la centoventotto rossa

Non mi è successo nulla di eclatante, davvero. Non mi sono fatto crescere la barba né ho dato fuoco al materasso, ho continuato a dormire dallo stesso lato e messo a posto poco, come prima. Prendevo il caffè con lo zucchero di canna e ho continuato, tra l’altro mi ci ha abituato lei. L’unica cosa che ho fatto di nuovo è stato iniziare a guardarla, con il morale in attesa: la seguo, non mi vergogno a dirlo, se mi vede non importa. Mi metto di fronte alla finestra della sua classe con la macchina e guardo in su dal finestrino, al terzo piano. Fortuna che passeggia mentre spiega così ogni tanto la vedo passare; sfortuna quando invece è nell’altra classe, quella che dà sul cortile, e allora devo sgusciare tra le aiuole per arrivarci, tenendo la posizione rasente al muro altrimenti il bidello si accorge di me. Ha comprato una gonna nuova, una settimana fa, a righe rossa e verde, trama scozzese, lana pesante; la indossa quasi sempre con gli stivali e sembra più bassa, le si vede la metà delle cosce, tranne quando mette il cappotto, perché è lungo e non si vede niente, purtroppo. Fa l’insegnante di geografia in una scuola media, al mattino; al pomeriggio si occupa dell’archivio della biblioteca, ma lì non ci entro: è al pian terreno ed io mi siedo al bar di Alessandro, la guardo dal tavolo quattordici.

Gli chiedo di tenermi sempre il solito tavolino, dalle quattro alle sei e mezza. Bevo un caffè, poi un tè, a volte un succo di frutta, mangio un pezzo di torta; Alessandro è bravissimo con le torte e le crostate. Poi vado a casa. Mi metto a leggere o ad ascoltare la sua voce di quando cantava, spesso m’addormento.

Da quando ci siamo lasciati, se non la sogno, mi sveglio prima del solito.

 

Annie and I broke up.

 

Sapete quel film, è di un regista americano con gli occhiali, buffo, adesso non ricordo il nome, l’ho visto una volta: inizia con delle storielle, lui le racconta guardandomi in faccia e a un certo punto dice: Annie and I broke up. In quel punto lì, per come lo ha detto, io ho visto quello che mi sta capitando, la mia stessa rassegnazione. Lui non sa da dove sia partita la crepa e nemmeno io, in effetti. Siamo uguali, io e il tipo del film.

La mia Annie, chiamatela pure con un nome qualsiasi, fate voi, la mia Annie ieri sera l’ho vista con un tipo alto e biondo, uno di quelli che mi piacerebbero mai, con il colletto della polo tirato su e i pantaloni stirati dal verso giusto. È entrata nella sua macchina come se non fosse la prima volta, nemmeno la titubanza di guardare se c’erano cose da spostare dal sedile o dal tappetino. E ci stava giusta, come se l’ultima volta quel posto l’avesse occupato proprio lei; aveva lo spazio per accavallare le gambe e per mettere la sua borsa, quella nera con due tasche ai lati, quella che porta ovunque. Sono andati a cena in un bel posto, con le candele.

Li ho seguiti.

Annie diceva sempre di non volerci andare fuori a cena, quando tornavo a casa. Io non gliel’ho mai chiesto in verità, ma lei mi sembrava non ci volesse andare: la trovavo già seduta sul divano con le gambe di lato o forse no, erano sul tavolino, o forse non era il divano, era la camera da letto, no lei non è una che mette i piedi sul tavolino, né sul divano, con le parole crociate e gli occhiali, lei non è una che usa gli occhiali se non necessari, lei proprio non è una da cena fuori ecco: lo avevo capito subito. Quel tipo non ha proprio niente a che fare con lei.

Abbiamo fatto un patto, io e Alessandro: io gli ho detto tutto, così non pensa male e non mi fa troppe domande: lui mi fa stare seduto al bar, ma io non devo dare di matto: c’è il rischio, alla lunga.

 

 

Niente alcolici pesanti al pomeriggio.
Tutto qui?
Sì.
Mi sta bene, io bevo solo birra.
Nemmeno quella.
No, va bene. La birra la bevo solo se sono passate le dieci.

 

Lui si chiama Luigi. Lavora con un mio amico in banca, nella filiale all’angolo di casa nostra. Cioè: mia. Si devono essere incontrati lì, mentre io non c’ero. Io non mi occupavo mai del nostro conto in banca: era lei che faceva sempre tutto.

***

Questo è l’incipit de la centoventotto rossa, lo puoi anche ascoltare qui: è più divertente, lo leggo io, un sacco di gente dice che sono capace e secondo me è venuto bene.

È la prima volta che faccio un libro mio, non ho aneddoti e storielle divertenti: per ora la mia scrivania è il tavolo su cui ceno, sta in cucina vicino alle scatole e i miei muri sono bianchi, piove spesso dentro al ripostiglio di casa, che poi è vicino a dove scrivo e mangio, ma per fortuna non si rovina nulla e ogni tanto la tastiera del mio mac, che si chiama osvaldo, si inceppa.

Elena Marinelli

 

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