Clandestina

Quella che segue è l’introduzione a “Clandestina” (Effequ, 2010), un’antologia curata da Federico Di Vita ed Enrico Piscitelli, che raccoglie «uno spaccato della produzione letteraria proposta dai migliori blog collettivi e riviste on-line del nostro Paese».

 

Un giorno al Giglio ho conosciuto un vecchio che al Porto non c’è andato mai. Vive in cima al Castello e per andare al mare è sceso sempre dalla parte di Campese. E non c’è andato neppure troppe volte al mare, per uno che ha spaccato pietre tutte isolane. Il vecchio non si è allontanato mai dal Giglio. Al Castello c’è una comunità che gioca a mattonella, prepara il panficato e ha nomi senesi: Aldi, Pini e Landini. Sono i figli di quelli che hanno piantato a vigna le greppe dopo la razzia del ’500, che le aveva lasciate abbandonate. Contadini, figli di contadini. Alla fine del ’700 altri pirati attraccavano a Campese, risalivano la collina pronti a mettere a ferro e a fuoco un’altra volta l’isola (non che nel frattempo non si fossero più visti), ma la nuova aggressione fu respinta, e i corsari decimati non tornarono più. Da quel giorno al Porto nacque una comunità, pescatori che seguivano le rotte del pesce azzurro, da nord o da sud, genovesi e campani. Parlavano dialetti diversi, avevano altre abitudini. Vivono lì da due secoli. Il vecchio, che avrà più di cento anni e che non è uscito mai dall’isola, ha fatto il possibile per non incontrarli mai.

Una volta a Londra c’era un’importante partita di pallone. Era un quarto di finale di Coppa dei Campioni e l’allenatore della squadra di casa era squalificato. I giocatori del Chelsea Football Club una partita così non l’avevano giocata mai, e l’allenatore, che era Mourinho, per non lasciarli soli, invece di starsene in tribuna si infilò nel cesto dei panni sporchi nello spogliatoio. Ci rimase tutta la partita e i giocatori lo trovarono lì nell’intervallo. Durante l’incontro comunicò con la panchina via sms e per spiegare le tattiche fece arrivare ai giocatori dei pizzini. Il Chelsea vinse 4-2.

Un’altro giorno ancora un ragazzo scappava scavando a bracciate le acque del Tigri. Si chiamava Abd-ar-Rahman e non era un giovane come gli altri, era un principe. Le frecce avvelenate fischiavano senza centrarlo, scappava da Damasco. La sua stirpe veniva sterminata. E mentre si apprestava alla sua vita da fuggiasco ancora non poteva immaginare che dopo aver corso come un keniota lungo tutto il Maghreb sarebbe giunto in Spagna, in Andalusia, e lì, da esiliato e migrante sarebbe tornato principe, e avrebbe fatto di Cordoba la capitale del regno più splendente al mondo.

Un’altra storia l’ho letta in un libro. Ad Hanoi c’è la statua di un soldato in ginocchio, “con le mani alzate e gli occhi impauriti”. Il pirata dell’aria era sui cieli del Vietnam quando il suo aereo veniva colpito e lui dovette premere il tasto di espulsione. L’esplosione che lo catapultò in aria – è una piccola carica di dinamite a farti saltare fuori da un caccia in picchiata – gli ruppe tutte e due le gambe e un braccio. Dopo di che fu catturato dai nemici, da quelli che lui considerava nemici, insomma dagli altri. Per la precisione cadde in un laghetto nel centro di Hanoi, dove “i piloti di cacciabombardieri erano particolarmente odiati, per ovvie ragioni”. I vietnamiti, i civili, nuotavano nel lago per andarlo a massacrare. Un soldato nemico lo trafisse all’inguine con una baionetta. Un altro gli spaccò una spalla. Poi fu tenuto in cella per alcune settimane, dopo le quali un medico gli ricompose un paio di fratture senza nessuna anestesia. Non tutte, un paio. Il soldato, che ormai è un vecchio, ancora oggi non riesce ad alzare le braccia sopra la testa. Il suo peso scese a 45 chili, gli altri prigionieri erano certi che sarebbe morto. Delirava, per il dolore. Un giorno, mesi dopo, quando il prigioniero riusciva appena a stare in piedi, venne portato nell’ufficio del comandante nemico. Quello gli disse che era libero, poteva andarsene. Saltò fuori che suo padre – il padre del soldato – era diventato il capo delle forze navali americane, e l’idea dei vietnamiti era liberare il figlio, in quello che potremmo definire uno slancio di Realpolitik. Il soldato rifiutò. “A quanto pare il Codice di condotta per i prigionieri di guerra diceva che i prigionieri andavano liberati nell’ordine in cui erano stati catturati”. Il nostro uomo rifiuta di violare il codice. Il comandante non gradisce e gli fa rompere lì, nel suo ufficio, le costole, e gli fa ingoiare i denti. Quindi ripete il suo invito. Il soldato rifiuta ancora, o con gli altri o niente. L’uomo, che rimase altri quattro anni in una stanza grande come il vano di un camino, è l’ex candidato alla Casa Bianca John McCain.

