Le famose gang di baby gay che cantano “bang bang” mentre fanno le gang bang

di Andrea Coffami

Sei nel silenzio di un sasso, mentre martelli lo stesso il tuo ritmo
lascio e non raddoppio, come l’oppio in una cartina di Roma
buona salsa in salamoia, se deve morire muoia il senso di colpa con tutti i figli suoi
con tutti i fogli sparsi per il mondo. In fondo in fondo siamo in un pozzo
ci siamo persi nel buio di uno stagno che descrivono come un mare di opportunità,
ma alla tua età sei già anziano e se ti ringrazieranno, ti daranno al massimo un anno di lavoro
senza contributi, tu ti abitui ma ci vogliono muti, sudi ma i ludi sono finiti da un pezzo
altro che amico, ci vorrebbe un attrezzo Leggi il resto dell’articolo

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Intervista multipla agli “scrittori precari” /2

Tentativo parzialmente scorretto di seminare discordia (parte seconda – qui la prima parte)

di Carlo Sperduti

Carlo Sperduti: Qui sotto una lista di dieci citazioni estrapolate (quasi) a caso dalla garzantina delle citazioni. Scegline da una a tre, fra quelle che si confanno maggiormente alla tua idea di letteratura, e fornisci un breve commento alla tua selezione.

«Perché esprimere le nostre opinioni? Domani le avremo cambiate.» (Paul Léautand)

«I poeti immaturi imitano; i poeti maturi rubano.» (Thomas Stearnes Eliot)

«Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti.» (Jules Renard)

«La letteratura vale per il suo potere di mistificazione, ha nella mistificazione la sua verità.» (Italo Calvino)

«Le osservazioni non sono letteratura.» (Gertrude Stein, a Hemingway)

«Gli scrittori sono sempre responsabili, ma non di ciò di cui vengono accusati. Sono responsabili del regime che li accusa; e che senza saperlo è influenzato da loro.» (Jean Cocteau)

«Quando uno scrive per sua personale soddisfazione e scrive tutto quello che sa è sicuramente un cattivo scrittore.» (Georg Lichtenberg)

«Lo scrittore sceglie in primo luogo di essere inutile.» (Giorgio Manganelli)

«Ogni grande e originale scrittore, nella misura in cui è grande e originale, deve creare lui il gusto che permetterà di godere dell’opera sua.» (William Wordsworth)

«Bisogna il più possibile scrivere come si parla, e non troppo parlare come si scrive.» (Charles-Augustin de Sainte-Beuve)

Andrea Coffami: Io mi associo al tipo di Sainte-Beuve. Scrivere come si parla è uno degli obiettivi che mi sono sempre proposto di perseguire. Un po’ come il mimo che anche senza parole si fa capire benissimo. Credo che la scrittura sia uguale. Scrivere come si parla è un modo per mettersi a nudo, anche se è un linguaggio muto, un linguaggio dettato dall’anima. Io di solito non parlo come scrivo, ometto molte puntualizzazioni che nello scritto vengono trascritte senza censura. È il bello dell’anima.

Simone Ghelli: «Quando uno scrive per sua personale soddisfazione e scrive tutto quello che sa è sicuramente un cattivo scrittore», di Georg Lichtenberg. Scelgo questa, perché penso che l’ego sia il limite più grande di ogni scrittore, che senz’altro scriverà sempre di ciò che sa: il massimo lo raggiunge quando riesce a scriverlo come se non lo sapesse.

Gianluca Liguori: Certo che avresti potuto sforzarti di più! Comunque, la definizione di Calvino forse è quella che ritengo più condivisibile: «La letteratura vale per il suo potere di mistificazione, ha nella mistificazione la sua verità.» Credo che il compito principale di uno scrittore sia quello di codificare la realtà che lo circonda per creare un’istantanea valida sia per i suoi contemporanei, che per quelli che verranno. E questo, naturalmente, mi porta a segnalare anche la definizione di Wordsworth: «Ogni grande e originale scrittore, nella misura in cui è grande e originale, deve creare lui il gusto che permetterà di godere dell’opera sua.» Ma ripeto, devo appuntare che la scelta è un pochino limitata.

Luca Piccolino: «Bisogna il più possibile scrivere come si parla, e non troppo parlare come si scrive.» Scelgo quest’ultima. Per come la vedo, la letteratura moderna è fatta di un linguaggio comune. Nella narrativa agisco per sottrazione proprio perché la narrazione sia più naturale. Scrivere il più possibile come si parla è il primo passo verso una letteratura nazionalpopolare, che poi è quella che ricerco nella mia esperienza.

