Bravo Freud!

[Riproponiamo oggi questo intervento, che per una nostra svista non è stato pubblicato come previsto nel mese di marzo.]

Fra i disturbi dell’alimentazione il più discusso è l’anoressia e spesso si dice che le sue cause siano il benessere e la moda: l’eccesso di cibo che porta al suo rifiuto attraverso i dettami degli stilisti e dei consulenti d’immagine.

Tuttavia raramente ci si disturba – ed è paradossale in questi ultimi due secoli – a ricercarne i motivi altrove. Per esempio nella psicanalisi. Studiando i bambini ci si è accorti che, in certi casi, aspetti della loro psiche vengono repressi perché non sono compatibili coi canoni (generalmente stereotipati) imposti loro dai genitori. Tali repressioni – che possono sfociare in perversioni o follia dall’adolescenza in poi – rappresentano i cosiddetti «piccoli assassinii dell’anima» di cui parlava Kaspar Hauser nel 1832 e sono la causa d’un certo tipo di anoressia.

Si potrebbe dire che, per diversi psicanalisti, la bambina (che è il soggetto in questo specifico caso) tenta di ridurre la sofferenza della repressione cercando sollievo nella figura-modello della madre. Il soggetto, quindi, rinuncerà ad aspetti del proprio Sé per diventare un’estensione speculare di questa figura. La bambina è portata a cercare conforto nella madre perché essa è una fonte straordinaria di nutrimento per il suo ego: nelle frasi materne “Che bella bambina sei”o “Sei la bambina più bella del mondo” il soggetto avverte l’accettazione da parte del suo modello e contemporaneamente trova lo stimolo ad assomigliargli. Questo porterà la bambina a un progressivo attaccamento al suo modello e, in seguito (cioè nell’adolescenza), all’incapacità di far fronte autonomamente ai problemi. Con l’inevitabile distacco da sua madre l’adolescente soffrirà di un’enorme tensione che la porterà a un digiuno compulsivo e autoimposto perfettamente descritto nel vocabolo tedesco Pubertätsmagersucht: deperimento puberale compulsivo. Infatti, l’anoressica soffre di perdita di appetito, ma di fatto il disturbo non ha a che vedere col digiuno (anzi, questo tipo di anoressica non fa altro che pensare al mangiare, alle ricette e alle preparazioni dei cibi).

Si potrebbe dire, in sintesi, che talvolta l’anoressia è causata dalla tensione che la bambina morbosamente attaccata a sua madre prova nel momento in cui debba distaccarsi da lei. Tale distacco avviene con maggiore frequenza dall’adolescenza in poi, quando la bambina cresce e si viene a trovare in contatto con problemi che inevitabilmente causeranno l’allontanamento da sua madre. È chiaro, però, che questi sono casi limite in cui il fenomeno del disturbo alimentare è causato da una casistica che si verifica solo in modesta percentuale. Così, oltre il complesso di Edipo, la figura della mamma si fregia d’un’altra medaglia. Bravo Freud!

Antonio Romano

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I precari al rientro

E’ stata impegnativa, per certi aspetti faticosa, ma l’esperienza del tour con Scrittori precari rimarrà come una tra le più forti e piene della mia vita. Condividere ogni singolo minuto per cinque giorni con quelle stesse persone (non solo le letture, ma i chilometri percorsi, il cibo e le bevande, i giacigli dove dormire, le battute e le scaramucce) che da mesi portano avanti un progetto comune, è una cosa che lascia il segno.
Questi cinque giorni hanno rappresentato una sorta di sospensione del tempo, in cui gli unici momenti da non mancare erano quelli del reading e della stesura dei diari quotidiani; il resto (mangiare, bere, dormire, etc) non aveva scadenze, il resto non era obbligatorio, non riempiva i vuoti come succede spesso con la quotidianità.
Abbiamo attraversato le regioni da sud a nord, siamo precipitati come oggetti misteriosi nelle città (Napoli, Firenze, Bologna, Milano) e approdati come visitatori sperduti nelle campagne e nei boschi, ma in qualche modo ci siamo sempre sentiti a casa.
Il tempo del viaggio si è momentaneamente arrestato, ma già abbiamo altre proposte per il futuro, e questa è la dimostrazione della validità di un progetto in cui la precarietà viene intesa in senso trasversale, come condizione generazionale e come modalità performativa, poiché piuttosto che uniformarci intorno a un manifesto stilistico abbiamo preferito ritrovarci in un approccio che mirasse ad aprire spazi liminali alla scrittura, dove far prendere corpo a tutto il lavoro virtuale svolto quotidianamente in rete.
La precarietà intesa quindi non soltanto come mancanza di progettualità, ma anche come senso di disorientamento: l’essere scrittori oltre la pagina scritta, l’inventarsi performer in spazi sempre diversi e non programmati; in parole povere ritrovare lo scrittore e il proprio ruolo in una terra sempre straniera.

Simone Ghelli