Altre storie finiscono in relitti di gommoni in fondo all’Adriatico o nei centri di espulsione di Lampedusa o di Ponte Galeria. Alcune galleggiano negli sguardi concentrici di una pittrice in manicomio, o in quelli di terroristi, che non sanno ciò che fanno; o di migranti, che non hanno scelta. Di queste storie comincia a essere fatto ciò che resta di questo Paese, le cui risorse e le cui pulsioni migliori cominciano a essere relegate allo stato di clandestinità. La speranza è che trovino spazio. La differenza, tra le quattro raccontate qui sopra e quelle che cominceranno una volta girata la pagina, è che le storie che state per cominciare sono più vive, più belle.

Federico Di Vita

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Poesia precaria (selezionata da A. Coffami) – 1

Salve ciao.

Ha inizio da oggi un nuovo appuntamento settimanale curato da me (Andrea Coffami) e dal buon Luca Piccolino. Il nostro spazio sarà riservato alla poesia.

Ogni lunedì vi proporremo a turno un poeta, vi faremo conoscere una sua opera con la speranza che possiate affezionarvi a lui, lo seguiate nelle sue evoluzioni o siate incuriositi dal suo passato artistico. Considerate questa rubrica come se stessimo tra amici e parlando del più e del meno uno dicesse: “Oh amici! Ho letto una poesia di uno che magari già conoscete ma a me è piaciuta troppo”, e l’altro: “E chi l’ha scritta?”, ed io: “E l’ha scritta Pinco Pallino”. Quindi niente cattedre o noi che ci si eleva dall’alto della nostra sapienza a proporvi autori “degni di nota”. Molti poeti sono già conosciuti nel panorama letterario… quindi è solo una condivisione del piacere.

La poesia dicono sia morta, gli editori non la pubblicano, la gente non la compra… ma magari in rete c’è ancora qualcuno che la legge e l’apprezza. La poesia ha varie forme (sonora, testuale, visiva) e magari vi posteremo video/poesie, fotografie ritoccate o canzoni i cui testi nulla hanno da invidiare a Montale o Bukowski. Insomma “poesia” intesa nel suo senso più ampio.

Spetta a me aprire le danze facendovi leggere un testo del magistrale Alfonso Maria Petrosino, un ragazzo di una bravura imbarazzante (nonché molto bello) che ho avuto il piacere e l’onore di incontrare in vari slam poetry in giro per l’Italia.

Consiglio caldamente di acquistare i suoi libri ma ancor di più consiglio di ascoltarlo live se vi capita di beccarlo in giro. Magari chiedetegli l’amicizia su facebook così da poter seguire i suoi spostamenti.

La poesia che vi propongo è tratta dal libro, pubblicato in Creative Commons, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (Edizioni O.M.P. – FarePoesia).

Buona lettura.

Andrea Coffami

LA CINA SI AVVICINA

Il Presidente Ciampi ammaina
il tricolore e per ricordo
me lo consegna, ma sul bordo
c’è scritto Made in China.
E intanto una velina senza veli,
la mano destra sul seno sinistro,
in playback canta l’inno di Mameli
e l’onorevole Primo Ministro
all’orecchio mi dice senza peli
sulla lingua: “La Cina si avvicina.”

Versando lemon soda e gin
alla Gioconda di Da Vinci
le chiedo dove l’Est cominci,
ma lei dice: “Cin cin!”
Il giorno dopo, il thè con una ricca
ottuagenaria esule da Hong Kong
e una partita a tric e tac e cricca;
una fotografia di Mao Ze Dong
ci squadra dal comò di teak e ammicca,
come a dire: “La Cina si avvicina.”

Confondo il Götterdämmerung
con un’Apocalisse now
e il Tao tenendo al collo il tau
con yin e yang e Jung.
E faccio un sogno ricorrente e vago:
insieme a Giorgio sto nell’intestino
di un pollo – ma secondo lui è un drago;
prendo un laccio emostatico e il vaccino,
e stendo il braccio e lui mi fa con l’ago
un tatuaggio: La Cina si avvicina.

Un uomo ha appeso un dazebao
sul lato nord della Muraglia:
a chiare lettere si staglia
un ideogramma: CIAO!
con una splendida vernice nera.
Vado a mangiare insieme a lui e a Bruce Lee,
prendiamo gli involtini primavera
bucatini alla carbonara e muesli;
mangio il biscotto e il mio biglietto era:
“Amico mio, la Cina si avvicina.”

Alfonso Maria Petrosino