“Bagatelle”, Scrittura Industriale Collettiva

In vista della prossima uscita di In territorio nemico, aka “Grande Romanzo SIC”, continua la pubblicazione su Scrittori precari dei racconti scritti col metodo SIC, in una versione interamente revisionata e corretta. È oggi il turno di Bagatelle.

Bagatelle è il sesto racconto SIC. Conta poco meno di sedicimila battute, e ha richiesto tre anni di lavorazione (2008-2011). È un racconto fantastico in cui si delinea la storia della civiltà occidentale dalla rivoluzione industriale a oggi, attraverso le trasformazioni del gioco da tavolo “bagatelle”, antenato dell’odierno biliardo. È stata la prima produzione SIC a vedere il coinvolgimento degli scrittori nella definizione del soggetto (attraverso il generatore di pagine Wikipedia casuali wikirandom.org, appositamente sviluppato), e a prevedere il defacement di una pagina di Wikipedia (quella, appunto, sul bagatelle. È leggibile a questo indirizzo la versione deturpata). Il direttore artistico della produzione, Magini, non ha mai letto la versione definitiva, poiché Santoni, editor, modificò più del 70% del testo per renderlo, a suo dire, “comprensibile”.

Versione scaricabile: Bagatelle (PDF).

Bagatelle

Direttore Artistico: Gregorio Magini
Scrittori:
Daniela dell’Olio, Francesco D’Isa, Umberto Grigolini, Matteo Salimbeni, Luciano Xumerle
Editing: Vanni Santoni

La festa d’inaugurazione del Petit Château languiva. Nella sala guarnita di pizzi e parrucche, il Re si annoiava e non rideva. I cortigiani si annoiavano ma ridevano. La Regina si annoiava, rideva e mostrava i lussi del castello. Il Re riunì le palpebre a convegno e si addormentò.
Venne il Conte D’Artois, la fronte sudata, il fare deciso. Con sé un tavolo. Nel tavolo delle buche, inframezzate da chiodi. Tra i chiodi e le buche, delle biglie. La Regina si atteggiò curiosa. I cortigiani si assembrarono. Il Conte cadde con lo sguardo nella scollatura della Regina, ma subito si ricompose:
– Vostre Maestà, Mie Signore, Signori, vi presento il Babiole!
– Foggia curiosa!
Il Conte illustrò il Babiole. Il tavolo, i chiodi, le buche, le biglie. I cortigiani ascoltarono. Le biglie andarono in buca. La Regina rise. Il Re alzò le palpebre; ricordò. Era autunno; il giovane con la fronte sudata era suo fratello; era festa; sua moglie era austriaca. Sospirò. Si riaddormentò.
Il gesto parve un responso. Il Conte s’innervosì.
– Avete capito? Ogni biglia ha una buca. Ogni buca è un punto. Ogni punto è un Babiole!
Ma nessuno giocò. Nell’eco di un brusio, la sala già si muoveva a riprendere le libagioni. La Regina emanò un profumo di lavanda e rise annoiata. Leggi il resto dell’articolo

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1° Maggio 2011

A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?

Se in effigie tramuti il corpo, e rendi
Carta l’effigie, plastica e cotone,
Io piango i tempi in cui si usava l’oro
Per forgiare vitelli, come grido,
oggi, all’idolo usato per frodare
la festa di quei corpi martoriati
dalle cave ombre di antichi tiranni,
larve per prime schiave
del loro stesso bramare.

A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?

È nel calice il sangue di settembre
Che su croce di piombo benedì
Con voce di metallo la sua gente?
È cileno quel corpo che spartisci?
Quali agnelli tu invochi perché accolgano
I peccati del mondo? Se tu màrtiri
Cerchi, sotto le zolle degli stadi
Irrigati dal rosso ti rivolgi?
O al silenzio distrutto dal supplizio
Che i boia inflissero alle sante carni,
carni di figli, che in piazza, le madri,
lucenti di grazia, nere di lutto,
Chiedono in nome del corpo e del calice?
Non vederli risorti è loro colpa?

A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?

Mentre le masse, raccolte per l’idolo,
Vestono i colli gravati da macine
D’asino, mentre nel tempio ai mercanti
Lo spazio si prepara,
Io testimonio con sommo timore:
Io testimonio per quanto di Cesare
Viene accettato o preso, e a Dio offerto,
Io testimonio la stirpe di Giuda,
Per la quale, domenica,
Il Salvatore verrà bestemmiato.

A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?

È di Augusto quel sangue,
È di Augusto quel corpo,
È del Giuda che un popolo tradì
Senza gettare quei trenta denari,
Senza conoscere albero e vergogna.
E nel tempo in cui l’idolo fu carne,
Anima e spirito, carne al servizio
Per sedere alla destra del Signore,
Quella carne, di bianco rivestita,
Il tuo gregge con scandalo mirò
Mentre stava alla destra,
Alla destra di Giuda, le cui nozze
Benedì tramutando in vino il sangue;
Quando il gregge mozzarsi preferì
Gli occhi, i piedi, e le mani,
Perché quell’uomo erede di quel Pietro,
Chiese che Giuda non fosse impiccato,
Lui disse al gregge di rendere a Dio
Grazia e perdono che primo non chiese.

Per chi innalzi quel sangue dentro il calice?
Per chi spezzi quel corpo che spartisci?

E queste mie, parole senza scandalo,
Saranno spreco e compagne di vento
Perché in ginocchio, pregando, a te affido
Il mio petroso pianto di straniero.
Io testimonio con sommo timore
Ed è per questo che infine ti chiedo:
In quale vigna, da umile, lavori?

Matteo Pascoletti