Alex Pietrogiacomi: «Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti» di Jules Renard. Scelgo questa, e la contestualizzo pienamente al nostro tempo. È difficile poter esprimere un concetto senza che di mezzo ci vada, immediatamente, badate, immediatamente un «Sì, ma io penso che…» Oppure un «Scusa se ti interrompo ma…» Purtroppo la mancanza di maturità necessaria all’ascolto e poi all’espressione del proprio pensiero fanno sì che non ci resti che scrivere. La buona conversazione è finita, e per farla rinascere si dovrebbe leggere Stevenson, Filosofia dell’ombrello (Piano B edizioni). Ma scelgo questa perché tu ci proponi questa intervista scritta per non essere interrotto e pestato! Ignorante! Ignorante! (vedi prima domanda).

Sono io che me ne vado

Sono io che me ne vado (Mondadori, 2009)

di Violetta Bellocchio

 

In un branco, se non diventi molto bravo a fare qualcosa, sei inutile e ti mangiano. Questo è il motivo per cui anche noi che stiamo in cima alla catena alimentare abbiamo un talento. Una vocazione, se vuoi. Un’abilità magari piccola, ma specifica, che ci distingue dagli altri e ci assegna un posto nel mondo.

Il mio talento è fare del male alla gente.

 

 

Sono io che me ne vado è l’esordio letterario di Violetta Bellocchio, un esordio folgorante, brillante, un romanzo di luci accecanti e di profonde oscurità, di lucciole sognate durante una quieta sera d’estate quando il tempo sembra immobile. Un’opera che incanta, che fa sorridere e che fa male allo stesso tempo, uno di quei dolori necessari ma che non hanno bisogno di essere condivisi o compatiti. Non c’è pietas. Niente lacrime per favore, non si deve sprecare così la sofferenza, avrebbe tranquillamente potuto pronunciare la protagonista.

Il romanzo potrebbe essere annoverato tra i “romanzi di formazione”, eppure Sono io che me ne vado è molto di più di questo e ne cambia completamente i canoni. Violetta Bellocchio ci sorprende più e più volte ribaltando completamente gli schemi classici, costringendoci sempre ad inseguirla lungo sentieri sempre più impervi.

«Mi chiamo Layla Nistri» dico. Non so perché sto usando il mio vero nome. Potevo dire che mi chiamo Evangelina Tortora de Falco, e avrei comunque avuto il nome meno improbabile della giornata.

Ecco la nostra protagonista: una giovane donna che decide di aprire nel cuore della Toscana un B&B, in un luogo non propriamente turistico, in un punto imprecisato che sembra essere stato scelto con uno scopo solo: sparire, cancellare le tracce del proprio passato, rendersi evanescenti. Layla ha preso questa decisione. Il perché non ci è noto. Ma non osare dispiacerti per lei, non è la compassione ciò che cerca.

Non ho un telefono. Non ho un indirizzo. Non dimentico niente al ristorante. In tasca ho solo i soldi per un taxi. Non esistono fotografie di me da bambina. Niente, niente di quello che dico è vero. Per essere meglio di così potrei solo smettere di avere un corpo.

Layla è pronta a fare il vuoto accanto a se. Probabilmente non ha un passato tragico alle sue spalle. Qualunque cosa sia, ha semplicemente deciso di cambiare vita. E il B&B “La Bambola” è un ottimo punto d’inizio. Nonostante mille ritrosie, Sean – un ragazzo dai capelli scuri e dalla pazienza quasi infinita – l’affiancherà nella gestione del lavoro, diverrà suo amico, suo confidente, suo punto di riferimento.

La scrittura è rapida, il dialogo è serrato, tagliente, acuminato come una lama. Più generi si mescolano: il linguaggio cinematografico, quello dei blogger, quello dei fumetti. Le citazioni sono nascoste ovunque. Tutto costituisce uno stile unico. Violetta Bellocchio gioca con le parole con maestria, con sapienza.

Layla ti rimane dentro. Vorresti incontrarla, da qualche parte. Parlarle.

Questo, però, posso dirtelo. Il minuto in cui sai di avere in mano la felicità di qualcuno – te la senti proprio sul palmo della mano, una cosa viva – e sai che hai tutto il potere di fare e disfare, quello è il secondo minuto più importante del mondo. Il minuto in cui fai il conto alla rovescia prima di cominciare a disfare, quello è il minuto più importante del mondo. Non ci sono altre notizie.

 

Serena Adesso