che raccoglie gli escrementi del suo animale al guinzaglio.

Dodici minuti e Silvia mi richiama: «Lui ha fatto già. Ti detto che era velocissimo». Vado da lei. Mi abbraccia cordiale e sorridente come sempre, mutandine e reggiseno rosso, tacchi a spillo altissimi. Silvia è un po’ bassina e quando si leva i tacchi, la sua bocca, che prima era all’altezza della mia, mi arriva al collo.

Il monolocale casa e puteca ha la cucina attaccata alla camera da letto, con tre passi di tacco Silvia è già di là che accende la macchinetta del caffè, intanto si accende una sigaretta ed io me ne preparo una di tabacco.

«Ma chi era il tipo da dieci minuti? L’ennesimo maritino in crisi da sveltine?»

Lei si leva i tacchi a spillo, si massaggia un po’ il piede destro, ma subito mi mostra una bolla che le è venuta dietro quello sinistro.

«Ma è un signore carino, e poi con la moglie andiamo a fare la spesa, siamo amiche, solo che lei non le piace fare le sveltine».

«Fammi capire, la moglie è tua amica?»

«Certo, e sa anche che il marito viene da me cosa credi che lei non si diverta?!» e ride ancora. Intanto le squilla il cellulare e risponde: «Ciao tesoro – dice al telefono – devi darmi un’ora, in questo momento sono in relax». Il tipo insiste e lei cambia umore: «Ti ho detto tra un’ora,» copre il microfono del cellulare con le mani e mi sussurra un che palle prolungato, poi continua: «Tesoro io ora non lavoro». Il tipo insiste e lei chiude con un «Vaffanculo, fatti una sega». Chiude la chiamata e sbraita sorridendo: «Altro maritino rompipalle vaffanculo, cazzo si sposano a fare per rompere le scatole a me?» e ride ed io mi accomodo sul divano blu.

Silvia fa tre passi e ritorna in cucina a spegnere la macchinetta del caffè.

«Ma allora te lo fai ‘sto protettore o no?», le dico a sfottò dal divano, conoscendo già la risposta.

«Macché protettore! – e mentre lo dice si muove tutta col corpo con un’energia che sembra un personaggio della commedia dell’arte – Ho lo spray al peperoncino che ho utilizzato solo due volte, e sono otto anni che faccio questo mestiere! E poi non sai la novità: nella casetta affianco c’è un’amica trans e se succede qualcosa lui corre da me. È alto, ha due spalle così e ti fa un culo così» e ride seria.

Silvia ride in continuazione. Silvia ha un sorriso leale mentre mi accoglie in casa, mentre prepara il caffè, mentre si massaggia i piedi, mentre mi versa il caffè nella tazzina e anche mentre finisce di dire che le manca sua figlia.

«La rivedo tra un paio di mesi e le compro una marea di regali. Ma non vuoi fare niente? Ti succhio un po’ le palle?»

Se Silvia ha una specialità nel suo lavoro è quella di saper succhiare le palle in maniera egregia, sensuale e mai dolorosa, nemmeno per me che soffro di varicocele: le aspira e le fa entrare una alla volta nella bocca, come volesse staccartele delicatamente, per poi mollare inaspettatamente la presa di colpo e sorriderti. E anche solo quel suo sorriso vale il prezzo del biglietto.

Questa volta a sorridere sono io e cambio discorso chiedendole se ha avuto bizzarrie ultimamente, di solito escono fuori bei racconti, se non belli, singolari. Lei si mette la sigaretta accesa tra le dita del piede destro e me la porta alla bocca. Il braccialetto argentato sulla caviglia è sempre bello sulla pelle nera di Silvia. Io aspiro la Merit, la sfilo stringendola tra le mie labbra e prendo a massaggiarle i piedi, è un antistress per entrambi, nulla di erotico, solo dita di mano che palpano un piede ed un piede palpato da dita di mano. Piacevole, anzi, amichevole.

«Guarda tesoro mio, una cosa mai successa: è arrivato un signore di cinquant’anni mi ha detto mettiti i tacchi a spillo, lui si è messo in piedi, poggiato all’armadio con le gambe larghe come se dovessi perquisirlo. Poi mi dice tirami i calci alle palle – e scoppia a ridere ed io pure – ed ho preso a tirargli calci alle palle FOR-TI-SSI-MO con i tacchi a spillo e lui è venuto».

Mi guarda. Mi guarda sbarrando gli occhi. Mi guarda sbarrando gli occhi e ripete scandendo: «Ha avuto l’orgasmo con i miei calci nelle palle!»

Io ascolto dilatando le sue parole in mente.

«Dice che la moglie si rifiuta di fare certe cose e allora paga me. Tante mogli che non danno il culo e lo capisco, ma se tuo marito ti chiede di tirare i calci a lui tu fallo. Non sei d’accordo? Approfittane signora mia, che almeno ti sfoghi pure un po’ con lui! Non sei d’accordo?»

Io non posso che annuire e dire: «Secondo me non le ha mai chiesto niente alla moglie. Si vergogna».

Silvia ritira il piede e controlla l’orologio sul cellulare, io intanto finisco di sorseggiare il caffè, penso al cinquantenne che se ne viene con i calci nelle palle.

«Ma non lo vuoi proprio un bel pompino?»

Lei scoppia ridere, io poso la tazzina di caffè, spengo la cicca di sigaretta, penso: «Chissà se nel suo libro ci sarò anche io».

Mi avvicino a lei e inizio a succhiarglielo.

Angelo Zabaglio e Andrea Coffami